Italia, popolo di risparmiatori. Nonostante tutto, anche i dati del 2024 lo confermano, ma occorre qualche cosa di nuovo

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Il popolo italiano è stato considerato per decenni un popolo di risparmiatori per una serie di motivi storici, culturali ed economici: tradizionalmente, gli italiani hanno adottato uno stile di vita frugale, soprattutto nelle generazioni passate. Questa frugalità è stata spesso una necessità, legata a periodi di difficoltà economica come le guerre mondiali e le crisi economiche. Inoltre, la famiglia ha sempre giocato un ruolo centrale nella società italiana. Risparmiare è stato visto come un modo per garantire sicurezza e stabilità per il futuro del nucleo famigliare, particolarmente importante in passato in un contesto di reti di sicurezza sociale meno sviluppate rispetto ad altri Paesi europei.

Durante gli anni ’70 e ’80, l’Italia ha vissuto periodi di alta inflazione. In risposta, le famiglie italiane hanno adottato una mentalità di risparmio e investimento pianificato per proteggere il proprio patrimonio. Questi, e altri fattori combinati, hanno contribuito a creare una cultura del risparmio radicata profondamente nella società italiana. Anche se le dinamiche stanno cambiando negli ultimi anni, soprattutto tra le generazioni più giovani: ma l’eredità di questa mentalità rimane forte​.

I dati Censis

Secondo quanto pubblicato dal Censis solo pochi mesi fa, il sistema valoriale dei risparmiatori italiani si completa con un sistema di protezione sociale ampio e articolato capace di far sentire le persone con spalle coperte, generando equità e coesione sociale. La cultura pragmatica dei risparmiatori italiani del 2024 è un formidabile antidoto ad ogni semplicistico estremismo ideologico rispetto a economia e finanza.
La buona notizia è che gli italiani anche quest anno si confermano risparmiatori, malgrado tutto. Dichiara di riuscire a risparmiare quasi il 77% degli italiani e, in particolare, risparmia il 77,3% dei residenti al NordOvest, il 77,3% dei residenti al Nord-Est, il 77,2% al Centro e il 75,7% al Sud e Isole. Varia l’intensità della creazione di risparmio con il 39,3% che risparmia fino al 5% del proprio reddito annuo, il 33,2% risparmia tra il 6% e il 15%, il 17,2% risparmia tra il 15% e il 20%, infine il 10,3% oltre il 20%.

Una notevole diversità di stati d’animo nei confronti dei propri risparmi si rileva in relazione ai livelli di reddito: bassi redditi (40,7%) e chi risparmia fino al 5% del proprio reddito (43,3%) indicano come stato d’animo prevalente la preoccupazione che invece non è così presente tra gli alti redditi (18,9%) e chi risparmia almeno il 15% del proprio reddito (20%). Il senso di sicurezza invece è richiamato dal 18,4% dei risparmiatori a basso reddito e dal 14,3% dei piccoli risparmiatori di contro al 39,8% di quelli a reddito più alto e al 35,4% dei grandi risparmiatori. Si manifesta una sensibile erosione del potere attrattivo della liquidità rispetto agli anni precedenti. Il 45,8% dei risparmiatori italiani dovendo investire le proprie risorse in questo momento storico opterebbe per strumenti finanziari, solo il 32,4% li terrebbe liquidi, il 21,8% investirebbe in immobili.

Che cosa possiamo aspettarci?

Le famiglie italiane stanno modificando la composizione del loro portafoglio finanziario, aumentando gli investimenti in titoli obbligazionari e riducendo i depositi a vista. Questo cambio è legato al tentativo di ottenere rendimenti più alti in un contesto di tassi di interesse più elevati. Il governatore della Banca d’Italia ha sottolineato la necessità di ridurre il debito pubblico per migliorare la situazione economica generale. Se si confermasse l’allentamento delle condizioni monetarie previsto per i prossimi mesi, questa potrebbe rappresentare una buona notizia per le famiglie, riducendo i costi dei finanziamenti, sostenendo la capacità di spesa​ e creando nuove aree per il risparmio. Come quella delle “small cap”.

Si sta concretizzando quanto preconizzato da Federico Freni, Sottosegretario di Stato al MEF, che aveva individuato le possibili soluzioni al problema di frammentazione che limita l’afflusso dei capitali verso il tessuto produttivo italiano. L’approccio principale, diceva, “deve essere piuttosto quello di rendere attrattivo l’investimento sul piano della massimizzazione del profitto”. E sottolineava l’impegno a intensificare la ricerca. “Se non investiamo nella ricerca il nostro mercato finanziario muore: le small cap quotate non esistono perché la ricerca in questo Paese non c’è più”.