GAM: L’inflazione negli Stati Uniti presenta un quadro contrastante per la FED
L’indice dei prezzi al consumo (CPI) headline mensile è stabile, ma i costi delle case determinano un aumento dell’inflazione core, riducendo la prospettiva di un taglio dei tassi dello 0,5% per questa settimana.
Un altro mese, un altro dato un po’ scomodo. L’inflazione CPI (Indice dei prezzi al consumo) degli Stati Uniti si è attestata al 3,2% rispetto all’anno precedente, esattamente lo stesso dato di luglio. La “scomodità” deriva non solo dal fatto che il “processo” di disinflazione si sia nuovamente fermato, ma che sia l’inflazione core (al netto di cibo ed energia) che quella dei servizi sono rimaste saldamente inalterate. L’assicurazione auto in America, ad esempio, è rimasta più alta del 16,5% rispetto a un anno fa, mentre anche i costi degli alloggi sono rimasti ostinatamente alti.
La reazione del mercato rispetto a quella degli analisti alla pubblicazione è stata istruttiva. I rendimenti di tutto lo spettro delle scadenze del mercato obbligazionario sono aumentati, con il rendimento del Treasury USA a due anni (una buona indicazione per i tassi di interesse futuri) in rialzo al 3,65%. Ma una rapida e non scientifica indagine della stampa finanziaria all’indomani della pubblicazione rivela un consenso continuo sull’inevitabilità di un taglio dei tassi questa settimana. Può darsi che sia così, ma sembra almeno che lo scenario di un taglio di 50 punti base sia divenuto un po’ meno convincente. A prescindere da tutto, il doppio mandato della Federal Reserve implica che non può basare la sua scelta di un taglio aggressivo (o di qualsiasi altro taglio) solo sull’indebolimento del mercato del lavoro. Ora bisognerà creare una narrativa che spieghi perché il secondo dato consecutivo di inflazione al 3,2% fa parte del piano.

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Sala Stampa