Politiche economiche espansive. Disoccupati e reinserimento lavorativo nel Terzo Settore. Intervista a Warren Mosler
L’idea di reinserimento lavorativo nel Terzo Settore di disoccupati retribuiti dal settore pubblico, previo corso di formazione/aggiornamento specifico (non solo per lavori manuali, ma anche per mansioni che richiedono abilità intellettuali e/o creative e che comportano diversi livelli di retribuzione) è uno spunto utile e coerente con le politiche economiche espansive del Super Piano Marshall proposto nel Rapporto Draghi, in cui un intero capitolo è stato dedicato alla coesione sociale.
Qualche domanda a Warren Mosler, co-fondatore della Modern Money Theory, la scuola di pensiero economico che pone al centro il Lavoro Garantito come strumento per ottenere il pieno impiego unitamente alla stabilità dei prezzi.
Intervista a Warren Mosler
a cura di
— Francesco Chini
vicepresidente Bottega Partigiana —
Secondo lei che tipo di società sarebbe quella dove le idee della MMT fossero accettate e applicate? In altre parole, quale sarebbe la società che Warren Mosler vorrebbe?
Di certo sarebbe un luogo ben diverso dove vivere. Sarebbe una società dove il settore pubblico si occupa molto di più, rispetto a oggi, di perseguire politiche a vantaggio dell’interesse collettivo. Una società dove c’è sempre disponibilità di buoni posti di lavoro per chi è in grado di lavorare, dove c’è un buon sistema sanitario pubblico, un buon sistema scolastico pubblico, dove il settore finanziario ha dimensioni molto più ridotte rispetto a quelle odierne, dove le attività economiche private si contendono i lavoratori, dove quindi le aziende fanno di tutto per andare incontro alle esigenze dei consumatori ma- soprattutto- dove le persone sono importanti.
Di sicuro sarebbe una società più simile, in termini di politiche economiche, a quella degli anni Cinquanta e degli anni Sessanta, quando l’economia keynesiana dominava. Con la sostanziale differenza, però, che l’economia keynesiana non aveva una reale comprensione della composizione dei prezzi e delle dinamiche inflative riferite ai prezzi e queste lacune furono sfruttate in seguito alle crisi petrolifere degli anni Settanta per smantellare il sistema economico keynesiano e quindi per ritornare al monetarismo.
Sotto questi aspetti, la MMT risulta essere un quadro di analisi molto più efficiente rispetto a quello keynesiano “tradizionale”.
La MMT è quindi un qualcosa di molto più difficile da abbattere rispetto all’economia keynesiana. Non so se io arriverò a vedere il giorno in cui sarà davvero possibile vivere in una società dove le idee della MMT sono accettate e attuate, ma penso che quel giorno arriverà. In ogni caso, io mi sto impegnando affinché quel giorno arrivi il prima possibile.
Quali potrebbero essere i benefici di attuare un piano di Lavoro Garantito?
In estrema sintesi, la politica economica ora in uso (quella cioè che prevede un “tasso naturale di disoccupazione”) scarica l’onere del controllo dei prezzi sul disoccupato. Secondo questo modello, attualmente ancora dominante, più la disoccupazione è alta e più c’è stabilità dei prezzi. La MMT dimostra invece che è possibile conseguire una condizione permanente di pieno impiego unita alla stabilità dei prezzi. È per tale ragione che, quando affermo che “la disoccupazione è un crimine contro l’umanità”, lo dico a ragion veduta.
Va ricordato che il fenomeno della disoccupazione è causato dal settore pubblico. Al fine di potersi approvvigionare della manodopera e dei beni e servizi necessari al proprio funzionamento, il settore pubblico impone la tassazione. Ossia, impone un “elemento di coercizione” attraverso cui forzare l’utilizzo della propria valuta. Quindi, se il settore pubblico non emette sufficiente valuta (per assolvere agli obblighi fiscali e per soddisfare le esigenze di
risparmio dei privati), la conseguenza è l’insorgere della disoccupazione.
Con il Lavoro Garantito, invece, per un cittadino sarebbe sempre possibile accedere a un impiego retribuito dal settore pubblico. Il livello di retribuzione degli aderenti al Lavoro Garantito sarebbe determinato dal settore pubblico con un salario minimo. Finché tale livello di retribuzione non viene modificato dal settore pubblico, non si crea alcun tipo di tensione inflattiva. In altre parole, il settore pubblico determina un prezzo (ossia, quanta valuta ricevere
per un’ora di lavoro) e lascia che il numero di lavoratori aderenti al Lavoro Garantito fluttui in base all’andamento dell’economia. In realtà, il sistema del Lavoro Garantito non solo non crea tensioni inflattive, bensì agisce esso stesso come meccanismo di controllo dell’inflazione.
Si tratta di un meccanismo molto più efficiente del controllo delle tensioni inflattive rispetto a quello attuale, dove si lasciano i cittadini senza lavoro e si fa aumentare la disoccupazione nella speranza che così facendo sia possibile ridurre le spinte inflazionistiche.
Introdurre il Lavoro Garantito avrebbe un impatto positivo sia nel breve sia nel lungo periodo?
La risposta è ovviamente sì. Il benessere di una nazione è dato anzitutto da quanto essa produce a proprio godimento. Più persone che lavorano significa incentivare ulteriormente la produttività, poiché quando si ha una condizione di pieno impiego su base permanente allora si ha un grande incentivo ad aumentare la produttività. Il motivo è che, quando si è in una condizione reale di pieno impiego, solo aumentando la produttività è possibile crescere
ulteriormente dal punto di vista economico. Pertanto, sono proprio le politiche di pieno impiego a creare le condizioni affinché tutto il sistema economico sia incentivato ad aumentare la produttività.
Perché secondo lei è meglio trattare la questione dell’eliminazione della disoccupazione non come una questione di diritti, ma come un danno perpetrato dal settore pubblico sul cittadino?
Sì tratta di un tema davvero importante. Quanto va compreso è che la disoccupazione è creata, per definizione, dall’imposizione della tassazione da parte del settore pubblico. Attraverso l’imposizione della tassazione, il settore pubblico fa sì che i cittadini necessitino della valuta emessa dal settore pubblico per assolvere agli obblighi fiscali e quindi il settore pubblico dovrebbe, quale conseguenza logica, assumere tutte le persone rimaste disoccupate per
consentire loro di pagare i tributi. Il problema è che con l’imposizione- per mezzo della valuta dei tributi, il settore pubblico ha creato più disoccupati di quelli che poi è disposto ad assumere, cioè a far lavorare. La disoccupazione è quindi frutto di una “disfunzione di struttura”, in quanto sono prima stati imposti tributi (nella valuta emessa dal settore pubblico, come è ovvio che sia) mapoi non sono stati assunti quei disoccupati creati proprio in seguito all’imposizione della tassazione.
A mio parere, questo errore necessita di essere sanato sia riducendo la pressione fiscale complessiva sia assumendo le persone (che, per come il sistema si struttura, l’imposizione dei tributi ha reso disoccupate) per mezzo di un impiego retribuito dal settore pubblico. In altre parole, con un piano di Lavoro Garantito.
Durante l’estate è uscita su Bloomberg una sua intervista dove lei affermava che gli USA stanno spendendo come “un marinaio ubriaco”. Vedere che uno dei fondatori della MMT, scuola economica che si è sempre caratterizzata in passato per criticare la mancanza di spesa pubblica, ora faccia una critica riferita all’eccesso di spesa pubblica sembra una cosa strana. Ci può spiegare il perché di questa sua critica al modo con cui gli USA oggi stanno facendo spesa pubblica?
Questa domanda mi fa venire in mente quando, negli anni Ottanta, ero andato in Argentina invitato a parlare da alcuni esponenti istituzionali.
All’epoca il tasso d’inflazione annua in Argentina era al 36%. La banca centrale argentina sosteneva che, per ridurre l’inflazione, era necessario che i tassi d’interesse fossero più alti del tasso d’inflazione e quindi la banca centrale stabiliva i tassi d’interesse al 40%. Dopo qualche mese l’inflazione aveva superato il 40%, così la banca centrale decise di portare i tassi al 50%.
L’inflazione però continuava a salire. Ogni volta la banca centrale alzava i tassi e ogni volta l’inflazione aumentava. Ricordo che l’ultimo aumento dei tassi li aveva portati all ’80%. Andai a parlare con il governatore della banca centrale argentina, chiedendogli se fosse certo che aumentare i tassi frenasse l’inflazione e facemmo una riunione sul tema insieme ai suoi collaboratori.
La mia posizione era- ed è ancora oggi- che il “tasso naturale” (ossia quello che crea meno alterazioni nella dinamica fra creditori e debitori) è zero. Dopo questo colloquio, la banca centrale argentina non portò i tassi a zero (come avevo sperato facesse), però li ridusse dall’80% al 40%. Ciò generò immediatamente una significativa riduzione dell’inflazione, che scese arrivando in linea con il livello dei tassi.
Tornando alla domanda, la mia critica a come gli USA oggi spendono non fa riferimento alla spesa pubblica in sé bensì si rivolge in particolar modo all’attuale politica monetaria perseguita dalla banca centrale statunitense cioè la Federal Reserve. Seguendo i dettami dell’ortodossia economica, la Federal Reserve cerca di ridurre l’inflazione aumentando i tassi d’interesse.
L’idea di fondo è la medesima espressa all’epoca dal governatore della banca centrale argentina, ossia che aumentare i tassi d’interesse provochi un rallentamento dell’attività economica. Nella situazione attuale in USA, con un debito pubblico superiore al 100% del PIL, l’aumento dei tassi d’interesse non solo non fa rallentare l’attività economica bensì accelera l’attività economica. Il canale di liquidità derivante dalla corresponsione degli interessi sui titoli
di Stato è talmente grande da più che ampiamente controbilanciare ogni possibile effetto regressivo derivante dall’aumento dei tassi.
Può anche darsi che, in un periodo di tassi alti, si verifichino anche episodi di riduzione dell’inflazione. Questi episodi di solito sono da correlarsi all’andamento di materie prime quali il petrolio. Se il petrolio scende, allora è possibile che l’inflazione diminuisca anche se la banca centrale ha aumentato i tassi.
Va inoltre notato che tassi alti significa dare un “reddito di cittadinanza” in favore di chi ha già soldi, sotto forma di cedole sui titoli di debito pubblico. Più i
tassi salgono e più queste cedole sono pingue. In altre parole, tassi elevati come oggi in USA significa attuare una politica economica oscenamente regressiva, dove i più ricchi tendono a diventare ancora più ricchi. Per questo affermo che oggi gli USA spendono come un “marinaio ubriaco”. Invece di spendere per migliorare istruzione, sanità, ordine pubblico, coesione sociale, et cetera, si spendono cifre oscene solo per permettere a chi è ricco di diventare sempre più ricco.

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Mente e denaro
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