Powell non ha fretta, ma la Fed si dirige verso la neutralità

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Un “soft landing” ci sembra ancora lo scenario più probabile (65% di probabilità) in un orizzonte temporale di 6-12 mesi. I dati pubblicati nell’ultima settimana lo confermano: anzitutto, in agosto l’indice dei prezzi per la spesa per i consumi personali (PCE Core) si è attestato allo 0,13% mese su mese, molto al di sotto del dato necessario a raggiungere l’obiettivo del 2% stabilito dalla Fed. Un trend che, se dovesse proseguire, porterebbe l’inflazione su base annua a scendere al di sotto del target del 2% entro la prossima primavera.

Per quanto le nuove offerte di lavoro abbiano registrato un aumento inatteso, il rapporto tra posti vacanti e lavoratori disoccupati (v/u), a nostro avviso la misura più indicativa del disequilibrio del mercato del lavoro, è rimasto intorno a 1,1, in linea con la media del 2018-2019 e vicino alla cosiddetta “soglia di Beveridge” di 1, raggiunta la quale le condizioni del mercato del lavoro non rappresenterebbero più un rischio al rialzo per l’inflazione. Inoltre, sappiamo che il numero di licenziamenti è contenuto e dal rapporto di domani ci attendiamo una crescita dei posti di lavoro dell’ordine di 140-150mila unità, un dato abbastanza elevato da mantenere una pressione al ribasso sul tasso di disoccupazione.

Powell ha dichiarato che altri due tagli da 25 punti base l’uno sarebbero coerenti con le proiezioni presentate nel corso della riunione del FOMC di settembre. La “direzione di marcia” è ormai chiara: la Fed si avvicinerà alla “neutralità”, al 3-3,5% sui Fed Funds, ma la velocità con cui raggiungerà il traguardo dipenderà dalla crescita dei salari e dal tasso di disoccupazione, anche se verosimilmente occorrerà aspettare fino alla seconda metà del 2025.

Sul fronte dei mercati, ci aspettiamo che la curva dei rendimenti dei Treasury statunitensi rimanga piatta (come negli anni ’90), ma i rendimenti obbligazionari dovrebbero abbassarsi lungo tutta la curva. Crediamo che solo un ritmo più rapido dei tagli dei tassi, indotto dai timori di recessione, potrebbe innescare un forte irripidimento della curva dei rendimenti. Un atterraggio morbido dovrebbe portare all’indebolimento del dollaro, mentre un taglio dei tassi senza un reale rischio di recessione dovrebbe avere conseguenze positive per i mercati e portare ad uno scenario risk-on, con gli investitori disposti ad acquistare asset più rischiosi.