Il passaggio generazionale
Si profila all’orizzonte un imponente passaggio intergenerazionale di ricchezza. Uno degli effetti nascosti della denatalità che da molti anni preoccupa il Paese è che, a causa della prolungata flessione delle nascite, il numero degli eredi si riduce, quindi in prospettiva le eredità si concentrano.
Lo sottolinea il Rapporto annuale del Censis sullo stato di salute del Paese. La gran parte della ricchezza privata è riconducibile alla popolazione oggi classificabile come anziana o che comunque lo sarà nell’immediato futuro.
I nuclei familiari con un capofamiglia appartenente alla “generazione silenziosa” (che comprende i nati prima della Seconda guerra mondiale) detengono una ricchezza media di circa 280.000 euro, a fronte di una ricchezza media di oltre 360.000 euro per le famiglie con a capo un baby boomer (i nati tra il dopoguerra e i primi anni ’60), di oltre 300.000 euro per le famiglie riconducibili alla “generazione X” (i nati tra il 1965 e il 1980) e di circa 150.000 euro per le famiglie di millennial e “generazione Z”, cioè i nati negli ultimi decenni dello scorso secolo e nei primi anni del nuovo millennio. Le famiglie della generazione silenziosa e del baby boom rappresentano insieme il 51,3% del totale delle famiglie (il 35,4% sono nuclei di baby boomer), ma a loro appartiene il 58,3% della ricchezza netta (il 43,3% alle famiglie di baby boomer) (fig. 20).
I dati demografici evidenziano in modo netto la contrazione delle generazioni avvenuta tra il 1984 e il 2024. Nel 1984 le coorti di giovani di età compresa tra i 20 e i 29 anni e tra i 30 e i 39 anni erano pari, rispettivamente, al 14,6% e al 13,4% della popolazione. Nel 2004 pesavano rispettivamente per il 12,6% e il 16,2% − diminuendo, nel primo caso, del 12,3% e aumentando, nel secondo caso, del 22,7%. Il ventennio successivo si è caratterizzato per un andamento regressivo più spinto, a causa della diminuzione del tasso di fecondità, ovvero del numero medio di figli per donna.
Così, rispetto a vent’anni prima, nel 2024 i 20-29enni (-17,5%) e i 30-39enni (-29,4%) sono diminuiti in entrambi i casi e in misura maggiore, rappresentando oggi quote molto inferiori della popolazione complessiva, pari rispettivamente al 10,2% e all’11,2% del totale. Una tendenza involutiva destinata a proseguire nei prossimi anni: si prevede che nel 2044 i 20-29enni si saranno contratti ulteriormente del 15,6% rispetto a vent’anni prima e i 30-39enni dello 0,2% (tab. 27).
In futuro il valore dei patrimoni familiari è destinato quindi a concentrarsi in gruppi più ristretti della popolazione per effetto della deriva demografica di lungo periodo. Il 2008 è stato l’anno dopo il quale è iniziata una fase di riduzione del numero dei nati senza interruzioni anno dopo anno. Rispetto ad allora, nel 2023 abbiamo registrato circa 200.000 nascite annue in meno (-34,1% in quindici anni). Se si considera che nello stesso arco di tempo il numero delle donne in età feconda (statisticamente, per convenzione, la popolazione femminile di 15-49 anni di età) è diminuito di 2,3 milioni (-16,6%), si comprende che ben due terzi (circa il 63%) del minore numero di nascite è da attribuire alla forte riduzione delle potenziali madri .
Ciò significa che il processo di denatalità è destinato inesorabilmente a perpetuarsi anche qualora si riuscisse miracolosamente a invertire la traiettoria declinante del tasso di fecondità. Di conseguenza, il calo demografico determinerà un incremento della quota pro-capite delle future eredità, diminuendo in prospettiva la numerosità dei millenial e degli zoomer futuri percettori.
Resta da chiedersi quale sarà l’effetto psicologico dell’attesa su coloro che sanno di essere destinatari di un atto di successione. Probabilmente una minore intraprendenza, una ridotta propensione al rischio imprenditoriale, compressa dalle aspettative di chi si sente, o crede di essere, un potenziale rentier.

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