L’empatia che salva il clima. Come una ONG a Bali ripristina barriera corallina e fiducia
🍃 L’empatia che salva il clima – in collaborazione con Mangrovia 🍃Il modo in cui raccontiamo il cambiamento climatico è carico di bias e polarizzazioni. E se provassimo un approccio diverso? Il pezzo scritto per Mangrovia parla di cambiamento climatico, contromisure, ma soprattutto di quali tecniche possiamo usare per raccontare tutto questo in modo diverso da quanto facciamo adesso dentro e fuori dai giornali. Mangrovia è un progetto editoriale ricco e complesso, che l’autrice ha amato sin dalle sue prime uscite perché mescola saperi e linguaggi che di solito non troviamo accostati quando parliamo di ambiente e cambiamento climatico. Qui trovate la sinossi in Italiano L’empatia che salva il clima. Come una ONG di Bali ripristina barriera corallina e fiducia. Siamo abituati a raccontare il cambiamento climatico come un fenomeno divisivo che ha come protagonisti attivisti e menefreghisti. Un racconto da cui i sentimenti umani sono stati del tutto espulsi a favore di dati e fatti usati spesso, però, come armi per attaccare l’una o l’altra fazione, anziché come strumenti di comprensione. E se la chiave per metterci d’accordo stesse proprio nell’includere, anziché escludere, le emozioni che nascono da questa lotta? Dall’Indonesia una storia di ascolto e di empatia che ha molto da insegnare. Paura, pessimismo, rabbia. Anche i sentimenti umani possono intralciare la lotta al cambiamento climatico. A meno che non vengano affrontati, diventando il carburante di cui quella lotta ha bisogno. È quello che sta provando a fare una ONG di Bali, in Indonesia, la North Bali Reef Conservation, che in otto anni è riuscita a combattere l’iniziale diffidenza di alcuni abitanti per ricostruire una porzione di barriera corallina. Il tutto puntando, oltre che su un buon progetto, su un approccio empatico per coinvolgere volontari e residenti. Il timore del cambiamentoAnche se può sembrare controintuitivo – chi mai si opporrebbe a un progetto che fa bene all’ambiente? – tutti gli interventi che portano a vivere o sfruttare una porzione di mondo in modo diverso da quanto fatto fino a quel momento, possono generare timori o frizioni. Accade a Bali come in altre parti del pianeta: se hai sempre pescato in quelle acque o se per portare i turisti attraccavi vicinissimo alla costa, la prospettiva di cambiare abitudini o avere un gruppo di estranei, persino stranieri, che ti dicano che non si deve più fare, può scontrarsi con i tuoi radicati bisogni e le tue radicate abitudini (per quanto deleterie esse siano). Forse il rapporto che abbiamo con l’ambiente ha poco a che fare con la natura in sé e molto più con le emozioni che proviamo quando entriamo in relazione, direttamente o indirettamente, con quell’oceano, quel bosco, quella montagna o quel fiume. Non pensiamo al fiume o al bosco, ma a come siamo abituati a (non) viverli o a (non) sfruttarli. Ripristinare fondali e fiduciaLa vita marina non fa eccezione. Secondo i dati del Marine Ecological Research Management AID (MERMAID), parte del programma Ocean Deaced promosso dall’UNESCO e dalle Nazioni Unite, entro il 2050 il 90% dei coralli e delle barriere rischia di sparire per cause come inquinamento, sfruttamento, turismo irresponsabile. Un danno con effetto domino: questi ecosistemi garantiscono biodiversità, sostentamento per le creature marine e assorbono fino al 95% dell’energia delle onde proteggendo le coste. «Quando abbiamo iniziato, l’area del reef (nella provincia di Tianyar a est dell’isola, ndr) era quasi interamente ricoperta di sabbia», spiega Ni Luh Putu Sukmawati (nome abbreviato Sukma), indonesiana di appena 23 anni ma già tra le coordinatrici del progetto co-fondato dallo scienziato marino Zach Boakes. «Il nostro obiettivo originale era ripristinare quest’area della barriera corallina costruendo barriere artificiali. Ora abbiamo realizzato e installato oltre 30.000 strutture artificiali e la maggior parte dell’area è stata ripopolata». Zach BoakesCo-fondatore della North Bali Reef Conservation, è uno scienziato marino la cui ricerca si è concentrata sui benefici ecologici, funzionali e socio-economici del ripristino delle barriere coralline a Bali, in Indonesia. La trasformazione è documentata anche sul canale YouTube del gruppo. In circa tre anni il fondale è passato da desertico e sabbioso a vivo e colorato, pieno di pesci, stelle marine, alghe e vegetazione non solo bellissime da vedere ma fondamentali per proteggere il litorale, come confermato anche da diverse pubblicazioni scientifiche sottoposte a peer review (qui, qui e qui). Ma questo è l’aspetto razionale della storia, quello che non spiega come sia possibile raggiungere un simile risultato. Anche il migliore dei piani, infatti, può fallire se non c’è dialogo con chi in quelle aree ci vive. Se non c’è immedesimazione anche nei panni di chi può non condividere una diversa visione dell’ambiente. |



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