Diversificare per proteggersi dall’incertezza
Il motto dell’amministrazione Trump è “America first”, la priorità dell’interesse americano è la bussola che ne orienta l’azione di governo e pazienza se tutti gli altri sono “second”. Ma quanto sta accadendo negli Stati Uniti non è solo il perseguimento di interessi, la vera novità è il completo ribaltamento della prospettiva storica e politica.
Gli americani più vecchi, quelli che hanno sempre pensato che il comunismo e la Russia fossero “avversari naturali” degli Stati Uniti, fanno fatica ad adeguarsi al nuovo corso della politica americana. È tale il rovesciamento di valori che il partito Repubblicano invita i propri deputati e senatori a stare alla larga dai “town hall”, le assemblee cittadine in cui il deputato incontra i suoi elettori in pubblici dibattiti.
La sospensione dei town hall non solo rivela che i “Free Speecher” in realtà temono il “free speech”, mostra anche una inedita rottura con la loro storia: la libertà di parola e di stampa sono ingredienti indispensabili alla partecipazione dei cittadini alla vita pubblica che, nella tradizione politica americana, legittima l’ordinamento giuridico.
Non è l’unica contraddizione di queste prime cinque settimane della seconda presidenza Trump, punteggiate da un ininterrotto carosello di sorprese.
È stato sorprendente il modo in cui è terminata la visita alla Casa Bianca del presidente ucraino, altrettanto sorprendente è stata, pochi giorni prima, la dichiarazione sull’Unione Europea nata “per fregare gli Stati Uniti”. Al netto del linguaggio poco istituzionale, l’affermazione è grossolanamente falsa. Magari l’Unione Europea fosse nata “per fregare gli Stati Uniti”!
Sarebbe stato perlomeno un progetto, un disegno coerente frutto di una coesione politica che nella realtà non è mai esistita.
Il processo di unione europea nasce sulla diffidenza reciproca, il Trattato sul carbone e sull’acciaio del 1951 che istituiva la CECA, embrione dell’Unione Europea, venne fortemente voluto dagli Stati Uniti il cui interesse era dotarsi di un blocco occidentale da opporre al blocco sovietico che stava prendendo forma nell’Europa dell’Est.
Come Fantozzi con il panettiere, anche i più entusiasti sostenitori di Trump cominciano ad avvertire qualche dubbio, la prospettiva di perdurante incertezza è un freno agli investimenti a lungo termine, le aziende potrebbero assumere un atteggiamento di attesa prima di mettere mano al portafoglio per investimenti e per le spese in generale.
Dalle elezioni di novembre, la “Trumponomics 2.0” è stata vento nelle vele dei listini ma ora sta diventando kryptonite, la narrazione delle mirabili sorti e progressive per l’economia americana viene sostituita da una narrazione più realistica che ammette come le misure economiche promesse possano essere dannose. I dazi sulle importazioni di acciaio e alluminio rendono più costose le produzioni e ne risentiranno i ricavi e i margini, le misure ritorsive faranno salire i costi dell’accesso ai mercati esteri e delle catene delle forniture, il rimpatrio degli immigrati irregolari causerà scompensi nel mercato del lavoro, le iniziative “DOGE” sui tagli alla spesa minacciano la sicurezza finanziaria di migliaia di persone.
Le vendite al dettaglio hanno registrato il calo maggiore in quasi due anni e si appanna la fiducia dei consumatori, l’ultima lettura del Conference Board mostra il calo maggiore dall’agosto 2021, ma in quel periodo gli Stati Uniti erano alle prese con la variante Delta del coronavirus.
L’esaurimento dell’eccezionalismo americano comporterebbe il rallentamento della crescita globale, l’Eurozona che il Regno Unito sono alle prese con i rischi di recessione, la Cina osserva da lontano ma fa ancora i conti con le difficoltà economiche interne.
Cambia qualcosa anche nei mercati finanziari che fino ad oggi sono stati accondiscendenti con le intemperanze del presidente. Nei primi trenta giorni dall’insediamento, gli indici hanno continuato a macinare record superando in scioltezza minacce, dichiarazioni, giravolte. Ora sta cambiando qualcosa e il “presidente più favorevole al mercato azionario di sempre”, come lo definì Jeremy Siegel, sembra meno favorevole, il rally si è esaurito, il mese di febbraio è stato negativo, il Dow è sceso dell’1,6%, lo S&P 500 ha ceduto l’1,4%, il Nasdaq il 4%.
Benché Trump abbia smesso di parlare dei successi di Wall Street, forse la performance dei listini resta l’unica rete di sicurezza agli eccessi presidenziali, nessun presidente come Donald Trump ha legato le variazioni dei prezzi di borsa alla propria azione di governo. Il mercato si aspetta iniziative politiche favorevoli ma, se non dovessero manifestarsi, la fiducia “potrebbe continuare a erodersi’ scrive Katie Martin del Financial Times.
Sul piatto ci sono molte incognite e molti esiti, imprevedibili come le traiettorie delle palle del biliardo nella similitudine di Nassim Taleb con i mercati finanziari. Ci si protegge dagli eventi negativi evitando gli esercizi previsivi e diversificando quanto più possibile i portafogli di investimento.

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