Fed verso due tagli nella seconda parte dell’anno

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Riflettendo sulla recente riunione della Federal Reserve e sulle sue proiezioni economiche aggiornate, la conclusione principale è che esiste un delicato equilibrio tra crescita economica e rischi di inflazione. La Fed ha rivisto al ribasso le previsioni di crescita del Pil, indicando che le politiche già in atto, insieme alla maggiore incertezza nell’economia globale, dovrebbero far rallentare la crescita degli Stati Uniti nel corso dell’anno. Tuttavia, una revisione al rialzo delle proiezioni sull’inflazione suggerisce che le pressioni sui prezzi, in particolare in settori come beni e servizi, potrebbero persistere. Questa divergenza è insolita, poiché in genere un rallentamento dell’economia corrisponde a un’inflazione più bassa. Tuttavia, la Fed sembra interpretare le pressioni inflazionistiche, soprattutto quelle dovute ai dazi, come uno shock una tantum, supponendo che si normalizzeranno entro il 2026.

Le proiezioni economiche della Fed segnalano un approccio cauto di fronte a questa incertezza. Pur riconoscendo una crescita più lenta e un’inflazione più elevata, il FOMC ha mantenuto una prospettiva relativamente conservativa, con solo due tagli dei tassi previsti più avanti nel corso dell’anno. Tuttavia, è importante notare che, mentre l’aspettativa mediana suggerisce due tagli dei tassi, una parte significativa dei membri del FOMC non si aspetta tagli o ne prevede solo uno, a dimostrazione del dibattito interno su come bilanciare i rischi di inflazione con le preoccupazioni sulla crescita. Il mercato, che sta scontando tagli più aggressivi, potrebbe non prezzare appieno i segnali incorporati in queste proiezioni.

Da un punto di vista macroeconomico, sebbene sia probabile un rallentamento della crescita negli Stati Uniti, in particolare con l’affievolirsi degli stimoli fiscali e il rallentamento del mercato del lavoro, ritengo che la probabilità di una recessione a breve termine sia ancora bassa. La crescita potenziale degli Stati Uniti rimane intorno al 2%, che è modesta ma non indicativa di una grave recessione. I fattori che contribuiscono a questa crescita più lenta includono il calo dell’impulso fiscale e l’impatto decrescente dei risparmi legati alla pandemia, nonché l’offerta di manodopera più limitata, in parte dovuta alla riduzione dei flussi migratori. Anche se potremmo dover affrontare alcuni venti contrari economici, la traiettoria di crescita complessiva dovrebbe rimanere al di sopra dei livelli di recessione.

 

Guardando all’inflazione, il quadro è più complicato. I costi degli alloggi, in particolare l’equivalente affitto dei proprietari, sono stati un fattore chiave dell’inflazione, ma ci sono segnali che questa componente potrebbe normalizzarsi con l’adeguamento del mercato degli affitti. Tuttavia, ci sono rischi al rialzo in altre aree, in particolare per i beni e i servizi. I dazi sulle importazioni cinesi, in particolare, stanno contribuendo alle pressioni inflazionistiche sui prezzi dei beni. Anche il mercato del lavoro rimane una variabile imprevedibile, con una carenza di manodopera in alcuni settori, soprattutto nei servizi al di fuori dell’edilizia abitativa, che potrebbe far aumentare i salari e sostenere le forze inflazionistiche.

A livello globale, stiamo assistendo a un cambiamento nelle dinamiche economiche, con l’Europa che mostra segni di ripresa, in particolare grazie a una spesa fiscale significativa in Germania. Questa spinta fiscale, sebbene inizialmente concentrata sulla difesa, viene ora destinata anche alle infrastrutture, segnalando un potenziale di crescita a lungo termine. Nel frattempo, la ripresa economica della Cina, sebbene più incerta, potrebbe fornire un ulteriore sostegno alla crescita globale.

In conclusione, nonostante la crescita sia più lenta e i rischi di inflazione persistano, è improbabile che l’economia statunitense scivoli in una recessione. L’atteggiamento cauto della Fed, insieme alle incertezze geopolitiche e interne, continuerà a plasmare le prospettive economiche, rendendo questo un momento cruciale per i policymaker, che devono continuare a basarsi sui dati e rimanere flessibili.