AXA IM – Prospettive per azioni e obbligazioni in un contesto macroeconomico incerto
Migliaia di miliardi di dollari in ricchezza delle famiglie sono andati persi a causa del crollo dei mercati azionari. Si rischia lo sviluppo di un pericoloso circolo vizioso, con il crollo della fiducia dei consumatori e delle imprese. Gli investitori devono proteggere la propria ricchezza: è probabile che asset class difensive e considerate beni rifugio continuino a sovraperformare le azioni. I mercati del credito si sono dimostrati più stabili dei mercati azionari, sostenuti dal calo dei tassi d’interesse. Tuttavia, con l’avvicinarsi della stagione degli utili del primo trimestre, il rischio è che le imprese americane non offrano prospettive incoraggianti. Le azioni erano sopravvalutate e gli spread creditizi molto compressi: il processo di adeguamento alla nuova realtà macroeconomica potrebbe essere ancora lungo.
Prezzo e volumi
Sebbene i dazi abbiano un impatto diretto sui prezzi (inflazione), i mercati sono concentrati sui volumi (crescita). Il cosiddetto “Liberation Day” ha scatenato i ribassisti: i mercati azionari globali sono crollati, i rendimenti obbligazionari sono diminuiti bruscamente e il dollaro si è indebolito rispetto alle principali valute. Negli ultimi giorni, i sondaggi statunitensi hanno evidenziato un crollo della fiducia sia dei consumatori sia delle imprese, e sempre più economisti prevedono apertamente una recessione negli USA. Se così fosse, dovremmo attenderci un calo dei margini di profitto aziendali, una riduzione dei redditi netti e un restringimento dei multipli prezzo/utili nel mercato azionario. Storicamente, la Fed ha reagito alle recessioni tagliando aggressivamente i tassi – e questo potrebbe essere lo scenario atteso, con conseguenti ribilanciamenti di portafoglio.
Spirale recessiva
Le regole della domanda e dell’offerta ci insegnano che, a parità di condizioni, se il prezzo di un bene aumenta, la domanda diminuisce.
La reazione delle imprese e dei consumatori statunitensi all’aumento inevitabile dei prezzi e dei costi causati dai dazi dipenderà dal tipo di bene e dall’esistenza di alternative (che siano però prodotte negli USA). I dazi cosiddetti “universali” faranno inoltre aumentare il costo totale delle importazioni, compresi i componenti e i beni intermedi, con conseguente incremento dei prezzi finali dei prodotti (principalmente americani). Il livello generale dei prezzi salirà, mentre i volumi caleranno, portando a uno scenario di stagflazione.
Per gli esportatori basati in Asia ed Europa, i dazi implicano una domanda ridotta (a causa dell’aumento dei prezzi affrontati dai clienti statunitensi) e ricavi più bassi nel caso decidano di ridurre i prezzi di vendita per compensare l’impatto dei dazi. A livello globale, una guerra commerciale potrebbe causare uno shock disinflazionistico una volta che le implicazioni del protezionismo si saranno manifestate pienamente. Il tutto sarà aggravato dall’indebolimento del dollaro.
Azioni: prospettive fosche
Il sistema commerciale globale è in subbuglio, le tendenze su prezzi e volumi indicano utili in calo, e nel settore tecnologico le rendite straordinarie dei pionieri dell’IA generativa stanno diminuendo a causa dell’aumento della concorrenza.
È difficile stimare con precisione il premio per il rischio azionario. Ma è generalmente riconosciuto che negli Stati Uniti, negli ultimi anni, tale premio sia stato molto basso. Il divario tra il rendimento degli utili azionari e il rendimento dei Treasury a 10 anni (utilizzato come proxy per il premio di rischio azionario) è stato inferiore all’1% nell’ultimo anno, contro una media storica del 3,3% in questo secolo. Un aumento del premio per il rischio, unito a utili in calo, implicherebbe prezzi azionari più bassi. La discesa dei rendimenti obbligazionari potrebbe aiutare – e dovrebbe farlo – ma per compensare questi due fattori servirebbe una riduzione dei tassi da parte della Fed ben superiore alle attese attuali di un ulteriore taglio di 100 punti base. Ovviamente, se ciò accadesse e i mercati azionari avessero già scontato il rallentamento della crescita, le azioni potrebbero tornare a essere un’opportunità. Ma stiamo guardando troppo in avanti, considerando che gli investitori globali sono probabilmente ancora sovraesposti all’azionario USA.
Obbligazioni: guardiamo ai bond indicizzati con duration breve
Rendimenti obbligazionari inferiori al 4% negli Stati Uniti e nel Regno Unito, e sotto il 2% in Europa, sono probabili in questo contesto in deterioramento – infatti, il Treasury statunitense a 10 anni ha infranto la soglia del 4% nella mattinata del 4 aprile. Le Banche Centrali dispongono di numerosi strumenti per affrontare una recessione e rischi disinflazionistici, qualora si concretizzassero. A un certo punto, sarà opportuno che gli investitori riflettano su come proteggersi al meglio da un’inflazione più elevata nel lungo periodo (azioni e obbligazioni high yield potrebbero tornare asset class di riferimento in una fase successiva, ma questo scenario è ancora prematuro). Un altro costo derivante da una risposta a una crisi economica globale sarà rappresentato da un maggiore indebitamento pubblico e da curve dei rendimenti più ripide nel tempo. In questo contesto, saranno preferite attività con duration bassa (o nulla), di alta qualità e basate su flussi di cassa, capaci di offrire un premio significativo rispetto alla liquidità, rispetto a asset class esposte al rischio di svalutazione nel lungo termine. Appare evidente l’attrattiva delle obbligazioni indicizzate all’inflazione con duration breve.
Rischi per l’economia americana
Una prima valutazione sui dazi indica che l’aliquota effettiva per gli Stati Uniti salirà tra il 20% e il 25%, il livello più alto dagli anni Venti del Novecento. I consumatori statunitensi finiranno per pagare gran parte del costo dei dazi, con conseguenze sul reddito disponibile e sulla spesa.
La domanda globale di prodotti statunitensi sarà probabilmente seriamente compromessa a causa dei dazi imposti da Trump. Nonostante le dichiarazioni teatrali di vittimismo, un argomento relativamente fondato è che gli Stati Uniti non producono beni che il resto del mondo desidera acquistare, o non riescono a farlo a prezzi competitivi o con una qualità adeguata. A ciò si aggiunge che gli americani tendono a spendere troppo e risparmiare troppo poco – fattore che spiega in gran parte il disavanzo commerciale.
Provocare una recessione non cambierà questa dinamica, se non per il fatto che consumatori americani impoveriti richiederanno meno importazioni. Né la politica dei dazi potrà modificare il fatto che i robot sono più economici ed efficienti nel produrre automobili: è davvero improbabile che vedremo orde di operai appena formati sulle linee di montaggio in Michigan o Louisiana come risultato di queste politiche. E se i produttori automobilistici spostassero uno stabilimento dal Messico agli Stati Uniti, non è detto che ciò comporti un aumento delle vendite.

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