Città del Vaticano, conti in rosso: il futuro Papa dovrà risanare un deficit da 70 milioni di euro

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I sacri palazzi guardano con preoccupazione ai conti in rosso della Santa Sede. Una delle eredità più complesse che Papa Francesco ha lasciato al suo successore è proprio quella economica: un deficit strutturale che oscilla intorno ai 70 milioni di euro annui, aggravato da anni di gestione difficile, scandali finanziari e un modello economico che fatica a reggere le sfide del presente.

Il bilancio consolidato della Santa Sede, distinto da quello del Governatorato (che gestisce le entrate museali e i servizi dello Stato Vaticano), è da tempo in sofferenza. Già prima della pandemia da Covid-19, i conti mostravano segnali di squilibrio. Tuttavia, l’emergenza sanitaria ha inferto un colpo durissimo alle entrate ordinarie – in primis le donazioni e gli incassi dei Musei Vaticani – e ha messo in luce la fragilità di un sistema economico fortemente dipendente da fonti di reddito esterne e discontinue.

Nel 2020, il deficit della Santa Sede ha raggiunto i 66,3 milioni di euro, su un bilancio totale di circa 300 milioni. L’anno seguente, nonostante un leggero miglioramento, si è confermato un buco da oltre 50 milioni. Nel 2022 il disavanzo è tornato a salire, aggravato dai costi crescenti per la gestione del personale, le attività diplomatiche e le missioni della Curia romana. Secondo alcune fonti, il 2023 si è chiuso con un disavanzo intorno ai 70 milioni di euro, nonostante gli sforzi di razionalizzazione avviati sotto il pontificato di Papa Francesco. Del 2024 non si sa ancora molto.

Le riforme (incompiute) di Francesco

Papa Bergoglio ha messo mano con decisione alla macchina finanziaria vaticana sin dai primi anni del suo pontificato. Ha avviato una riorganizzazione della Curia, creato il Consiglio per l’Economia, affidato a cardinali e laici, e ha dato mandato alla Segreteria per l’Economia, prima guidata dal cardinale George Pell, di imporre standard di trasparenza e controllo sui conti. Tuttavia, il cammino delle riforme è stato spesso frenato da resistenze interne, lotte di potere e scandali clamorosi.

Il caso più emblematico è quello legato all’acquisto dell’immobile londinese di Sloane Avenue, che ha coinvolto la Segreteria di Stato e ha portato a un processo penale conclusosi con condanne pesanti, tra cui quella al cardinale Angelo Becciu. Oltre al danno reputazionale, l’operazione ha causato una perdita stimata in decine di milioni di euro.

Il problema strutturale

A monte, tuttavia, c’è un problema più ampio: la Santa Sede spende più di quanto incassa. Le principali fonti di entrata – donazioni dei fedeli (l’Obolo di San Pietro), rendimenti immobiliari e finanziari, e attività culturali – non bastano a coprire i costi dell’apparato ecclesiastico e diplomatico. Gli investimenti finanziari, sebbene consistenti (il patrimonio complessivo della Santa Sede si stima superiore a 1,5 miliardi di euro), sono stati spesso gestiti con criteri opachi e poco redditizi.

La nuova gestione dell’APSA (Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica), affidata a monsignor Galantino, ha cercato di razionalizzare il portafoglio e dismettere gli immobili improduttivi. Ma il risultato, almeno finora, è stato solo un parziale contenimento del deficit.

Uno scenario difficile per il futuro Papa

Chi succederà a Papa Francesco troverà una Chiesa cattolica non solo sfidata dal secolarismo e dalle divisioni dottrinali, ma anche zavorrata da un bilancio cronicamente in perdita. Risanare i conti sarà un passaggio imprescindibile per garantire l’autonomia della Chiesa e la credibilità della sua missione.

Tra le opzioni in discussione ci sono nuove politiche di raccolta fondi, una riorganizzazione delle diocesi e delle nunziature, una revisione delle pensioni e degli stipendi interni, e una maggiore apertura a criteri di gestione manageriale e trasparente. Ma tutto ciò richiederà coraggio politico, coesione interna e un cambio di passo deciso.

Il deficit, insomma, non è solo un problema contabile. È lo specchio di un’istituzione che forse deve ripensare il proprio rapporto con il mondo contemporaneo, anche a partire dai suoi bilanci.