RBC BlueBay – La morte del dollaro e l’ascesa dei mercati emergenti
Dopo la crisi finanziaria globale, c’è stato un grande trade tra gli investitori: mantenere una posizione lunga sugli asset statunitensi senza copertura. Tenendo conto dei dividendi, un asset manager europeo avrebbe generato un +859% mantenendo una posizione lunga e senza coperture sull’S&P500 dal 2009; in altre parole, l’S&P500 ha registrato un +16,3% annuo, in euro, in 15 anni, con solo quattro ribassi significativi, che si sono rapidamente invertiti.
Questo processo di assorbimento di capitale da parte degli Stati Uniti ha subito un’accelerazione negli ultimi due anni, aiutato dalla generosità fiscale. Di conseguenza, gli investitori stranieri ora possiedono ben 26mila miliardi di dollari di asset statunitensi, con 18mila miliardi di dollari solo in azioni americane. La percentuale che questa esposizione rappresenta nei portafogli globali si avvicina al 30%, il livello più alto degli ultimi 25 anni.
Sebbene i dati relativi ai coefficienti di copertura valutaria di tali attività siano scarsi, la maggior parte delle stime li colloca intorno al 30% per le azioni, nella parte bassa degli intervalli storici, evidenziando ancora una volta la vulnerabilità ai movimenti del dollaro.
Perché gli investitori stranieri hanno mantenuto un rapporto di copertura così basso? La risposta risiede nella correlazione negativa tra il dollaro e gli asset rischiosi per la maggior parte del periodo successivo al 2008, per cui detenere un’esposizione lunga al dollaro è servito da “stabilizzatore automatico” per i portafogli globali.
In altre parole, il dollaro ha tradizionalmente registrato un rally durante i principali episodi di avversione al rischio, grazie alle sue proprietà di bene rifugio e allo stress finanziario che ha creato una corsa al dollaro. Questa relazione ha contribuito a far sì che la sopravvalutazione del dollaro raggiungesse i massimi degli ultimi quattro decenni.
Dollaro verso un indebolimento
I recenti sviluppi relativi alla guerra commerciale sotto Trump 2.0 hanno supportato l’idea che il trade “lungo sugli Stati Uniti” sia giunto al termine, data l’incertezza politica derivante dalla nuova amministrazione statunitense. Si teme che l’impatto sulla crescita possa essere maggiore per gli Stati Uniti, portando a una sottoperformance delle azioni statunitensi. È probabile che i rapporti di copertura aumentino, in particolare perché il dollaro si è indebolito, insieme agli asset statunitensi, nell’ultima ondata di avversione al rischio, esacerbando piuttosto che smorzare le perdite.
Che si tratti di timori per la crescita, di perdita di fiducia nel quadro politico statunitense o semplicemente della consapevolezza che il paradigma è cambiato, gli investitori stanno attivamente mettendo in discussione l’adeguatezza del loro posizionamento in dollari. L’ampio stock di asset statunitensi detenuti da investitori stranieri significa che anche piccoli cambiamenti nell’allocazione o nei rapporti di copertura avrebbero un impatto significativo sui flussi e sui tassi di cambio. Ciò crea un contesto in cui è probabile che il dollaro si indebolisca nei prossimi anni: il processo di riallocazione è a medio termine ed è improbabile che venga invertito. Anche se la squadra di Trump farà marcia indietro su alcuni degli elementi più aggressivi della politica commerciale, si è creata abbastanza incertezza da mettere in discussione l’idea di detenere una fetta così ampia di asset statunitensi.
L’ascesa dei mercati locali emergenti
Nell’ultimo mese, le valute rifugio come euro, yen giapponese e franco svizzero, hanno registrato una forte performance, beneficiando sia dello shock di crescita sia dell’aumento dei rimpatri/coperture. Tuttavia, poiché lo shock iniziale della crescita inizierà a svanire nei prossimi mesi, ci aspettiamo che la debolezza del dollaro andrà a beneficio anche delle valute dei mercati emergenti.
Oltre all’indebolimento del dollaro, molti mercati emergenti sono pronti a beneficiare direttamente del nuovo paradigma commerciale. India e Brasile, ad esempio, si distinguono come economie relativamente chiuse che trarrebbero vantaggio rispettivamente dal re-shoring dalla Cina e dalla forte domanda cinese di prodotti agricoli. Altre parti dell’America Latina, come il Messico, dovrebbero beneficiare di una maggiore integrazione con gli Stati Uniti in un mondo multipolare. I paesi dell’Europa centrale, in particolare Polonia e Repubblica Ceca, sono in pole position per trarre vantaggio dalle ricadute della crescita trainate dalla nuova spesa fiscale tedesca. Gli afflussi azionari sono un’altra fonte di forza valutaria, via via che gli investitori diversificano dagli indici statunitensi ad alto contenuto tecnologico. Pertanto, la prossima fase di debolezza del dollaro sarà probabilmente accompagnata dalla forza delle valute dei mercati emergenti: riteniamo che si tratti di una tematica strutturale a medio termine e consideriamo la potenziale volatilità nei prossimi mesi come un’opportunità.
Un potenziale periodo di confronto è il mercato ribassista del dollaro del 2002-2008, anch’esso in seguito allo scoppio di una bolla tecnologica e a una graduale riduzione dell’esposizione agli Stati Uniti da parte degli investitori stranieri. In questo periodo, le valute dei mercati emergenti hanno registrato un rally del 35%. Certo, è improbabile che assisteremo a un boom di crescita globale simile a quello di allora, ma il rovescio della medaglia è che il posizionamento negli asset statunitensi è significativamente più ampio (creando più spazio per il rimpatrio e la debolezza del dollaro legata alla copertura).
Normalmente, quando si verifica un grave shock della crescita globale, le valute dei mercati emergenti tendono a subire vendite significative a causa del più ampio rally del dollaro che accompagna tali episodi di avversione al rischio. Questa volta, le valute dei mercati emergenti non stanno subendo una forte debolezza perché l’avversione al rischio è accompagnata da un movimento al ribasso dell’indice del dollaro Usa. L’inflazione è ben ancorata e potrebbe in realtà moderarsi ulteriormente a causa della debolezza dei prezzi delle materie prime e del reindirizzamento dei beni cinesi verso i mercati emergenti, i tassi reali sono elevati e le banche centrali sono in una posizione forte, con ampio margine per allentare la politica. Di conseguenza, i mercati dei tassi locali dei mercati emergenti si trovano in una posizione unica per beneficiare del contesto attuale.
In sintesi, l’inizio del mercato ribassista del dollaro crea un contesto positivo sia per le valute dei mercati emergenti sia per i tassi locali; prevediamo rendimenti a due cifre nell’asset class locale dei mercati emergenti per i prossimi 3-5 anni.

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