La nuova tassazione delle banche italiane: come cambia il fisco nel 2026
Alla luce delle polemiche scattate ieri all’annuncio del ministro Giorgetti, riportato da ANSA, in merito a un nuovo round di incontri dopo la trattativa di ottobre sull’incremento di due punti dell’Irap inserito in manovra, cerchiamo di fare il punto della situazione.
Con la Legge di bilancio 2026 lo Stato chiede uno sforzo maggiore al settore bancario: aumento dell’IRAP, nuove imposte sulle riserve e vincoli su interessi passivi e dividendi. L’obiettivo è incassare 4-5 miliardi l’anno, ma gli effetti concreti restano incerti. Il nuovo ‘sacrificio’ proposto comporterebbe l’aggiunta di 0,5 punti, con una franchigia di 90mila euro per tutelare le banche più piccole. Ma, secondo quanto riferito da fonti parlamentari un punto di caduta potrebbe fermare l’incremento a 0,25. Non si tratta di una “tassa sugli extraprofitti” nel senso classico, ma di una fusione di interventi finalizzati a far “contribuire di più” i grandi intermediari finanziari.
Le novità della tassazione bancaria
Aumento dell’IRAP per banche e assicurazioni. Il cuore del provvedimento finora era un aumento dell’IRAP per le banche e gli altri intermediari finanziari: l’aliquota sale di due punti percentuali. Secondo i dati del governo, questo dovrebbe generare un gettito aggiuntivo significativo già dal 2026. Ma oggi sembra che questo aumento non basti più.
Imposta su utili e riserve distribuite: 27,5% se distribuiti subito. Per le banche che nel 2023 avevano accantonato riserve, in parte per far fronte alla cosiddetta “windfall tax”, la manovra prevede che, se decidono di distribuire quegli utili ai soci, dovranno pagare un’imposta sostitutiva pari al 27,5%. Va sottolineato che non è un obbligo: la distribuzione è su base volontaria. Ma chi sceglie di distribuire dovrà accettare il tributo.
Limitazioni alla deducibilità degli interessi passivi e delle perdite su titoli. La nuova normativa prevede anche un inasprimento delle regole sul trattamento fiscale di interessi passivi e svalutazioni su titoli detenuti come attività finanziarie: la deducibilità sarà limitata. In pratica, strumenti oggi facilmente utilizzabili dalle banche per ottimizzare la fiscalità dovranno essere gestiti con maggiore cautela.
Rinvio dell’utilizzo di crediti fiscali differiti (DTA) e nuovi vincoli contabili. Il governo proroga le regole che sospendono l’utilizzo immediato dei crediti fiscali differiti (Deferred Tax Assets), già introdotte nel 2025. Questo rallenta la capacità delle banche di compensare il carico fiscale con crediti accumulati. Inoltre la manovra introduce vincoli sul momento in cui alcune deduzioni sono ammesse, riducendo l’elasticità fiscale che le banche avevano finora.
Il gettito atteso e le dimensioni dell’intervento
Secondo le stime del governo e degli osservatori, l’impatto per le casse dello Stato potrebbe essere di circa 4-5 miliardi di euro all’anno a partire dal 2026. Nel triennio 2026-2028 la banca e il settore assicurativo dovrebbero contribuire per un totale di 10-11 miliardi. Nello scenario più ottimistico, la cifra consentirebbe al governo di finanziare parte delle misure fiscali previste nella manovra: taglio IRPEF per le famiglie, sostegni alle imprese, investimenti pubblici.
Le reazioni del sistema bancario
Non tutti accettano con serenità questa nuova “stangata”. Alcuni amministratori e stakeholder del sistema bancario, come riportato di recente, fanno presente che un carico troppo elevato di imposte rischia di ridurre la capacità di prestito delle banche, soprattutto verso famiglie e imprese, proprio in un momento in cui il credito è fondamentale per sostenere l’economia. I più critici parlano di un “populismo fiscale”: secondo analisti indipendenti, la manovra tassa genericamente il settore, senza un chiaro legame tra profitti “eccezionali” e gettito extra – un meccanismo che potrebbe scoraggiare gli investimenti e indebolire la redditività del sistema nel medio termine.
Rischi concreti per il credito e per i clienti
Le misure approvate rischiano di generare effetti collaterali come possibili aumenti dei costi per i clienti: se le banche devono compensare il maggior carico fiscale, potrebbero trasferire parte dei costi su conti correnti, prestiti o commissioni. Alcuni osservatori lo indicano come un esito probabile. Riduzione della capacità di erogare credito: la minor deducibilità di interessi passivi e vincoli sulle riserve potrebbero ridurre la base di capitale disponibile per finanziare mutui e prestiti. Incertezza della redditività bancaria: misure transitorie, norme contabili penalizzanti e maggiore volatilità fiscale rendono più difficile per gli istituti pianificare strategicamente.
Un settore sotto pressione e con molte incognite
La manovra fiscale del 2026 chiude un capitolo: dopo le misure temporanee degli ultimi anni, il governo sceglie di rendere strutturali parte degli interventi, in particolare l’aumento dell’IRAP e i vincoli su interessi e riserve. Ma il mix previsto di aliquote, tempistiche, opzioni, rende l’impatto finale difficilmente prevedibile.
Per lo Stato l’obiettivo è chiaro: ottenere risorse fresche a costo relativamente basso, senza aumentare le imposte per famiglie e imprese. Per le banche, invece, si apre una fase di pressione fiscale e di rischio non solo economico, ma reputazionale. Per il sistema finanziario e per il mercato del credito italiano, il 2026 potrebbe segnare un punto di svolta: se l’onere sarà pesante, le conseguenze su prestiti, servizi e stabilità bancaria potrebbero essere significative.

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