L’impresa privata nell’Unione Sovietica, una fantasia della propaganda o una realtà?
Quando pensiamo all’Unione Sovietica, pensiamo subito alla pianificazione economica, ad un commercio ed ad una produzione industriale totalmente statalizzata; tuttavia anche nella più anti-capitalista delle economie vi era qualche forma di iniziativa privata, soprattutto negli anni iniziali dell’instaurazione del potere sovietico.
Tra il 1921 e il 1928 era in vigore la cosiddetta Nuova Politica Economica, (in russo Nóvaja Ekonomícheskaja Politika).
A quel tempo gli imprenditori privati, i cosiddetti nepmany, potevano essere proprietari piccole imprese, raccogliere capitali stranieri, ed impiegare fino a 100 persone.
Erano anche previste delle forme di imprenditoria associata come gli “artel”, associazioni di artigiani. Queste associazioni erano caratterizzate da un fondo comune, da mezzi di produzione messi in comune e dall’assenza di limiti ai guadagni.
Anche quando ci fu l’abbandono della Nep, gli artel continuarono ad esistere; all’inizio degli anni ‘50 erano quasi 12.660.
Essi si formarono in vari settori, per esempio, nei teatri c’erano artel dei guardarobieri, nell’industria più sofisticata c’erano quelli dei produttori di televisori e di armi automatiche.
Solitamente il 60% dei loro profitti veniva sottoposto a tassazione, mentre il restante 40% veniva reinvestito nella produzione ed in bonus ai membri dell’associazione.
Per altre forme di impresa privata si dovette attendere la perestrojka negli anni ‘80; durante questo periodo infatti furono consentite tutte le attività economiche, in particolare quelle legate al commercio.

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