Un passo alla volta

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Questa settimana tocca a Fed, BCE, Riksbank e Banca del Canada, con un taglio di 25 basis point previsto per tutte, ad eccezione degli Stati Uniti. Per la Banca Centrale Europea, il percorso appare tracciato, anche se i PMI di gennaio segnalano possibili strade alternative per il futuro.

Analizziamo l’azionario europeo e lo confrontiamo con quello americano anche alla luce della pubblicazione dei dati trimestrali che entra nel vivo questa settimana.

La Banca Centrale giapponese ha alzato i tassi di un quarto di punto, portandoli allo 0,5%. Questo aumento, atteso dal mercato, rappresenta il livello più alto dal 2008. Riviste, inoltre, al rialzo le previsioni di inflazione per l’anno fiscale al 2,4%, dal precedente 1,9% e mantenuto stabili le stime di crescita del PIL per quest’anno e il prossimo. Ueda, durante la conferenza stampa, ha tenuto un tono prudente, generando un minimo di volatilità sullo yen, che inizialmente ha guadagnato lo 0,8%, prima di invertire la rotta. Gli analisti prevedono un ulteriore rialzo dei tassi entro l’estate, ma Ueda ha scelto di mantenere flessibilità operativa senza fornire alcuna indicazione sul tasso neutrale.

Trump, intervenendo in video a Davos, ha ribadito molte delle sue posizioni protezionistiche, lamentandosi dei deficit commerciali con Canada ed Europa, ma è riuscito a non innescare forti tensioni sui mercati. In un’intervista registrata con Fox News, andata in onda giovedì, ha dichiarato di non voler ricorrere alle tariffe contro la Cina, un cambio di tono rispetto alla narrativa aggressiva delle ultime settimane. Questa apertura potrebbe ridurre il rischio di shock commerciali. Nonostante il tono più conciliante, l’imprevedibilità delle sue politiche mantiene alta l’incertezza. Gli investitori dovranno monitorare attentamente eventuali segnali concreti di distensione, considerando anche che il prezzo del petrolio, momentaneamente sceso per via delle pressioni di Trump sull’OPEC, avvantaggia la Cina come grande importatore energetico. Infine, il supporto interno del governo cinese ai mercati potrebbe offrire opportunità a medio termine, specie se il miglioramento dei consumi privati sarà confermato. Come avevamo anticipato lo scorso dicembre, l’azionario cinese potrebbe essere la sorpresa positiva dell’anno. Resta fondamentale il sostegno delle autorità anche alla luce del debole PMI di gennaio.

In attesa della riunione della BCE di giovedì, in cui dovrebbe essere annunciato un taglio dei tassi di 25 punti base, il quinto dal 2024, la scorsa settimana alcuni membri del Consiglio Direttivo hanno offerto indicazioni sulle prossime mosse. Klaas Knot a Davos ha definito “ragionevoli” le attese del mercato su ulteriori riduzioni nelle prossime due riunioni, pur sottolineando che l’incertezza globale rende difficile impegnarsi oltre. Francois Villeroy ha confermato un consenso per una discesa graduale dei tassi, mentre Peter Kazimir ha ipotizzato tre o quattro tagli consecutivi. Christine Lagarde, ribadendo che l’inflazione è prossima al target del 2%, ha sottolineato l’approccio misurato della BCE, ponendo il tasso di neutralità tra l’1,75% e il 2,25%, rispetto alla stima più elevata del 2%-2,5%. Attenzione però che i timori per l’inflazione sono in aumento: secondo un sondaggio Bloomberg tra gli economisti, l’ipotesi di base di quattro tagli nel 2025 rimane valida, ma appare meno solida rispetto alla fine dello scorso anno.

Nel frattempo, i dati PMI di gennaio dell’Eurozona mostrano segnali di miglioramento, ma il contesto rimane fragile. L’indice composito è salito a 50,2, il livello più alto da agosto ‘24, indicando un ritorno all’espansione dopo due mesi di contrazione. Il settore manifatturiero ha registrato un progresso, con un PMI a 46,1, in rialzo da 45,1 di dicembre, mentre il PMI dei servizi si è mantenuto in territorio espansivo a 51,4. In Germania, il PMI composito ha raggiunto 50,1, segnando la fine della contrazione grazie a un rallentamento del calo nella produzione manifatturiera. In Francia, invece, si è attestato a 48,3, massimo da quattro mesi, ma ancora in contrazione, penalizzato dalla debolezza della domanda e dal calo dei nuovi ordini nei servizi. La situazione economica rimane disomogenea. Le elezioni anticipate del prossimo mese in Germania e l’insediamento di un nuovo governo potrebbero favorire l’introduzione di nuove misure di spesa, come maggiori investimenti infrastrutturali. Tuttavia, l’Eurozona sta affrontando un’accelerazione dei costi di produzione che, se persistente, potrebbe influenzare il ritmo di allentamento monetario della BCE.

Negli Stati Uniti la lettura finale del sondaggio dell’Università del Michigan di gennaio è scesa a 71,1 dal 73,2 iniziale, riflettendo un calo del sentiment in tutte le fasce politiche, con gli elettori indipendenti in forte contrazione. Il rallentamento è attribuito all’incertezza economica e politica post-elettorale, legata in particolare alla potenziale guerra commerciale. Nel frattempo l’attività economica statunitense ha rallentato ai minimi da nove mesi, con il PMI composito sceso a 52,4 a causa della contrazione nei servizi. La moderazione è attribuibile a un’attenuazione della domanda interna e, anche in questo caso, a preoccupazioni per i dazi. Tuttavia, l’ottimismo delle imprese sulla domanda futura ha sostenuto l’aumento dell’occupazione, mentre le pressioni inflazionistiche restano elevate.

L’ottimismo sul mercato azionario è alimentato da diversi fattori, come un’inflazione contenuta, un presidente statunitense orientato a politiche pro-business, nuovi investimenti nell’intelligenza artificiale e segnali che le tensioni tariffarie potrebbero non aggravarsi quanto temuto. Si entra intanto nel vivo della stagione delle trimestrali, con Apple, Meta, Microsoft e Tesla che pubblicheranno i loro utili questa settimana. L’annuncio di Mark Zuckerberg, venerdì scorso, che Meta aumenterà il capex quest’anno oltre quanto previsto dagli analisti, ha temporaneamente provocato una discesa del prezzo del titolo. Al momento, il 16% delle società dell’S&P 500 ha comunicato i risultati, e l’80% di queste ha riportato un EPS superiore alle stime, un dato che supera la media quinquennale e decennale. Questo slancio rialzista si riflette anche in Europa, dove lo Stoxx 600 ha raggiunto un nuovo massimo, superando la resistenza costituita dalla parte superiore del rettangolo formatosi nel corso del 2024. Tuttavia, proprio questo eccesso di ottimismo potrebbe suggerire un mercato più vulnerabile nel breve. Anche le strategie sistematiche hanno ripreso ad aumentare l’esposizione, approfittando della riduzione della volatilità. Attenzione però a possibili fasi correttive legate non solo a fattori tecnici, ma anche geo-politici ed economici.

Proseguiamo confrontando l’indice azionario europeo con quello americano. Le valutazioni dello Stoxx 600 continuano a essere decisamente a sconto, con un attuale differenziale del 40% rispetto allo Standard & Poor’s 500. Questo divario è in parte giustificato dalla diversa composizione settoriale: l’indice americano ha una maggiore esposizione al settore tecnologico, i cui titoli “growth” tendono ad avere valutazioni fisiologicamente più elevate. Dal grafico emerge chiaramente che, a partire dal 2022, entrambi gli indici hanno visto un’espansione dei multipli. Tuttavia, l’aumento è stato meno marcato per l’Europa, rendendo l’esposizione all’azionario europeo potenzialmente interessante in ottica di diversificazione. Come evidenziato in precedenza, se il contesto macroeconomico avesse effettivamente toccato il fondo, potremmo assistere a un ritorno di flussi verso l’azionario europeo. Un catalizzatore potrebbe essere il post-elezioni tedesche.