Generazione Z: tra rinuncia alla casa, nuovi consumi e un diverso rapporto con il mondo del lavoro. Cambia l’attitudine al rischio

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USA ed Europa a confronto

Gen Z is defiantly giving up on ever owning a home”: la frase, ripresa da diversi studi e rilanciata dalla stampa americana, fotografa una frattura profonda tra la Generazione Z e i modelli economici tradizionali. Negli Stati Uniti come in Europa, i nati tra la fine degli anni Novanta e i primi anni del Duemila stanno ridefinendo priorità, aspettative e comportamenti finanziari. Ma lo fanno in modi simili nelle motivazioni, diversi negli esiti, a seconda del contesto economico e sociale.

Stati Uniti: meno casa, più rischio, meno risparmio e più consumo

Negli USA, la rinuncia alla casa di proprietà è ormai acclarata. Secondo analisi citate da The Wall Street Journal e Bloomberg, una quota crescente di Gen Z non considera più realistico l’obiettivo di una casa in proprietà, schiacciato da prezzi immobiliari elevati, tassi ipotecari alti e debiti studenteschi sempre più costosi, e nemmeno così facili da ottenere. A questa rinuncia si accompagna un comportamento che la stampa americana definisce “defiant”: si risparmia meno, si spende di più e si lavora con minore continuità.

Il New York Times ha sottolineato come molti giovani americani privilegino esperienze, mobilità e consumo immediato, compensando l’assenza di sicurezza patrimoniale con una maggiore propensione al rischio finanziario. Criptovalute, trading online e investimenti speculativi sono visti come scorciatoie per colmare un gap che il lavoro tradizionale non sembra più in grado di coprire. Una strategia che, avvertono diversi economisti citati da CNBC, espone però la Gen Z statunitense a una volatilità elevata e a possibili shock futuri.

Europa: più prudenza, ma aspettative ridimensionate

In Europa il quadro è meno estremo, ma non per questo rassicurante. Anche qui la Gen Z vede allontanarsi l’obiettivo della casa, soprattutto nei grandi centri urbani, come rilevano analisi riprese dal Financial Times. Tuttavia, rispetto agli Stati Uniti, i giovani europei mostrano una maggiore cautela finanziaria: si investe meno in asset altamente speculativi e si mantiene un rapporto più tradizionale con il risparmio, anche grazie a sistemi di welfare più strutturati e a un minore indebitamento personale.

La rinuncia, però, è più strisciante. In molti Paesi europei la Gen Z posticipa l’acquisto della casa anziché escluderlo del tutto, accettando compromessi: affitti più lunghi, co-living, ritorno temporaneo in famiglia. Il lavoro resta centrale, ma viene vissuto con aspettative diverse rispetto alle generazioni precedenti: meno carriera lineare, più attenzione all’equilibrio vita-lavoro, come osserva The Economist nelle sue analisi sui giovani europei.

Due modelli, una stessa disillusione

Il confronto mette in luce una differenza chiave: negli USA la risposta alla disillusione è più individualista e rischiosa, in Europa più adattiva e prudente. Ma la radice è comune. Come scrive Bloomberg, la Gen Z è la prima generazione a interiorizzare l’idea che “il patto sociale ed economico del dopoguerra non vale più”. Casa, stabilità e progressione economica non sono dati acquisiti, ma obiettivi incerti o, per alcuni, superati.

Il rischio, avvertono diversi commentatori americani, è che questa combinazione di rinuncia patrimoniale, consumo elevato e investimenti rischiosi renda una parte della Gen Z più vulnerabile agli shock economici futuri. In Europa, il pericolo opposto è una generazione che si adatta al ribasso, normalizzando aspettative più basse e una crescita più lenta.

In entrambi i casi, il messaggio è chiaro: la Generazione Z non è “irresponsabile” per scelta, ma reagisce razionalmente a un contesto che percepisce come strutturalmente ostile. E questo, più che un problema generazionale, è una questione economica e politica che USA ed Europa dovranno affrontare, se non vogliono trasformare la rinuncia in una frattura permanente.