Europa tra acciacchi e incertezza

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Subito dopo la pandemia l’Europa è cresciuta a un ritmo che non si vedeva
da decenni, ma per via della guerra in Ucraina, dei tassi d’interesse elevati, di
pochi investimenti nell’innovazione, oltre che dei ben noti problemi strutturali
come la demografia, si trova nuovamente in stagnazione da quasi due anni.

L’anno prossimo potrebbe esserci una mini ripresa se le famiglie decidessero
di risparmiare un po’ meno a vantaggio dei consumi e grazie alla discesa dei
tassi d’interesse. Ci sono però due elementi esterni che potrebbero cambiare
il quadro: i dazi annunciati da Trump e l’evoluzione della guerra in Ucraina.

Cinque mesi dopo le elezioni, l’Unione europea (UE) è riuscita finalmente a
trovare la quadra per formare la nuova Commissione con la conferma di von
der Leyen come Presidente, seppur con una maggioranza risicata e il supporto
di forze politiche non omogenee.

Il mandato non è certamente facile: in Europa c’è una guerra di rilevanza
internazionale, un ritardo tecnologico rispetto a Stati Uniti e Cina, mentre
il crescente protezionismo americano potrebbe aggravare la stagnazione
economica.

Il settore automobilistico, che con l’indotto rappresenta oltre il 5% della
forza lavoro nella zona euro, esemplifica la crisi del modello europeo. Da una
parte regole dure sulle emissioni di CO2 a partire dal 2025 e l’abbandono
del motore endotermico entro il 2035, dall’altra un ritardo tecnologico sul
motore elettrico rispetto a Tesla e ai produttori cinesi.

L’esito delle elezioni presidenziali statunitensi introduce ulteriore incertezza
per l’Europa. Il tema della difesa è altrettanto delicato, l’UE deve destinare
maggiori risorse in questo campo in un contesto di riduzione dei deficit
governativi. La possibilità di centrare questi obiettivi discordanti dipende
anche dall’evoluzione del conflitto in Ucraina.

Il piano presentato da Mario Draghi pochi mesi fa per rilanciare la
competitività dell’UE si propone di trovare alcune soluzioni. Tra le principali
aree affrontate ci sono gli investimenti in ricerca a partire da intelligenza
artificiale ed energie rinnovabili, le riforme per migliorare il mercato del lavoro
ridurre la burocrazia e un maggiore coordinamento delle politiche fiscali con
strumenti finanziari comuni per sostenere gli investimenti strategici.

Le risorse sono il collo di bottiglia: se metterle a fattor comune potrebbe
consentire progetti di ampio respiro e rilanciare l’innovazione anche nel

Il presente rapporto è stato elaborato da UBS Europe SE, Succursale Italia. Vi preghiamo di leggere i commenti di
natura legale in coda al documento.

Vecchio Continente, molti Paesi sono restii a partire dalla Germania, che
sembra dare precedenza alla gestione delle questioni interne con il proprio
bilancio.

Proprio per via di una disputa sulle finanze pubbliche il governo attuale,
formato dal Partito Socialdemocratico (SPD), i Verdi e il Partito Liberale
Democratico (FDP), è entrato in crisi. Il 15 gennaio si terrà un voto di fiducia
al Bundestag e in caso di esito negativo, ad oggi lo scenario più probabile, la
Germania dovrà tornare alle urne probabilmente a febbraio.

La Germania ha risentito maggiormente dell’aumento dei tassi d’interesse,
avendo avuto un maggior beneficio quando erano bassi. Anche la politica
energetica tedesca, fortemente dipendente dal gas russo, e il maggior peso
delle esportazioni verso la Cina hanno portato a una crescita inferiore al resto
della zona euro, Italia inclusa, dalla pandemia in poi.

Ma le difficoltà non sono solo economiche. La popolarità di tutti e tre i partiti
della coalizione è diminuita drasticamente dalle elezioni del 2021 e per l’FDP
la caduta è stata così precipitosa che il partito è ora a rischio di scendere sotto
la soglia minima del 5% di voti per essere rappresentato nel Bundestag.
I sondaggi suggeriscono che l’Unione Cristiano-Democratica (CDU) di
centrodestra e l’Unione Cristiano-Sociale (CSU) potrebbero tornare al
governo all’interno di una «grande coalizione». Questo spostamento politico
potrebbe portare a un approccio ancora meno incline all’integrazione
europea.

Anche la seconda economia europea, la Francia, affronta una fase politica
complicata con l’avvicinarsi del voto cruciale sulla legge di bilancio previsto
per il 21 dicembre. Il governo di Michel Barnier deve ridurre un deficit
pubblico insostenibile, pari al 5,5% del prodotto interno lordo (PIL) lo scorso
anno e stimato circa allo stesso livello attualmente.

La bozza della legge di bilancio, che riflette in parte i vincoli europei, trova
il consenso di repubblicani e Ensemble per la République, le forze di centro,
ma gran parte del Parlamento fa capo alla sinistra di Mélenchon, che vuole
introdurre nuove tasse per 30 miliardi di euro, e alla destra del Rassemblement
national, contrario a maggiori tasse.

La scorsa settimana Barnier ha dovuto aprire a concessioni sulle tasse
sull’elettricità per venire incontro al Rassemblement national. Sui media
francesi si discute l’esercizio dell’articolo 49.3 della Costituzione, che
consente al governo di adottare una legge senza il voto del Parlamento.

Tuttavia, l’uso di questo articolo è controverso, poiché limita il dibattito
parlamentare e può alimentare maggiori divisioni.
Lo spread tra i titoli di Stato francesi e tedeschi si è ampliato e il rendimento
dei titoli francesi ha superato quello dei bonos spagnoli, riflettendo la
crescente incertezza del mercato.

L’Italia è stata una delle economie dell’eurozona con le migliori performance
negli ultimi anni: il PIL reale è di oltre il 5% superiore al livello pre-pandemia,
un punto più della media della zona euro.

Tra le ragioni di questo parziale recupero vi è il fatto che l’Italia ha risentito
in misura minore dei tassi d’interesse elevati, avendone beneficiato meno nel
Weekly – Regional View Italia del decennio passato (un fattore che ci è costato moltissimo all’epoca).

Inoltre, il nostro Paese è il principale destinatario del Recovery Fund, declinato con il
Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR).

Il rapporto debito/PIL dell’Italia è sceso dal 155% del 2020 a meno del 140%
grazie a crescita e inflazione; inoltre, il governo prevede che il deficit scenderà
al di sotto del 3% del PIL nel 2026, anche se la gestione del debito nei prossimi
anni sarà meno agevole a causa dei bassi tassi di crescita e dell’inflazione
tornata sotto il 2%.

In questo contesto di stagnazione e rischi politici, ci aspettiamo che la Banca
centrale europea (BCE) continui o addirittura acceleri la riduzione dei tassi
d’interesse. Tassi più bassi dovrebbero creare un contesto ancor più favorevole
per le obbligazioni.

I titoli investment grade in euro presentano ancora rendimenti ampiamente
superiori all’inflazione attesa, con potenziale di apprezzamento in caso di
un rallentamento economico più marcato che obbligasse la BCE ad attuare
misure più espansive.

Il mercato azionario europeo riflette tutte queste difficoltà e continua ad
aumentare il proprio sconto rispetto a quello statunitense. Non siamo
però negativi perché le valutazioni sono compresse e vediamo opportunità
di medio termine nelle small e mid cap, le società a piccola e media
capitalizzazione, in considerazione dei tassi in discesa e delle basse
valutazioni.

Per tutto quanto discusso sopra, l’euro ha comprensibilmente sofferto
rispetto al dollaro. Tuttavia, a medio termine il dollaro appare vulnerabile in
considerazione della debole posizione fiscale statunitense. In termini relativi,
gradualmente l’euro dovrebbe apprezzarsi.