Le lezioni di Montesquieu. Dalle “Lettere Persiane” a “De l’Esprit des lois”: evitare il dispotismo e preservare la libertà

Alessandro De Nicola -

Le lezioni di Montesquieu

Il 10 febbraio del 1755, 280 anni fa, veniva a mancare  Charles-Louis de Secondat, barone di Montesquieu, uno dei rari filosofi della politica e del diritto che ha avuto la buona sorte di vedere applicate in modo duraturo le sue teorie nel mondo reale.

Montesquieu, nato a La Brede, vicino Bordeaux, nel 1689 (l’anno della Gloriosa Rivoluzione che trasformò l’Inghilterra in una monarchia costituzionale), proveniva da una famiglia della cosiddetta “nobiltà di toga”, quel ceto di aristocratici di recente nomina a causa dei loro servigi allo Stato francese come alti funzionari o giudici. Anche il giovane Charles compì studi giuridici, divenne presidente del Parlamento di Bordeaux e, forte di un ottimo matrimonio e di una cospicua eredità, poté dedicare la vita allo studio e ai viaggi.

Con pensatori del suo calibro si corre il rischio di essere troppo superficiali a volerne riassumere l’opera in un articolo, quindi per i lettori contemporanei ci soffermeremo in particolare su due libri che hanno qualcosa da dirci.

“Le Lettere Persiane”

Il primo è “Le Lettere Persiane”, un romanzo epistolare del 1721 che narra le avventure di due giovani nobili persiani, Usbek e Rica, i quali annotano le loro impressioni durante un lungo tour europeo. I due rampolli osservano con atteggiamento spesso perplesso o divertito quelli che a loro sembrano bizzarri istituti, manie, costumi, consuetudini soprattutto francesi. Agli occhi dei persiani pare bislacco che ci sia un  Papa “vecchio idolatra che si immagina di essere il padrone del mondo”. Con un’arguzia modernissima Rica osserva che a Parigi “la moda è una sovrana assoluta: cambia le leggi più spesso di quanto un re cambi i suoi ministri (…). È una religione e i sarti sono i suoi preti”. Se noi pensiamo che TikTok e i reality siano il regno della superficialità, ebbene anche all’epoca c’era chi non considerava la società europea particolarmente saggia.

Il sovrano francese, il cui paradigma è Luigi XIV, il Re Sole, “è circondato da specchi che gli rimandano la sua immagine e i suoi cortigiani sono pagati per dirgli che è un dio”. La critica è feroce contro i potenti con che governano in modo arbitrario e sui pericoli di un’autocrazia vuota e incontrollata.

Ma se le “Lettere Persiane” sono un’ironica invettiva nei confronti del senso di superiorità che hanno alcuni popoli o personaggi, introducendo una sana dose di relativismo culturale, Montesquieu non cade nell’errore di considerare le altre culture come non criticabili in nome della diversità: anche i costumi persiani vengono messi alla berlina quando i due nobili devono rientrare precipitosamente in patria a causa di una rivolta dell’harem di Usbek con tanto di avvelenamento di eunuchi e suicidio di moglie infedele.

Ai moderni cantori del MAGA e alle vestali del woke, per i quali tutto ciò che è Occidente e sbagliato, le Lettere Persiane possono insegnar qualcosa.

“De l’Esprit des lois”

Ma naturalmente la grande opera di Charles Louis de Secondat è “De l’Esprit des lois” dove si teorizza la tripartizione e l’equilibrio dei poteri, legislativo, esecutivo e giudiziario, garantendone l’indipendenza e cui si ispirano tutte le costituzioni liberal democratiche del nostro pianeta. Il libro è un vero e proprio trattato di filosofia del diritto e di scienza politica moderna, dove si cercano di trovare leggi generali per inquadrare i fenomeni.

Un aspetto mai abbastanza sottolineato è la distinzione che Montesquieu tratteggia tra leggi (norme scritte) e costumi (abitudini sociali), sottolineando come le prime devono essere in armonia con il “genio” di un popolo. Ogni nazione richiede un sistema adatto alla sua storia, cultura e ambiente. Anzi, pure il clima influenza le istituzioni politiche: quando è temperato attività e libertà sono stimolate. E i territori piccoli più si adattano alle repubbliche dei grandi che tendono al dispotismo.

La tripartizione dei poteri

Questa attenzione alle norme non scritte, all’evoluzione della società e la diffidenza verso il legislatore che pretende di imporre la sua visione ideologica, anche quando ammantata da una vernice razionalista, sarà uno dei temi qualificanti di Friedrich von Hayek nel XX secolo. Ma attenzione: qui non siamo di fronte a un relativismo etico assoluto. Per Montesquieu il fine è sempre evitare il dispotismo e preservare la libertà tenendo però in considerazione che non esistono vestiti a taglia unica e unisex. Questo è un monito sia ai politici dei giorni nostri troppo centralizzatori (come, a volte, i tecnocrati europei) sia a quelli che ignorano le differenze esistenti all’interno della propria nazione e che in nome di improbabili età dell’oro del passato vogliono farle diventare great again sulle spalle di chi non è d’accordo.

Evitare il dispotismo e preservare la libertà
Il barone aquitano è una miniera d’oro, mai banale, e costringe ad interrogarci sulle molte false narrazioni odierne. L’unica certezza rimane la sua tripartizione dei poteri che abbiamo adottato e che dovremo difendere con tenacia e fermezza.

Alessandro De Nicola

adenicola@adamsmith.it