UBS WM – weekly comment Matteo Ramenghi: Le sfide della difesa europea

-

Nelle ultime settimane l’attenzione dei media e dei mercati si è concentrata
soprattutto sulla politica commerciale americana, ma il riposizionamento
degli Stati Uniti si sta rivelando altrettanto rilevante anche sul fronte delle
relazioni internazionali e della difesa.

Le insistenti richieste della nuova amministrazione statunitense per un
incremento della spesa militare europea all’interno della NATO sembrano
riflettere nuovi equilibri. Ulteriori indicazioni potrebbero emergere dal
prossimo summit della NATO, in programma dal 24 giugno nei Paesi Bassi.

Le relazioni tra la NATO e l’Unione europea (UE) sono state costruite nel
corso di decenni e formalizzate in accordi che consentono all’UE di avvalersi
delle capacità della NATO in caso di necessità. Tuttavia, permane una
contrapposizione tra i Paesi che privilegiano la vicinanza agli Stati Uniti e
quelli, come Francia e Germania, che aspirano a una leadership europea.

I dibattiti sulla centralizzazione della difesa europea non sono nuovi e
risalgono già alla guerra fredda. Le ambizioni europee in materia di difesa
furono però frenate nel 1954 dal fallimento della Comunità europea di difesa,
inizialmente proposta e poi respinta dalla Francia.

La Commissione europea ha preso atto delle richieste statunitensi e della
guerra in Ucraina, sottolineando la necessità di rafforzare la difesa europea.

La Presidente von der Leyen ha annunciato un piano per la difesa con
stanziamenti fino a un massimo di 800 miliardi di euro. Tuttavia, l’unica parte
immediatamente tangibile riguarda 150 miliardi di euro sotto forma di prestiti
agli Stati membri.

Il resto, ovvero 650 miliardi, rappresenta al momento solo una stima teorica
della possibile spesa ulteriore tramite l’allentamento dei parametri fiscali, un
esercizio che però potrebbe mettere i singoli Paesi in cattiva luce sui mercati
e sottrarre risorse ad altre iniziative destinate alla crescita.

Circa dieci giorni fa il Fondo monetario internazionale è intervenuto sul tema,
suggerendo che l’aumento della spesa militare dovrebbe avvenire tramite un
incremento delle tasse e tagli alla spesa pubblica. Sebbene il commento non
fosse rivolto direttamente all’UE, la direzione indicata è chiaramente opposta
a quella del piano europeo.

Infatti, molti Stati membri, come Italia o Francia, potrebbero incontrare
difficoltà a reperire fondi aggiuntivi senza suscitare preoccupazione tra gli
investitori o dover rinunciare ad altri investimenti.

Tagliare budget in altri settori rischia di avere un costo economico elevato,
poiché gli investimenti nella difesa hanno un impatto modesto sul PIL
europeo, essendo in larga parte destinati a importazioni. In Europa, un
aumento di 1 punto percentuale (pp) del rapporto tra spesa militare e PIL ha
storicamente portato a una crescita del PIL reale di soli 0,6 pp nel primo anno.

La maggior parte delle stime sui bisogni militari dell’Europa prevede che i
governi aumentino la spesa dal 2 al 2,5-3% del PIL nei prossimi cinque anni.

Un incremento di tale entità è stato raramente osservato in Europa negli ultimi
decenni.

Non si tratta però solo di un tema di spesa: nonostante le ricorrenti critiche da
oltreoceano, i bilanci per la difesa dell’UE sono già piuttosto elevati. Nel 2023
la spesa militare combinata dei 27 Stati membri ammontava a 287 miliardi
di dollari, il terzo bilancio militare al mondo dopo Stati Uniti (880 miliardi) e
Cina (309 miliardi) e ben superiore a quello della Russia (126 miliardi).

L’UE dispone quindi di una spesa militare di livello mondiale, ma la messa in
comune dei 27 eserciti europei resta solo teorica. Un miglior coordinamento
e una razionalizzazione dei processi sono possibili, ma la difesa rimane un
ambito di sovranità nazionale. Mancano inoltre progetti condivisi a beneficio
di tutta l’Unione, come ad esempio uno scudo spaziale.

La sicurezza, inoltre, è un concetto multidimensionale che coinvolge anche
energia, flussi informativi, tecnologia e frontiere. Ne è prova il blackout che
ha colpito Spagna e Portogallo la scorsa settimana, bloccando anche la rete
dei trasporti.

Tra i Paesi più grandi sarà probabilmente la Germania ad aumentare
maggiormente il proprio budget per la difesa, grazie alla recente riforma
costituzionale. Tra i Paesi di minori dimensioni spicca la forte spesa militare
della Polonia, che supera il 4% del PIL e potrebbe essere ulteriormente
incrementata.

Rimanendo su un piano di investimenti prevalentemente nazionali, è possibile
che una parte di questa spesa si riveli subottimale a causa della mancanza
di coordinamento, delle duplicazioni e della scarsa innovazione tecnologica,
che richiederebbe invece investimenti ingenti e centralizzati.

L’innovazione è un punto chiave per almeno due ragioni: storicamente le
guerre sono state spesso decise da innovazione e tecnologia; inoltre, la ricerca
militare ha spesso agito da volano per l’innovazione civile. È grazie alla difesa
che negli ultimi decenni gli Stati Uniti hanno creato Internet, il GPS, il forno
a microonde e i droni, oltre a sostenere il settore spaziale.

Non deve quindi stupire che il settore della difesa continui a evolversi
rapidamente, trainato dai progressi tecnologici nell’intelligenza artificiale,
nella cybersicurezza e nell’aerospaziale.

Molti osservatori sottolineano che è proprio su questi fronti che l’Europa
non è autosufficiente. Ad esempio, l’ammiraglio Jonathan Greenert, ex Capo
delle operazioni navali statunitensi, ha evidenziato che, sebbene l’Europa
possa aumentare rapidamente la produzione in alcune aree come munizioni e
veicoli, resta fortemente dipendente dagli Stati Uniti per tecnologie avanzate
come guerra elettronica, intelligence e difesa missilistica a lungo raggio.

La guerra in Ucraina ha evidenziato l’importanza dei sistemi elettronici e
satellitari, ma l’Europa rimane dipendente dagli Stati Uniti. Anche il ritardo
nell’intelligenza artificiale potrebbe rivelarsi un problema, poiché le minacce
digitali prendono sempre più di mira infrastrutture critiche, sistemi militari e
sicurezza nazionale.

L’assenza di progetti comuni finanziati centralmente, senza gravare sui bilanci
nazionali, difficilmente consentirà di ridurre la distanza con gli Stati Uniti e di
sfruttare il settore della difesa come volano per l’innovazione.

Per quanto riguarda il mercato finanziario, i titoli del settore difesa stanno
attualmente beneficiando delle crescenti tensioni geopolitiche e dell’atteso
aumento della spesa da parte dei governi.

Il budget proposto per la difesa statunitense di 1000 miliardi di dollari per
l’anno fiscale 2026 e la spinta dell’Europa ad aumentare la spesa per la difesa
(potenzialmente fino al 2,5–3% del PIL) rappresentano catalizzatori chiave.

Le valutazioni di borsa riflettono già queste aspettative e permangono alcuni
rischi, tra cui possibili tagli ai programmi, sforamenti dei costi e incertezze
politiche legate all’esecuzione dei budget.