UBS WM – weekly comment Matteo Ramenghi: Guidando nella nebbia

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L’annuncio di Donald Trump sulla nuova politica commerciale è stato uno
shock per i mercati. Il presidente statunitense ha introdotto dazi universali
del 10% su tutte le importazioni a partire dal 5 aprile e dazi «reciproci» più
elevati entreranno in vigore questo mercoledì 9 aprile.

Complessivamente i dazi annunciati sono del 54% per la Cina, 24% per il
Giappone, 20% per l’Unione europea (UE) e 31% per la Svizzera. Canada e
Messico sembrano invece aver ricevuto un trattamento migliore, almeno per
ora, con esenzioni rispetto al 25% precedentemente annunciato per le merci
conformi all’accordo USMCA. Per esempio, circa l’80% delle esportazioni di
auto dal Messico agli Stati Uniti rientrano nell’accordo USMCA.

Sono state previste esenzioni per rame, prodotti farmaceutici,
semiconduttori, lingotti, articoli in legno ed energia, oltre ad altri minerali.

Queste esenzioni attenuano l’impatto complessivo portando la stima dei dazi
medi ponderati a circa il 12,6%, che si confronta con il precedente 2,5%, e
si posiziona al livello più alto da un secolo.

Molto dipenderà da eventuali «sconti» che potranno essere accordati e
da potenziali ritorsioni, che potrebbero peggiorare la situazione. Trump ha
comunque invitato i partner commerciali a negoziare e anche il Segretario al
Tesoro, Scott Bessent, ha dichiarato in un’intervista a Bloomberg che i dazi
annunciati rappresentano «il limite superiore» e che potrebbero essere ridotti.

Inoltre, è probabile che le stesse multinazionali statunitensi facciano pressione
sul partito repubblicano per diluire le aliquote.

Il Vietnam sta già negoziando riduzioni mentre Regno Unito, Svizzera e
Corea del Sud hanno dichiarato che non prenderanno contromisure. Al
contrario, la Cina ha portato i dazi nei confronti degli Stati Uniti al 34%.

Dall’Unione Europea giungono voci di ritorsioni ma non sembra esserci un
ampio consenso.

Se mantenuti, i dazi avranno un impatto negativo sulla crescita economica e
alimenteranno l’inflazione. Qualora venissero ridotti soltanto verso fine anno,
l’economia americana potrebbe attraversare una breve recessione tecnica
durante l’estate, a causa dello shock iniziale e dell’incertezza. In questo
scenario, la crescita per l’intero anno potrebbe scendere al di sotto dell’1%
e l’inflazione potrebbe risalire al 4%.

Alla fine della scorsa settimana, lo stesso Jerome Powell, presidente della
Federal Reserve, ha fatto riferimento a uno scenario di questo tipo. Ci
aspettiamo quindi che la Federal Reserve si trovi a breve nella scomodissima
posizione di dover tagliare i tassi di 75-100 punti base nonostante
un’inflazione più alta.

La Cina è stata particolarmente colpita e sulla carta l’impatto sul PIL
potrebbe essere di circa 1,5 punti percentuali rafforzando inoltre le pressioni
deflazionistiche già in corso. Per stabilizzare la crescita intorno al 4%, il
governo potrebbe quindi rilanciare stimoli fiscali e la People’s Bank of China
aumentare le liquidità in circolazione.

Per la zona euro le esportazioni verso gli Stati Uniti rappresentano solo il 3%
del PIL e, secondo una precedente stima della Banca centrale europea, dazi
statunitensi al 25% (quindi vicini a quanto annunciato) costerebbero tra lo
0,3% e lo 0,5% del PIL della zona euro.

Banca d’Italia ha prontamente aggiornato le proprie stime alla fine della
scorsa settimana identificando per l’economia italiana un impatto superiore
al mezzo punto percentuale nell’arco di un triennio, in assenza di ritorsioni
della UE e di prolungata instabilità dei mercati finanziari.

È comunque possibile che, anche per via dell’incertezza, nel corso dell’estate
la crescita europea si azzeri temporaneamente. Questa riduzione potrebbe
essere mitigata dalla fine della guerra in Ucraina, grazie ai minori costi del
gas e alla ricostruzione. Anche il piano tedesco dovrebbe avere riflessi positivi
per tutta la zona euro.

I dazi potrebbero avere un effetto inflattivo a brevissimo termine, ma
l’impatto economico sarà negativo e ci potrebbero essere riflessi deflattivi
a medio termine. Infatti, una maggior quantità di merci asiatiche potrebbe
arrivare in Europa in seguito ai nuovi dazi statunitensi. Inoltre, l’euro si è
rafforzato di recente, fattore di per sé deflattivo. Per questo è possibile che la
BCE si spinga oltre rispetto ai due soli tagli previsti finora per il resto dell’anno.

Da inizio anno, la borsa statunitense ha perso oltre il 13%, quella giapponese
il 15% mentre i mercati europei e cinese sono tornati vicini ai livelli di fine
dello scorso anno. A breve si continuerà a procedere nella nebbia e ciò
probabilmente manterrà elevata la volatilità.

Il flusso di notizie potrebbe diventare più favorevole avvicinandoci a metà
anno. I dazi potrebbero venire ridotti, le entrate fiscali derivanti dai dazi
potrebbero essere utilizzate per ridurre altre imposte e la Federal Reserve
taglierà i tassi.

Abbiamo ridotto l’esposizione al mercato americano sul quale siamo ora
neutrali. Il tema dell’intelligenza artificiale rimane valido ma non è immune
alle tensioni commerciali e, anzi, le società tecnologiche potrebbero essere
prese di mira come ritorsione. Altri settori dovrebbero essere meno colpiti in
questa fase, per esempio le utilities.

Su Europa e Asia procediamo in modo selettivo, favorendo i beneficiari
dell’aumento della spesa pubblica tedesca e le azioni small e mid cap in
Europa, oltre al tema dei semiconduttori a Taiwan. L’India potrebbe essere
meno colpita dai dazi americani perché, nonostante siano stati annunciati al
27%, ha un’economia più orientata alla domanda interna e l’export verso gli                                                                                                        Stati Uniti rappresenta solo il 2% del PIL.

I rendimenti obbligazionari sono rimasti relativamente elevati nelle ultime
settimane, offrendo opportunità sulle obbligazioni di buona qualità. Anche
questa asset class potrebbe risentire di una maggior volatilità per via
dell’aumento dell’inflazione a breve termine, ma la consideriamo interessante
in ottica di diversificazione di portafoglio.

Gli spread sull’obbligazionario high yield sono aumentati notevolmente e,
nonostante non ci si aspetti un incremento drammatico dei default, questo
trend potrebbe continuare a breve. Per questo, nonostante rendimenti
interessanti, continuiamo a preferire l’obbligazionario di buona qualità.