Abbiamo sempre qualcosa di cui lamentarci
Forse dovremmo inserire gli ottimisti sul fronte economico tra le specie a rischio di estinzione. Negli USA, l’indicatore del sentiment dei consumatori dell’Università del Michigan è ai livelli più bassi dall’inizio delle rilevazioni nel 1952. Se per un momento ci dimentichiamo della pandemia, il dato sulla fiducia dei consumatori nell’Area Euro, introdotto nel 1985, non è mai stato così negativo. Questa settimana il FMI ha reso noto che “ben presto potremmo ritrovarci sull’orlo di una recessione globale”.
Gli investitori possono superare la tempesta? Come? I problemi sono evidenti: l’inflazione è troppo elevata e le banche centrali sono costrette ad alzare i tassi. E sono previsti altri ritocchi, anche se è difficile stimare l’entità dell’inasprimento necessario a innescare un calo duraturo dell’inflazione. Di conseguenza, tramite l’aumento dei tassi le autorità monetarie potrebbero – consapevolmente o per errore – far cadere l’economia in recessione.
Tale esito comunque non è affatto scontato. In riferimento agli USA, ad esempio, vale la pena di chiedersi se dobbiamo temere fallimenti di massa delle imprese ad appena due anni dalla recessione causata dalla Covid che ha fatto chiudere i battenti a molte delle aziende più rischiose. Ma i consumatori, che continuano a lamentarsi dei prezzi alle stelle, continuano a spendere? (Sì). I bilanci delle famiglie sono tuttora ragionevolmente solidi? (Sì). Le società stanno ancora assumendo personale?
In definitiva, le recessioni fanno parte del ciclo economico. Non dobbiamo chiederci se ci sarà una recessione, bensì quando. Una volta accettato il fatto che si tratta di un evento apparentemente inevitabile, un’analisi più approfondita del contesto permetterà di stabilire su quali aspetti il consensus abbia ragione o torto.
La settimana prossima
La prossima settimana il calendario economico sarà ricco di dati che faranno luce sullo stato dell’economia globale tra la fine del T2 2022 e l’inizio del T3 2022.
La pubblicazione dei dati inizierà lunedì in Asia, dove è atteso il PMI manifatturiero della Cina di Markit/Caixin che dovrebbe mostrare la crescita più sostenuta in oltre tre anni. Negli Stati Uniti la situazione potrebbe rivelarsi opposta poiché, secondo le stime, l’indice manifatturiero dell’ISM evidenzierà l’espansione più lenta da giugno 2020. Sull’altra sponda dell’Atlantico, le ripercussioni del conflitto in Ucraina potrebbero aver provocato un aumento della disoccupazione nell’Area Euro per la prima volta in 17 mesi.
Martedì e mercoledì l’attenzione sarà ancora rivolta all’unione monetaria europea, dove si prevede un’impennata dell’inflazione dei prezzi alla produzione al 36,7% a/a in giugno e a una contrazione dello 0,4% delle vendite al dettaglio. Gli osservatori dell’economia USA monitoreranno il report JOLTS da cui potrebbe trasparire una leggera decelerazione della creazione di nuovi posti di lavoro negli Stati Uniti (ora prossima a livelli record) da 11,25 milioni in maggio a circa 11 milioni in giugno.
Giovedì al centro della scena ci saranno Giappone e Regno Unito. In Giappone, la spesa reale (corretta per l’inflazione) delle famiglie – in calo da tre mesi – dovrebbe far segnare un aumento del 2,1% m/m in giugno, forse il dato migliore da inizio anno. Nel Regno Unito, la Bank of England (BoE) effettuerà con ogni probabilità il sesto rialzo dei tassi in sette mesi. A inizio mese la BoE ha dichiarato che “le prospettive economiche… si sono nettamente deteriorate”. In ogni caso, le autorità faticano a contenere l’inflazione, che si attesta ai livelli più alti dal 1982, anno in cui Margaret Thatcher era primo ministro.
La settimana si chiuderà con il botto, venerdì infatti verrà pubblicato il report sull’occupazione negli USA. Le stime di consensus suggeriscono un lieve calo da livelli elevati rispetto alla media storica. La crescita dei posti di lavoro al di fuori del settore agricolo potrebbe evidenziare una modesta decelerazione, da 372.000 nuove posizioni in giugno a 255.000 in luglio. Probabilmente la disoccupazione resterà prossima al minimo multigenerazionale del 3,6%. Si prevede infine un nuovo robusto incremento delle retribuzioni medie orarie, pari allo 0,3% m/m.
Il quadro tecnico
Dalle recenti indagini tra gli investitori emerge un pessimismo estremo. La percentuale di ottimisti è prossima ai minimi registrati nelle fasi di recessione, le allocazioni azionarie e obbligazionarie diminuiscono e gli investitori preferiscono detenere liquidità.
Le prospettive sul fronte dell’inflazione sono offuscate da problemi lungo le filiere, prezzi delle commodity, situazione sul mercato del lavoro e volatilità del mercato residenziale. Tuttavia, sembra che alcuni investitori guardino oltre l’inflazione e preferiscano concentrarsi sul rischio di recessione e su una potenziale svolta espansiva delle banche centrali, magari nel 2023.
Tali sviluppi hanno contribuito a frenare i tassi delle obbligazioni governative a lunga scadenza. Lo dimostra il crollo del rendimento del Treasury USA a 10 anni che in giugno si attestava a quasi il 3,5% e ora oscilla fra il 2,8% e il 3,0%. Se i rendimenti scenderanno sotto la soglia tecnica del 2,70%, non si esclude una flessione ancora più marcata.