Garantismo e accanimento giudiziario. Intervista a Giampaolo Berni Ferretti

Marco Rosichini -

Giampaolo Berni Ferretti – 

IN DIFESA DEL GARANTISMO E CONTRO L’ACCANIMENTO GIUDIZIARIO

Avvocato Berni Ferretti, che cos’è la giustizia per Lei?

La Giustizia è la ferma e duratura volontà di attribuire a ciascuno il proprio diritto. Del resto, se è vero che sono queste le regole del diritto: vivere onestamente, non danneggiare un altro, dare a ciascuno il suo. È anche vero che … lo ius è definito in più modi: in un modo, quando è detto ius ciò che è sempre buono e giusto, come è il diritto naturale.
In altro modo, ciò che in una qualche città sia utile a tutti o ai più, come è lo ius civile. Né meno correttamente nella Roma classica viene chiamato ius lo ius honorarium. Si dice poi che il pretore renda giustizia anche quando giudica ingiustamente, naturalmente fatta relazione non con ciò che in tal modo ha fatto il pretore, ma con quello che è opportuno che il pretore faccia.
Con un altro significato lo ius è definito come il luogo in cui si rende giustizia, con denominazione derivata da quello che vien fatto in dove quello viene fatto. Possiamo individuare quel luogo in questo modo: ovunque il pretore, salva la maestà del suo imperium e salvo il mos degli antenati, ha deciso di rendere giustizia, quel luogo viene chiamato correttamente ius.

L’Imperatore Giustiniano

Dice infatti lo stesso Imperatore Giustiniano, all’inizio della costituzione con cui, il 21 novembre 511 D.C., “pubblica” le Istitutiones , che la “maiestas” dell’Imperatore non deve essere rappresentata solo dalla forza delle armi ma deve essere corroborata dalle leggi così che, le une e le altre, possano rettamente gestire sia la pace che la guerra e che l’Imperatore sia vincitore non solo contro i nemici in battaglia ma anche, per le vie legali, contro le ingiustizie di chi tesse intrighi.

Alla luce della vicenda di Tangentopoli e del caso Tortora la giustizia funziona in Italia?

Per ricordare il clima degli anni di Tangentopoli sarebbe utile ricordare un’affermazione di Mauro Mellini, avvocato, uomo politico e membro del CSM che rese sulla sua rivista Giustizia Giusta nel 1993 a commento del suicidio di Gabriele Cagliari dopo molti mesi di carcerazione preventiva: “Gabriele Cagliari è la punta di iceberg, è stato il caso più evidente di tutta una serie di tragiche fini di detenuti noti e meno noti che si sono ingiustamente sentiti sospettati e indicati al pubblico ludibrio”.

Nella sua ultima lettera il Cagliari scrive: “Ci trattano veramente come non persone, come cani ricacciati ogni volta al canile… si vuole… creare una massa di morti civili, di disperati e perseguitati. La convinzione che mi sono fatto è che i magistrati considerano il carcere nient’altro che uno strumento di lavoro, di tortura psicologica dove le pratiche possono venire a maturazione o ammuffire, indifferentemente, che si tratti della pelle della gente”. E aggiungeva “Il carcere non è altro che un serraglio per animali senza testa né anima. Stanno distruggendo le basi di fondo e la stessa cultura del diritto. Stanno percorrendo irrevocabilmente la strada al loro Stato Autoritario, al regime della totale asocialità”.

L’abuso della custodia cautelare

Appare a un certo punto di vista superfluo ricordare, in conclusione, l’abuso continuamente compiuto di quello che il Codice di Procedura Penale chiama custodia cautelare, abuso compiuto da sempre, ma particolarmente accanito negli ultimi 20 anni. Questo abuso ha portato gravi sofferenze e malattie, a suicidi. È una vera espressione di crudeltà. La cosa è tanto più grave nel caso della carcerazione preventiva in quanto la persona incriminata potrebbe essere riconosciuta innocente.

Enzo Tortora

La vicenda di Enzo Tortora è emblematica a questo riguardo (e non la ricorderemo mai abbastanza). È stato un tipico esempio di crudeltà giudiziaria. Quasi in conclusione della parte sulla necessità di una riforma della Giustizia, mi sembra anche doveroso ricordare le due grida del Presidente Bettino Craxi, morto esule in Tunisia: “Parlo e continuerò a parlare” e “La mia libertà equivale alla mia vita”.

Qual è il motivo per cui la Politica è spesso fonte di odi, guerre civili, persecuzioni, e quando la situazione è meno grave cause di inimicizie e insulti personali?

Potrebbe apparire ingenuo porsi una simile domanda, ma non lo è dal punto di vista umano. La Politica nel 1900 ha raggiunto in fatto di aberrazioni morali e di ferocia degli estremi spaventosi. Esempio ne sono la guerra civile spagnola ma anche il nazismo e il comunismo. Hannah Arendt ci aiuta a capire gli elementi portanti del totalitarismo: il terrore e l’ideologia. L’ideologia non è che la logica di un’idea, il totalitarismo è invece lo strumento in cui si apprestano i mezzi per trasformare le ideologie in strumenti di terrore.

L’ideologia comunista parla di classi morenti, che sono in realtà persone condannate a morte; l’ideologia nazista parla di razze inadatte a vivere, che in realtà devono essere sterminate. L’ideologia è presentata dal partito al potere come verità assoluta da cui deriva la necessità della propaganda volta a inculcare in tutti il pensiero ideologico dominante. Possiamo perciò concludere sul punto dicendo che il peccato ideologico della politica, la sua immoralità, la causa di persecuzioni e violenze, nasce quando manca la libertà politica e civile.

Il giustizialismo

La libertà è il dato primario della Politica. Da un punto del diritto dicevamo invece, il diritto perde con il giusnaturalismo la sua funzione di difendere la società e ora l’autorità sociale che ha il compito di difendere la legge penale, in quanto poste a tutela dei diritti umani individuali. Ora, proprio l’idea della vendetta che sta alla base del diffuso giustizialismo che ha dominato l’opinione pubblica italiana soprattutto negli ’93-’94, a supporto dell’attività del cosiddetto “pool di mani pulite” è l’espressione di un giustizialismo feroce e vendicativo che è stato alimentato dalla stampa e che ha avuto non poche responsabilità morali nella serie di suicidi sia in carcere che fuori che si sono succeduti in quel periodo.

Alla luce del fallimento dei quesiti referendari da dove ripartire per ristabilire una dimensione di armonia e prosperità per la giustizia? 

Dobbiamo tornare a chiedere e a fortemente volere il giusto processo, ovvero quella situazione dove sono rispettate le garanzie difensive dell’imputato e dove la decisione è affidata ad un giudice assolutamente neutrale tra le parti. Dobbiamo avere il coraggio di riprendere una discussione intorno alla giustizia e soprattutto incominciare a fare i conti con le mostruosità degli accanimenti giudiziari che rappresentano una forma di annientamento della persona, di estirpazione della memoria il cui culmine è stato raggiunto nella vicenda di Tangentopoli.

Secondo lei si può chiedere oggi l’intitolazione di una via a Bettino Craxi?

Non solo una via! Ritengo oggi che sia meglio addirittura un corso per Craxi, di modo che chi ci abita debba cambiare la carta d’identità, facendo così i conti, domandando e rendendosi anche conto di quello che è successo in questo Paese ed in particolare a Milano negli anni tra il 1992 ed il 2002.

L’avv. Giampaolo Berni Ferretti è presidente dell’Associazione Culturale Milano Vapore