Persistono le preoccupazioni, ma le obbligazioni USA a più breve scadenza sono interessanti

Chris Iggo -
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Il rendimento dei Treasury è salito molto questa settimana. Questo andamento dovrebbe renderci più rialzisti sul mercato obbligazionario. Dopo tutto, oggi, chi ha reddito fisso in portafoglio riceve un rendimento più alto rispetto agli ultimi anni.

Inoltre, gli yield più elevati proteggono il portafoglio dalla volatilità dei prezzi, molto più di quanto non facessero quando erano contenuti dagli acquisti delle banche centrali globali. Sono naturalmente più alti negli Stati Uniti perché l’economia sta fiorendo e la Federal Reserve sta aumentando i tassi. Per queste ragioni, il rischio è che gli yield salgano ancora.

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Ma l’effetto sul rendimento complessivo è ridotto proprio poiché gli yield salgono e, a un certo punto, quando il ciclo del rischio invertirà la tendenza, gli investitori saranno felici di avere reddito fisso in portafoglio. In particolare nei portafogli denominati in dollari. Le dinamiche potrebbero essere simili in Europa, ma in ultima analisi i rendimenti obbligazionari devono salire ancora e partendo da una base più bassa. Per tale ragione non è così facile essere rialzisti sul reddito fisso europeo.

La reflazione c’è stata

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Mi ricordo il giorno successivo all’elezione di Donald Trump come Presidente degli Stati Uniti. Scrissi una breve email ai colleghi e ai clienti avvertendoli che avremmo assistito a una reazione dei mercati di fronte a una serie di politiche economiche della nuova amministrazione chiaramente reflazionistiche. I redimenti dei Treasury salirono in previsione di una politica fiscale più aggressiva e della conseguente reazione da parte della Federal Reserve. All’epoca il tasso di interesse era dello 0,5% soltanto. I rendimenti obbligazionari si attestarono oltre il 2,5% per poi rimanere sugli stessi livelli per un anno a causa dei dubbi sulla portata degli stimoli fiscali, considerati i problemi del governo a far approvare la riforma sanitaria al Congresso durante i primi mesi dell’era Trump.

Quest’anno le imposte sono diminuite e l’economia, di conseguenza, è cresciuta. Già questo mese i resoconti dell’Institute for Supply Management (ISM) sul settore manifatturiero e dei servizi sono stati più positivi, il sondaggio ADP sull’occupazione ha mostrato una crescita molto robusta dei posti di lavoro, mentre le richieste dei sussidi di disoccupazione restano sui minimi ciclici e gli ordini di beni durevoli sono saliti del 4,4% ad agosto rispetto al mese precedente. La crescita forse sta rallentando nelle economie dei mercati emergenti che si trovano ad affrontare una stretta monetaria e fiscale e l’aumento del costo del denaro, ma negli Stati Uniti in questo momento è più robusta di quanto molti avessero previsto.

Crescita robusta e stretta monetaria

È dunque relativamente facile giustificare il forte rialzo degli yield obbligazionari di questa settimana. Giovedì il titolo di riferimento decennale ha toccato quota 3,2%, il livello massimo in sette anni. Questo andamento è attribuibile ai dati molto positivi nonché alle dichiarazioni del Presidente della Fed Powell secondo cui i tassi a breve termine probabilmente non si trovano ancora a un livello neutrale. Ma non dimentichiamoci che gli yield stanno salendo da luglio 2016, mentre ogni singolo dato indica che l’economia ha raggiunto la piena capacità e la Federal Reserve probabilmente dovrà alzare ancora i tassi oltre i livelli attualmente scontati dal mercato. I rendimenti reali sono saliti più delle aspettative inflazionistiche e ci sono alcune possibili spiegazioni per questo fenomeno: la riduzione dello stato patrimoniale della banca centrale americana, la revisione delle stime sul livello del tasso neutrale nel lungo termine e forse persino della crescita potenziale. Finora le aspettative inflazionistiche non sono riuscite a salire con l’inflazione di breakeven sui TIPS decennali che, nel momento in cui scriviamo, si trova al 2,17% ed è entro il range in cui è rimasta per tutto l’anno. Eppure non sarei sorpreso di assistere a un aumento del prezzo del petrolio o a una sorpresa positiva sul fronte dei salari e dei prezzi che farebbe salire queste aspettative inflazionistiche. Nessuno sa quando la reflazione finirà né quando la crescita rallenterà ma, anche se l’opinione di consensus che indica un rallentamento della crescita il prossimo anno fosse corretta, non ci sono molti segnali che tale rallentamento stia avvenendo proprio ora.

Il 4% è vicino?

La maggior parte degli operatori sul mercato obbligazionario è riluttante a prevedere un aumento significativo degli yield perché non salgono da tempo. Eppure, a un certo punto nei prossimi mesi, non mi sorprenderebbe uno yield del 4%. Effettivamente potrebbero anche salire oltre, chi lo sa (ma al momento mi sembra difficile). Lo scenario tecnico non è fantastico per i Treasury, considerando il lento roll-off delle obbligazioni detenute dalla Federal Reserve, il crescente fabbisogno di fondi da parte del Tesoro per finanziare il deficit di bilancio e lo scarso grado di interesse delle obbligazioni USA in termini di copertura del tasso di cambio per gli investitori esteri (il rendimento dei Treasury decennali dovrebbe essere più alto di circa 50 p.b. per risultare interessante agli occhi degli investitori europei. Infatti essi fanno riferimento, come titolo privo di rischio, al Bund tedesco che offre uno yield dello 0,5%).
Certo, la domanda nel segmento a lungo termine del mercato americano è robusta da parte dei fondi pensione USA e questo spiega in parte perché, nel complesso, la curva resti piatta. Il rischio, comunque, è che il rialzo degli yield dipenda dal fatto che il mercato ha oltrepassato la banda di oscillazione esistente da un po’ di tempo. Non sto prevedendo il 4%, bensì sto dicendo che è uno scenario possibile in un’economia che sta registrando una crescita del Pil nominale superiore al 5% nel 2018.

A buon mercato

Naturalmente, più salgono gli yield USA, più divento ottimista sul reddito fisso americano. Uno yield più alto tende a ridurre la duration delle obbligazioni, dunque si riduce il rischio per il capitale di ciascun aumento incrementale del tasso. Due anni fa, nell’indice ICE-Bank of America US Treasury, un aumento dello yield di 50 p.b. avrebbe prodotto una perdita di capitale del 3,3% e, annualizzato con lo yield dell’epoca, avrebbe comportato un rendimento complessivo del -2%. Oggi una variazione analoga di 50 p.b. lascerebbe il rendimento complessivo dell’indice invariato. C’è un cuscinetto più alto tra gli yield attuali e una sensibilità inferiore rispetto al 2016 (la duration dell’indice è più breve di circa sei mesi). Per l’indice del credito investment grade statunitense, la differenza in termini di rendimento complessivo prodotta da un incremento di 50 p.b. dello yield sarebbe stata del +1,4%.

In Europa, dove gli yield restano molto bassi, un aumento dello yield di 50 p.b. nell’indice di titoli di stato europei risulterebbe ancora in una perdita del rendimento complessivo del 2,8%. Quando gli yield sono bassissimi e iniziano a salire è il momento in cui i rendimenti sono più negativi. Infatti, tra la metà del 2016 e la fine di quell’anno, il rendimento complessivo dell’indice dei Treasury USA era del -4,9%. Quest’anno è stato del -2,3%: il reddito ha contribuito positivamente con l’1,7% mentre l’effetto del prezzo è stato minore perché la duration dell’indice oggi è inferiore al 2016. Il peggio è passato per la fase ribassista del mercato obbligazionario statunitense.

Persistono le preoccupazioni, ma le obbligazioni USA a più breve scadenza sono interessanti

Dunque con uno yield del 3,2% è più tranquillizzante essere rialzisti sui Treasury oggi rispetto a quando lo yield era inferiore all’1,5%. Per un’esposizione a 10 anni, un aumento dello yield al 4% rispetto ai livelli attuali risulterebbe ancora in un rendimento complessivo piuttosto negativo, di poco inferiore al 4%. Ma questo tenuto conto di una perdita del 4,4% (in caso di una variazione comparabile dello yield) di 6 mesi fa, e di oltre il 6% rispetto al livello minimo dello yield a luglio 2016.

Ricordiamoci che la curva USA è molto piatta, c’è una differenza di soli 30 p.b. negli yield a 2 anni rispetto a quelli decennali. Quindi essere più rialzisti sul reddito fisso USA oggi si riflette probabilmente meglio nella curva al di sotto delle scadenze di 10 anni. Ma qualora i rendimenti raggiungessero il 4%, il segmento a più lungo termine sembrerebbe migliore. Non solo per via dello yield, ma anche per le sue implicazioni successive.

Salgono i tassi e si ampliano gli spread di credito

Una possibile evoluzione del ciclo del reddito fisso è quella in cui i tassi e gli yield reali salgano per via della crescita robusta e di un intervento di politica monetaria adeguato in risposta all’incremento delle pressioni inflazionistiche. D’altra parte, l’aumento degli yield reali potrebbe avere un impatto negativo sugli strumenti più esposti al rischio. Primo, il tasso privo di rischio diventa competitivo, dunque gli strumenti alternativi più rischiosi devono subire un conseguente repricing. Secondo, l’aumento degli yield reali avrà un certo impatto sull’economia reale attraverso un incremento del costo del capitale, rendendo alcuni progetti di investimento poco redditizi. Per non parlare dell’aumento del costo per il servizio del debito nelle componenti indebitate dell’economia. Con il rallentamento della crescita economica diventa più difficile per le azioni continuare a crescere, mentre si riduce la capacità delle società di servire il debito. Pertanto i premi per il rischio dovranno salire e gli strumenti più esposti al rischio riporteranno performance inferiori ai tassi risk free. Quando il rallentamento economico diventerà evidente, il mercato sconterà ed eventualmente otterrà tassi di interesse più bassi, facendo salire il rendimento del reddito fisso.

Non essere troppo ribassista, si tratta dei tassi

Questa linea di pensiero ci porta a concludere che, quando gli yield sui Treasury salgono, gli investitori dovrebbero essere più ribassisti sul credito e più rialzisti sui tassi. Sembra un approccio accidentalmente contrarian, tuttavia ha senso in un’ottica futura. Gli spread di credito globali si sono ampliati quest’anno, ma non molto, tranne che nei mercati emergenti. E non avrebbero dovuto, dato lo scenario macroeconomico positivo e la solidità patrimoniale delle imprese. Il credito ha già sovraperformato negli ultimi 3 mesi (su scala globale e individuale nei principali mercati investment grade degli Stati Uniti, dell’Area Euro e della sterlina). Probabilmente attenderemo ancora per un significativo ampliamento degli spread di credito e una flessione dei tassi. E prima che ciò accada veramente, le azioni dovranno iniziare a riportare performance negative.

Tuttavia, prima o poi si verificherà. Nel breve termine potrebbe riflettersi nella sensibilità dei mercati agli eventi di “rischio”. Gli avvenimenti in Italia ce ne hanno dato un’idea la settimana scorsa. Potrebbe succedere con l’escalation delle tensioni commerciali tra Cina e Stati Uniti. Gli investitori potrebbero già ipotizzare yield oltre il 3% negli USA e pensare che non “sarebbe troppo male per un porto sicuro” dato che le azioni sono soggette a improvvisi cambiamenti delle prospettive fondamentali a un cenno del Presidente Trump. L’enfasi posta nuovamente di recente sulla questione della “sicurezza nazionale” nella controversia tra Cina e Stati Uniti dovrebbe costituire già un elemento di preoccupazione.

Ottobre?

Gli spread sui credit default swap per i mercati emergenti, l’high yield Usa e il credito crossover in Europa sono saliti nelle ultime sessioni a indicare un ritorno dell’avversione al rischio. Ottobre è uno di quei mesi in cui accadono strane cose sui mercati. Anche se io non credo a questi “tormentoni”, c’è un numero sufficiente di investitori che invece ci crede per cui la volatilità potrebbe aumentare verso fine anno. Non è stata certo una buona annata per il reddito fisso, e sembra assai improbabile che investire ulteriormente in high yield o credito in questa fase possa fare una grande differenza in positivo. La situazione in Europa è certamente diversa rispetto agli Stati Uniti, ma le dinamiche potrebbero essere ancora le stesse in caso di un periodo di avversione al rischio. A parità di tutte le condizioni, il sell-off delle obbligazioni globali dalla metà di
agosto, e il recente rialzo degli yield dei Treasury in particolare, dovrebbe spingere gli investitori ad avere un po’ più di obbligazioni sicure in portafoglio.

La gloria dov’è?

È alquanto difficile trovare una spiegazione razionale ai movimenti del mercato obbligazionario, ma mi trovo più a mio agio in questo ambito che a tentare di capire cosa stia succedendo al Manchester United. Non posso credere che ai giocatori non importi nulla (anche se il confronto con le generazioni precedenti non aiuta: Keano, Bruce, Gary Neville), o che siano in genere di qualità inferiore rispetto alle squadre in cui hanno giocato di recente (Wolves, West Ham, Valencia). Eppure qualcosa non va. È la tattica? La gestione dei giocatori? O forse è semplicemente questione di chimica? I fan sono più frustrati che mai da quando Sir Alex è andato in pensione, e questo vuol dire qualcosa, considerati gli anni bui del periodo di Moyes e Van Gaal. Come investitore, guarderei dritto in alto mettendo in dubbio il modello di business poiché non sta assolvendo alla sua funzione fondamentale: vincere partite e trofei. Spero solo che si faccia qualcosa per impedire allo United di prendere il posto del Liverpool come la grande stella del calcio inglese finita in disgrazia.


Chris Iggo – CIO Obbligazionario – AXA Investment Managers