Crescita e rilancio produttività per rendere sostenibile il sistema previdenziale

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Il Rapporto annuale dell’ Inps evidenzia, cin particolare riferimento ai profili previdenziali, come il fenomeno della povertà lavorativa su rifletterà di oggi su un futuro di indigenza pensionistica.

Al 31 dicembre 2021, i pensionati in Italia sono circa 16 milioni, di cui 7,7 milioni di uomini e 8,3 milioni di donne, per circa 22 milioni di assegni pensionistici. L’importo lordo delle pensioni complessivamente erogate nel 2021 è di 312 miliardi di euro. Sebbene le donne rappresentino il 52% sul totale dei pensionati, percepiscono solo il 44% dei redditi pensionistici.

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All’interno della povertà pensionistica, sono sempre le donne ad essere  ripetutamente penalizzate, hanno avuto un allungamento della vita lavorativa per allinearla a quella degli uomini, andando in pensione più tardi di quanto si aspettassero al momento in cui entrarono nel mercato, pur avendo lavorato meno a lungo e tipicamente meno ore, ad una paga oraria/settimanale inferiore a quella degli uomini.

La medesima condizione contraddistingue i lavoratori  poveri di oggi. Il problema dei futuri pensionati poveri si intreccia già oggi con il problema della sostenibilità del sistema pensionistico nel medio periodo. La struttura demografica della popolazione italiana ci mostra come l’onda dei baby boomers stia arrivando alla pensione e come, per contro, la base contributiva si stia restringendo. Quand’anche le politiche di contrasto alla denatalità risultassero efficaci, i benefici di nuovi contribuenti che entrano nel mercato del lavoro si verificheranno tra 20-25 anni. Occorre allora agire tempestivamente

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Per garantire la sostenibilità del sistema di welfare  c’è bisogno di più lavoro e di lavoro meglio  retribuito. Per l’equilibrio del sistema previdenziale, occorre garantire la sostenibilità della spesa ma anche l’allargamento della base contributiva sia in termini di recupero del sommerso che di incremento della massa retributiva per i lavoratori regolari. Per favorire retribuzioni più elevate puntando alla produttività, è necessario un forte investimento in formazione soprattutto, ma non solo, durante il periodo giovanile.

Incentivi alla formazione possono passare attraverso la valorizzazione ai fini pensionistici del corso di studi universitari o di altra fase di formazione, ad esempio con l’accredito figurativo del periodo di formazione o di studi universitari, lasciando che il restante periodo possa essere accreditato gratuitamente a condizione che il livello di importo pensionistico a calcolo sia inferiore a un tetto prestabilito. Tale possibilità eviterebbe effetti redistributivi distorti e ridurrebbe contestualmente l’impegno finanziario.

Una strategia aggiuntiva per rafforzare la sostenibilità del sistema è quella di programmare la regolarizzazione di nuovi cittadini stranieri per coprire i posti di lavoro non sostituiti a causa dell’invecchiamento della popolazione residente.

Nel Rapporto si dà poi conto di come le esperienze di flessibilizzazione nelle modalità di pensionamento  introdotte con Quota 100, Quota 102 e Opzione Donna non siano state fruite in modo uniforme dai potenziali beneficiari. Rimane quindi la necessità di poter offrire maggiore libertà di scelta ai cittadini sul momento in cui vogliono andare in pensione.

Con il venir meno di Quota 102 dal 1° gennaio 2023, per la generalità dei lavoratori appartenenti al sistema ex-retributivo o misto la possibilità di uscita è di fatto limitata ai requisiti ordinari per la pensione di vecchiaia o anticipata.

L’Istituto ha stimato poi i costi di tre proposte alternative che hanno attraversato il dibattito politico, con valori differenti nel triennio 2023-25:

a) l’opzione al calcolo contributivo, per lavoratori che abbiano raggiungo 64 anni di età e almeno 35 anni di contribuzione e ottengano una pensione sopra una certa soglia, per un valore di 5,9 miliardi;
b) il calcolo della pensione con una penalizzazione della componente retributiva,  che tenga conto della differenza tra età di uscita e età per la pensione di vecchiaia, per un costo di 6,7 miliardi;
c) l’anticipo della quota contributiva della pensione, per lavoratori che abbiano raggiunto 63 anni di età e almeno 20 anni di contribuzione con corresponsione dell’intero ammontare al raggiungimento dell’età di vecchiaia, con una spesa di meno di 4 miliardi.

Tali impatti si esauriscono nell’arco di poco più di un decennio, quando il sistema contributivo andrà definitivamente a regime per tutti