I britannici in patria e all’estero sono sotto pressione

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Negli ultimi giorni è tornato un senso di stabilità sui mercati finanziari globali, dopo le turbolenze legate alle liquidazioni dei fondi pensione britannici della scorsa settimana, che hanno segnato la fine di un altro trimestre molto difficile per gli investitori globali.

Sebbene fiocchino le notizie dal Regno Unito, con il governo già costretto a un’umiliante inversione di rotta rispetto a parte dei suoi piani fiscali, l’attenzione si è spostata di nuovo oltreoceano, dove un rapporto dell’ISM relativamente modesto ha ridato vita alle speranze che una svolta della Fed possa portare il FOMC a rallentare il ritmo della stretta monetaria nella riunione di novembre.

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Anche i nostri incontri con i policymaker statunitensi della scorsa settimana ci portano a concludere che la Federal Reserve vorrebbe aumentare i tassi di 50 punti base, piuttosto che di 75, nella prossima riunione. I settori sensibili ai tassi d’interesse, come quello immobiliare, hanno subito un rallentamento e si ha la sensazione che l’allontanamento della policy dalla neutralità stia creando maggiore stress nel sistema.

Tuttavia, le speranze di una correzione di 50 punti base potrebbero dipendere dal fatto che la pubblicazione del CPI della prossima settimana sia positiva. I dati sull’inflazione di agosto sono stati fonte di delusione, ma con il calo dei prezzi del carburante c’è più ottimismo sulla possibilità che quelli di settembre portino notizie migliori.

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Sembra inoltre chiaro che la Fed stia tenendo d’occhio le condizioni finanziarie: i rialzi dei tassi sono stati pensati per rallentare l’economia attraverso il loro inasprimento – se queste dovessero iniziare ad allentarsi con il rally dell’S&P di nuovo al di sopra di 4.000, la Federal Reserve si potrebbe ritrovare nella posizione di concludere che è necessario effettuare un altro rialzo di 75 punti base. A parte questo, si prevede una crescita moderata e una lieve recessione sembra probabile all’inizio del prossimo anno.

Tuttavia, con un tasso di disoccupazione che dovrebbe salire solo al 4,5% circa, non sembra che si tratterà di una vera e propria recessione e – sebbene si possa verificare un deterioramento del credito in alcuni settori ed emittenti – nel complesso il ciclo del credito potrebbe essere relativamente benigno. Il rischio attuale è che l’inflazione continui a deludere e che i tassi di interesse continuino a salire fino al 5% o più.

Sembra però esserci una maggiore fiducia che ciò non sarà necessario e la parte superiore del ciclo vede i tassi intorno al 4,25-4,50% nel primo trimestre del prossimo anno. Nonostante ciò, una riduzione anticipata dei tassi sembra meno probabile e in questo contesto riteniamo che i Treasury a 10 anni siano vicini al fair value in una fascia compresa tra il 3,50 e il 3,75%.

Lo scenario relativamente benigno degli Stati Uniti contrasta con quello molto più debole dell’altra sponda dell’Atlantico. I dati sull’inflazione potrebbero continuare ad essere problematici nell’Eurozona ancora per qualche mese e quindi è difficile che la BCE rallenti il suo percorso di inasprimento monetario, con i tassi ancora ben al di sotto della neutralità. Qualora i tassi dell’Eurotower aumentino più rapidamente rispetto agli Stati Uniti, sarebbe normale considerare questo fatto come una base per un’inversione di tendenza dell’euro. Tuttavia, con una crescita deludente e con la BCE spinta ad aumentare i tassi in un’economia in rallentamento, non è ancora chiaro se si assisterà a tale tipo di svolta nei mercati valutari.

Guardando il Regno Unito dal di fuori, si ha la sensazione che i policymaker siano riusciti a minare la fiducia nel Paese. Ciò significa che i prezzi incorporano un premio permanente per il rischio britannico, dato che il Regno Unito ha bisogno di attrarre capitali esteri per finanziare il deficit della bilancia dei pagamenti. C’è incredulità per la scelta da parte del Partito Conservatore di un leader ancora più inadatto di Boris Johnson e preoccupazione per come gli eventi potrebbero svilupparsi in assenza di un piano ben definito.

In generale, una certa stabilità degli asset britannici potrebbe significare che i mercati si concentreranno su ciò che accadrà una volta che gli acquisti di emergenza del QE termineranno a metà mese, e successivamente su ciò che accadrà alla prossima riunione della BoE a novembre.

Per il momento sembrerebbe che le liquidazioni da parte dei fondi pensione si stiano riducendo, e che quindi gli acquisti di emergenza di Gilt possano terminare, ma siamo scettici sul fatto che un piano per spaventare il mercato ad Halloween facendo partire il Quantitative Tightening il 31 ottobre sia l’idea migliore in un momento come questo. Rimaniamo fermamente convinti che la Bank of England non alzerà i tassi prima della riunione di novembre, e che quando si riunirà vorrà aumentare i tassi molto meno di quanto attualmente previsto.

Come già detto, il mercato immobiliare britannico non sarà in grado di reggere tassi al 5 o 6%. Inoltre, è probabile che il recente “mini-budget” abbia danneggiato la fiducia e spinto l’economia verso la recessione, più di quanto abbia fatto per stimolare la domanda aggregata.

Sebbene gli impegni fiscali siano enormi, la preoccupazione maggiore dovrebbe essere rappresentata dal progetto di fissare un price cap per l’energia ai livelli di aprile, che potrebbe costare ai contribuenti fino a 150 miliardi di sterline in un periodo di 18 mesi. Questa misura, però, contribuisce a mitigare l’inflazione, piuttosto che ad aumentarla, e quindi non è chiaro perché la BoE dovrebbe diventare molto più aggressiva alla luce di questo fatto. Una sterlina molto più debole è un rischio.

Il danno economico derivante da un aumento dei tassi d’interesse e dei costi dei mutui potrebbe tuttavia essere molto maggiore di quello derivante da una flessione della valuta, anche se l’orgoglio nazionale ne risentirà. Riteniamo inoltre che se i prezzi del gas rimarranno elevati, verranno adottate ulteriori misure per tassare i profitti inattesi nel mercato dell’energia e per ridurre i sussidi alle fasce sociali più abbienti, il che potrebbe in ultima analisi mitigare alcuni dei costi.

La politica del Regno Unito potrebbe risultare confusa ancora per un po’ di tempo, nondimeno resta ancora una strada sulla quale districarsi come economia, se la BoE non si aggiungerà agli errori del governo. Una sterlina più debole e una curva dei rendimenti più ripida potrebbero essere il prezzo da pagare per evitare rialzi paralizzanti dei tassi e sembra improbabile che la crescita porti a una pressione inflazionistica trainata dalla domanda.

Una rapida fine del conflitto in Ucraina sarebbe un punto di forza, che potrebbe migliorare sensibilmente le prospettive in Europa e nel mondo. Nel breve termine, le prospettive sono state scarse: Zelensky non è disposto a dialogare con Putin, le truppe ucraine hanno ottenuto risultati impressionanti sul campo di battaglia e la Russia ha alzato la posta in gioco alludendo alla minaccia di un intervento nucleare.

Tuttavia, la sensazione a Washington è che la fine della guerra sarà il risultato dei negoziati. A decidere saranno Mosca e Washington, con l’Europa in gran parte irrilevante. Per il momento, i colloqui continuano tramite canali secondari, ma si ha l’impressione che entrambe le parti stiano cercando di rafforzare la propria posizione in vista di qualsiasi negoziato. Con la probabilità che i combattimenti rallentino durante l’inverno, il G20 di novembre potrebbe essere un punto di svolta politica, ma per ora è molto difficile posizionarsi in tal senso.

Una fine anticipata del conflitto e la speranza di un cambio di rotta della Fed potrebbero far sì che il quarto trimestre sia un trimestre più felice per gli investitori di quanto non lo sia stato finora il 2022. Il sentiment è ribassista e quindi si potrebbe assistere a un rally di fine anno. Esiste comunque anche la sensazione che la velocità e l’entità della stretta statunitense di quest’anno metterà inevitabilmente a nudo la debolezza del sistema finanziario e che, di conseguenza, si verificheranno delle rotture. Questo potrebbe giustificare una certa cautela per il momento.

Nel frattempo, ci sembra logico che, per far sì che i mercati svoltino, occorra prima vedere una svolta nell’inflazione. In questo modo sarà possibile prevedere un top dei tassi e i titoli di Stato potranno stabilizzarsi. In seguito, le prospettive per il credito potrebbero stabilizzarsi, mentre l’azionario potrebbe essere l’ultima asset class a beneficiarne.

Nei mercati del credito la volatilità è rimasta elevata e la liquidità è stata compromessa dalla pressione di vendita dei fondi pensione britannici. Questo fenomeno dovrebbe iniziare a diminuire nei prossimi giorni. Nel frattempo Credit Suisse ha visto gli spread dei CDS balzare oltre i 300 punti base, innescando preoccupazioni finanziarie.

A nostro avviso, si tratta più di una funzione del prezzo delle azioni, depresso dalla probabile necessità di un’emissione di diritti di salvataggio a prezzi scontati, che di un problema di credito in sé. Le banche continuano ad apparire relativamente ben posizionate, con margini in crescita che compensano le svalutazioni dei crediti e bilanci sostenuti da riserve di capitale molto forti.

Guardando al futuro

Il rapporto sui salari negli Stati Uniti di oggi, seguito dal CPI della prossima settimana, segna i due grandi eventi del mese e quindi tra una settimana potrebbe esserci un quadro più chiaro dell’evoluzione dell’economia. Dati più modesti che suggeriscono un cambio di rotta della Fed potrebbero contribuire a stabilizzare il sentiment e a suggerire un miglioramento delle prospettive.

Si ha la sensazione che molte cattive notizie siano già incorporate nei prezzi di mercato e che, grazie agli elevati saldi di liquidità, i mercati siano ora più resistenti. Tuttavia, con la liquidità in dollari che presto renderà il 4%, non è chiaro se ci sarà la necessità impellente di far fruttare la liquidità come in passato.

Probabilmente gli investitori sono entrati nel 2022 con più rischio di duration, più rischio di credito e più rischio di illiquidità rispetto al passato. L’asset allocation è in fase di ripensamento e le ripercussioni delle perdite potrebbero contenere l’entusiasmo per qualche tempo a venire. Non siamo ancora alla fine del ciclo dei tassi e gran parte dell’economia globale è in recessione o ci sta entrando, per cui è difficile essere troppo ottimisti.

Tuttavia, i mercati guardano al futuro e potrebbero essere in attesa di un piccolo rimbalzo. Il PIL nominale degli Stati Uniti è di circa il 20% superiore ai livelli pre-pandemia e ciò si riflette sugli utili societari. I prezzi delle attività finanziarie non saranno ancora a buon mercato, ma non sembrano più così sopravvalutati.

Al contrario, spendere sterline negli Stati Uniti può farvi sentire davvero molto poveri. Di certo, questa settimana pagare 18 dollari, tasse incluse, per una singola lattina di una normalissima birra in un locale medio di Washington, è stato il tipo di shock economico che ti fa venire voglia di affogare i tuoi dispiaceri (anche se ora non puoi permetterti di farlo)!