Uber, Fifa e Volkswagen tra le peggiori società del mondo

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Pubblicato il rapporto Most Controversial Companies 2015, dedicato alle imprese che presentano i maggiori rischi per la cattiva politica ambientale, sociale o di governance. Tra loro anche Hsbc e Sony. Ma il primo posto è di un’azienda cinese

Il nome Ruihai International Logistics probabilmente al pubblico italiano dice poco. È quello di una società cinese di trasporti, ed è legato a uno dei più gravi disastri nella storia dell’industria di quel paese: la serie di terribili esplosioni che, lo scorso agosto, devastarono i depositi di Ruihai nel porto di Tiajin. Oltre 170 persone morirono, centinaia furono i feriti e circa 6 mila persone dovettero abbandonare le loro case per timore di un inquinamento chimico.

Non si trattò di una fatalità, ma subito emersero le pesanti responsabilità di Ruihai, per le incredibili negligenze e le molteplici violazioni delle più elementari norme di sicurezza: materiali chimici altamente pericolosi erano stoccati incredibilmente in depositi situati a poca distanza da abitazioni e scuole.

Ed è per questo che Ruihai è stata ritenuta da RepRisk società di analisi specializzata nella ricerca sui rischi e la valutazione dei fattori ambientali, sociali e di governo societario, la peggiore società del mondo. Secondo il rapporto Mcc – Most controversial companies 2015, da poco pubblicato da RepRisk, è l’azienda con la peggiore reputazione al mondo.

Al secondo posto si è piazzato un nome ben più familiare, Uber, già presente nella precedente edizione del report al quinto posto. Ma la reputazione del servizio di taxi high tech è peggiorata, a causa soprattutto delle accuse di molestie sessuali e di aggressioni rivolte dai clienti ai suoi autisti in diversi paesi. In molti paesi, inoltre, Uber è stata accusata di concorrenza sleale nei confronti dei taxi tradizionali, e non sono mancate le critiche per le cattive condizioni di lavoro dei dipendenti.

La strage e il disastro ambientale del Rio Doce vale la terza posizione in classifica alla società mineraria Samarco Mineração, controllata dal colosso anglo-australiano Bhp Billiton e dalla brasiliana Vale. Lo scorso novembre due dighe crollarono nello stato di Minas Gerais, in Brasile, causando 17 morti, in uno dei peggiori disastri ambientali nella storia del Brasile. 62 milioni di metri cubi di fango e rifiuti minerari si riversarono nel Rio Doce, contaminando l’acqua potabile e devastando le sorgenti. I costi per ripulire l’area, enorme, colpita dai fanghi, potrebbero arrivare a un miliardo di dollari, ma per il ripristino dell’ecosistema della zona potrebbero essere necessari decenni.

Il settore automobilistico è uno dei più rappresentati nella tutt’altro che prestigiosa classifica delle Mcc. La giapponese Takata è in quarta posizione: tutta colpa degli airbag difettosi prodotti dall’azienda, che già nel 2014 le erano valsi il secondo posto. Il difetto di produzione ha causato almeno otto decessi. E le ripercussioni di quello scandalo, hanno continuato a farsi sentire anche nel 2015, coinvolgendo oltretutto altre società del settore automobilistico, General Motors e Honda che si piazzano entrambe in decima posizione.

Nella classifica non manca il settore alimentare, rappresentato dall’americana Blue Bell Creameries, quinta: dalla sua fabbrica di Brenham, in Kansas, sono usciti gelati contaminati dal batterio listeria, che hanno causato la morte di tre persone negli Stati Uniti.

Ben rappresentata anche la finanza, con Hsbc Private Bank. La controllata elvetica del colosso britannico Hsbc è finita sul banco degli imputati dopo le rivelazioni dei cosiddetti “Swiss Leaks”, le rivelazioni dell’ex dipendente Herve Falciani, che ha riferito dettagli sui conti di oltre 100 mila clienti che la banca, secondo le accuse, avrebbe aiutato a nascondere centinaia di milioni di dollari alle autorità fiscali di mezzo mondo.

I guai di Hsbc, peraltro, non si fermano alla filiale Svizzera: nel Regno Unito il gruppo è stato coinvolto nella frode delle polizze vendute in abbinamento alle carte di credito, e pesantemente criticato per aver pagato al Ceo Stuart Gulliver, nel 2014, una retribuzione di 10,8 milioni di dollari. A questo si sono aggiunte una mega multa pagata negli Usa per aver gonfiato, insieme con altre banche, i prezzi dei Cds (credit default swap), le critiche delle associazioni ambientaliste per i finanziamenti ad aziende produttrici di olio di palma responsabili di land grabbing, e quelle per gli investimenti nel settore del carbone.

Hsbc, infine, è stata coinvolta, con altre banche, nello scandalo della corruzione ai vertici della Fifa, che è valso alla Federazione internazionale del calcio il nono posto classifica delle società con la peggiore reputazione mondiale.

Nel 2015 i guai per Sony, settima nella classifica, sono arrivati per effetto dalla massiccia violazione di dati emersa alla fine dell’anno precedente. Nel novembre 2014 un gruppo di hackers rubarono qualcosa come 100 terabyte di dati dai computer di Sony Pictures Entertainment, e ne rilevarono i contenuti al pubblico: email private, sceneggiature di film, informazioni sanitarie, dettagli sulla retribuzione dei dipendenti e molto altro ancora divennero di pubblico dominio.

Non poteva mancare dalla classifica la tedesca Volkswagen per la quale il 2015 è stato decisamente difficile: nella prima metà dell’anno ha dovuto richiamare centinaia di migliaia di veicoli per vari difetti tecnici, in settembre poi è emerso lo scandalo dei falsi dati sulle emissioni di alcuni modelli di auto diesel, che hanno portato l’azienda a la società a perdere in borsa il 30% del suo valore. Il gruppo tedesco si piazza all’ottavo posto.

In coda, dopo la Fifa, e in compagnia di General Motors e Honda, altre due imprese si piazzano al decimo posto: l’agenzia di sviluppo statale 1Malaysia Development Berhad, che entra in classifica sulla scia di accuse di corruzione e occultamento di fondi e la brasiliana Odebrecht, al centro della più grave vicenda di corruzione nella storia del Brasile, che ha coinvolto la società petrolifera statale Petrobras e ha portato all’impeachment della attuale presidente, Dilma Rousseff.