Per il 2018 tutti gli occhi sono puntati sull’inflazione

Mark Nash -

Negli ultimi 10 anni i mercati sono stati colpiti da una serie di eventi straordinari, compresi i timori legati alla svalutazione in Cina, la crisi del debito in Europa e la Brexit, per citarne solo alcuni.

Tuttavia, il mercato azionario è riuscito a superare tali tempeste, con una tendenza rialzista iniziata nel 2008, e la volatilità è sempre tornata a scendere velocemente dopo le sorprese negative.

Un portafoglio che non avesse voluto correre dei rischi in questa fase avrebbe sottoperformato, a causa di una serie di limiti. L’inflazione è rimasta a livelli ostinatamente bassi dalla crisi finanziaria globale in poi, a causa della mancanza di domanda e dei grandi output gap. Intanto, le banche centrali sono state in grado di agire ogni qualvolta l’incertezza aumentava, allentando le condizioni finanziarie per sostenere l’attività economica. Consapevoli di ciò, gli investitori hanno sempre colto l’occasione dei ribassi per acquistare asset rischiosi.

Tutto ciò ha avuto l’effetto di schiacciare il premio per il rischio in tutte le asset class. La forte crescita e i bassi livelli di inflazione, le cosiddette condizioni “Goldilocks”, hanno visto i fondi long-only registrare ottime performance, che si trattasse di strategie azionarie, obbligazionarie o multi-asset. La liquidità non è stata considerata un asset attraente, visti i tassi zero o negativi, che hanno costantemente agito da venti contrari, spingendo il denaro verso asset a più lunga durata e titoli obbligazionari più rischiosi.

I bassi livelli di inflazione hanno svolto un ruolo fondamentale nel rally che ha interessato gli asset finanziari in generale, ma ora la situazione è cambiata.

Innanzitutto, gli output gap si sono chiusi nella maggior parte delle economie avanzate: le pressioni inflative che si potevano già percepire, stanno ora iniziando ad emergere, come mostrano i recenti dati statunitensi. A breve assisteremo anche a una forte spinta fiscale che sosterrà la crescita negli Stati Uniti, sebbene il Paese stia già andando alla sua massima potenza. Il prezzo del petrolio è aumentato a 65 dollari al barile, rispetto ai livelli minimi del 2016, e le pressioni salariali si stanno facendo sentire. Di conseguenza, dopo tutto potrebbe esserci inflazione, e i mercati hanno iniziato a ri-prezzare i futuri tassi di interesse più elevati.

Questo sta alzando l’intera curva dei rendimenti, mentre anche le pressioni di domanda e offerta per l’obbligazionario stanno drammaticamente cambiando. Nel corso degli ultimi due anni il quantitative easing ha assorbito il 100% delle emissioni nette di debito dei Paesi del G10. Nel 2018, questa percentuale scenderà al 40% e a partire da novembre 2018, il quantitative easing netto inizierà ad andare in negativo, via via che la BCE porterà a termine tale programma e la Fed continuerà con la riduzione di bilancio. Questo cambiamento sta creando un surplus di titoli di Stato, che dovrà essere assorbito dagli investitori privati. Alla luce di un mercato del lavoro in ottima salute e dei bassi livelli di produttività nell’economia statunitense, qualsiasi spesa extra sarà probabilmente fatta all’estero, aumentando il disavanzo commerciale. Tuttavia, fare affidamento su creditori esteri sensibili ai prezzi crea incertezza in un contesto di debolezza per il dollaro, alti costi di protezione dal rischio cambio e un deficit in aumento: queste problematiche dovrebbero rendere la curva dei rendimenti americana ancora più ripida. Ciò che è chiaro è che gli investitori privati esteri continuano ad essere i price setter del mercato dei Treasury. È interessante notare che nel 2018 gli investitori del settore privato giapponese hanno rimpatriato gli investimenti obbligazionari esteri, portando lo yen giapponese al rally.

Mentre l’inflazione aumenta, il premio per il rischio di inflazione deve essere necessariamente corretto. Attualmente, è negativo e gli investitori vengono penalizzati se detengono i bond a lunga scadenza, visto che i Treasury Usa sono stati considerati una buona protezione dal rischio di deflazione. La curva dei rendimenti dovrebbe irripidirsi verso livelli più normali, va via che le aspettative sull’inflazione aumentano.

I titoli di Stato Usa affronteranno quindi un contesto più complesso e ci aspetteremmo rendimenti più elevati in futuro. La correzione dei mercati di febbraio dovrebbe essere stato un campanello d’allarme per tutte le asset class: la notizia che il salario orario medio è aumentato del 2,9% anno-su-anno a gennaio (una crescita molto più alta rispetto alle aspettative, ma non molto elevata se comparata ai livelli pre-crisi) ha spinto al rialzo i rendimenti dei Treasury e in tre giorni l’azionario Usa ha visto un calo del 10%, la volatilità è aumentata e gli spread creditizi si sono allargati notevolmente.

Per essere chiari, il nostro scenario base resta lo stesso: assisteremo ad un graduale aumento dell’inflazione, una graduale introduzione di una politica monetaria più restrittiva e un ciclo economico prolungato. Tuttavia, riconosciamo che questo sentiero è incredibilmente stretto e di conseguenza, insieme all’inflazione, anche i rischi stanno aumentando per un’economia che è stata ampiamente supportata da condizioni economiche accomodanti. La reazione del mercato a un’inflazione elevata sarebbe drammatica e il conseguente inasprimento delle condizioni finanziarie potrebbe essere molto dannoso per l’economia globale.

L’inflazione è un fattore importante e la velocità della sua ascesa rappresenta il rischio numero uno per l’economia globale e ogni tipo di asset – sicuro o rischioso – nel 2018.


Mark Nash – Head of Fixed Income – Old Mutual Global Investors