Mercati globali, cosa monitorare nel 2019

Kristina Hooper, Arnab Das -

Riflettendo sul 2019, riteniamo che nel corso del nuovo anno dovremo continuare a considerare 3 temi.

Tema 1: divergenze

Sebbene prevediamo che la crescita economica si manterrà robusta, sono emerse divergenze in termini di crescita maggiori rispetto allo scorso anno. Crediamo che il trend sia destinato a proseguire, anche se saranno probabilmente limitate dalla forza dei consumi e investimenti USA (nonché dalla forza degli stimoli cinesi), il che contribuirà probabilmente a dare impulso alla crescita nel resto del mondo, almeno in qualche misura. Per l’anno prossimo ci aspettiamo anche qualche divergenza in termini di inflazione, con alcune economie gravate da pressioni rialziste sui salari e crescenti costi di produzione.

Tema 2: turbolenze

Politiche monetarie La Federal Reserve (Fed) continuerà molto probabilmente il suo percorso di regolari e graduali rialzi dei tassi. A questo punto, servirebbe verosimilmente una notevole flessione dei dati economici o una pesantissima correzione del mercato azionario statunitense per far deviare la Fed da questo continuo aumento dei tassi. Parallelamente, la Fed sta procedendo a una normalizzazione del bilancio, uno strumento di per sé potente. La rotta prestabilita prevede l’eliminazione di maggiori volumi di asset dal bilancio della Fed ogni trimestre, il che implica una possibilità significativa di turbolenze dei mercati (nel 2018 abbiamo già osservato le turbative causate dalla politica monetaria USA nei mercati emergenti). Inoltre, a partire dalla fine del 2018, la Banca Centrale Europea (BCE) darà inizio alla riduzione del programma di allentamento quantitativo, che potrebbe creare ulteriori turbative nei mercati obbligazionari della zona euro, che stanno già registrando nuove divergenze. Vi è poi il rischio che, a ottobre del 2019, il Presidente della BCE Mario Draghi sia sostituito da un presidente più aggressivo e che ciò provochi a sua volta maggiore volatilità per le azioni e le obbligazioni della zona euro. Inoltre, un numero crescente di economie dei mercati emergenti sta attuando una stretta, in molti casi per restare al passo con la Fed, creando un contesto complessivamente meno accomodante.

Geopolitica. Negli ultimi mesi, abbiamo osservato significative turbative geopolitiche che delineano una frammentazione strutturale dell’economia globale e concorrono già a creare divergenze a livello di crescita globale e volatilità significativa nei mercati finanziari. Per esempio, il rifiuto della leadership di Angela Merkel in varie regioni tedesche, le difficoltà del Regno Unito a organizzare la Brexit dall’Unione Europea e le tensioni tra l’UE e l’Italia a causa del desiderio di quest’ultima di aumentare la spesa pubblica violando le regole della zona euro, contribuiscono a generare volatilità e pressioni sui mercati europei, inclusi euro, titoli di Stato e azioni (in particolare i titoli bancari) e sono destinati a gravare sulla crescita del Regno Unito, dell’Italia e in qualche misura dell’Europa nel suo complesso. Il ritiro degli Stati Uniti dall’accordo sul nucleare iraniano ha contributo all’aumento dei prezzi del petrolio perché la linea dura richiedente il rispetto delle sanzioni da parte di molti paesi ha prefigurato un’offerta petrolifera globale molto inferiore; tuttavia, la concessione di molte esenzioni dalle sanzioni ha ora ridotto tale rischio concorrendo a una marcata correzione dei prezzi del petrolio. 

Questa situazione ha inciso sulle valute e sui mercati di molti paesi esportatori e importatori di petrolio. Il maggiore rischio geopolitico è naturalmente il potenziale di guerre commerciali su ampia scala, che in questo frangente sembra alquanto probabile. Ciò può esercitare pressioni ribassiste sulla crescita economica in vari modi: intensifica l’incertezza della politica economica, che solitamente riduce gli investimenti delle imprese; provoca un aumento dei costi di produzione, che fa scendere i margini di utile e si ripercuote sui consumatori, che a loro volta di norma diminuiscono le spese in altre aree; oppure, determina una distruzione della domanda.

Infine, può causare perturbazioni della catena di fornitura e rendere le economie meno efficienti e produttive. Ci sono speranze di nuove trattative, a partire forse dalla tregua di fine novembre al summit del G20, in occasione del quale è previsto un incontro tra il Presidente cinese Xi e il Presidente statunitense Trump. Ricordiamo però che l’eventuale pausa di sollievo potrebbe essere temporanea perché le preoccupazioni investono molte aree oltre al commercio, quali protezione della proprietà intellettuale e sicurezza nazionale.

Tema 3: eccesso di debito

Il mondo sta diventando sempre più indebitato. In un recente Global Financial Stability Report, il Fondo Monetario Internazionale ha messo in guardia dal crescente eccesso di debito registrato in diverse economie. Questo problema è diffuso, in quanto riguarda famiglie, imprese e paesi e sta diventando più gravoso a mano a mano che i tassi aumentano. Per esempio, i proprietari di abitazioni canadesi stanno evidenziano segnali di crescenti pressioni dovute al fatto di avere mutui a tasso variabile. E i fattori sfavorevoli che molte economie dei mercati emergenti hanno affrontato nel 2018 possono almeno in parte essere attribuiti a costi di indebitamento più elevati. A mano a mano che la politica di normalizzazione monetaria continua e accelera nei prossimi anni, queste pressioni sono destinate ad aumentare. Oltre agli effetti a breve termine delle pressioni del debito, vi è anche un effetto a lungo termine: il maggiore denaro speso per il servizio del debito si traduce in meno denaro spendibile per i consumi o per finalità più produttive, come un investimento. Tale combinazione può incidere negativamente sia sulla crescita nell’attuale ciclo economico che sul potenziale di crescita delle economie con livelli elevati di debito a lungo termine.

Implicazioni per i mercati

Riteniamo che parallelamente alla normalizzazione della politica monetaria si normalizzeranno anche i mercati di capitali. Ciò comporta un’erosione del supporto che la Fed ha fornito ai titoli statunitensi. In questo contesto, ci aspettiamo una perdurante volatilità e una continua riduzione delle correlazioni sui vari mercati finanziari nazionali e tra i titoli all’interno dei singoli paesi, in quanto i fondamentali diventano più importanti. Inoltre, la normalizzazione della politica monetaria fa sì che i mercati degli asset USA siano propensi a registrare un ritorno alla media nel corso di questo ciclo inconsueto, con rischi di ribassi derivanti dalle tensioni commerciali e dalla situazione geopolitica. Il ritorno alla media potrebbe tradursi in rendimenti obbligazionari alquanto più elevati e tassi di sconto per i cash flow societari. Inoltre, si rispecchierebbe probabilmente in premi al rischio azionario e sul credito societario più elevati, mentre il potenziale di frammentazione – anche parziale – causato dalle turbative geopolitiche, si tradurrebbe verosimilmente in una maggiore volatilità e una probabile redditività societaria ancora più bassa, qualora le imprese statunitensi avessero un minore accesso ai mercati globali, Cina inclusa. Quest’ultima è stata finora ritenuta in grado di continuare a costituire un importante propulsore della crescita globale e una fonte primaria di ricavi e crescita degli utili di multinazionali statunitensi e di altri paesi.

Nonostante questi rischi di ribasso e volatilità, tendiamo ad aspettarci performance contenute delle obbligazioni statunitensi e guadagni moderati delle azioni USA a causa della loro esposizione più ampia all’economia degli Stati Uniti e del maggiore isolamento strutturale dalle tensioni commerciali e dal contesto geopolitico. Nella zona euro e in Giappone, ci attendiamo un perdurante supporto degli asset rischiosi alla luce della politica monetaria più accomodante, che a nostro avviso dovrebbe tradursi in modesti rendimenti azionari positivi per tali regioni, malgrado una crescita economica relativamente bassa. Nei mercati emergenti (ME), prevediamo che il re-pricing provocato dalla Fed continuerà a ripercuotersi sui mercati globali attraverso un dollaro più forte, rendimenti obbligazionari USA più elevati e condizioni finanziarie globali più rigide, il che prefigura maggiori pressioni sulle valute dei ME, con conseguenti pressioni ribassiste sulla crescita e rialziste sull’inflazione, ossia uno scenario difficile per le azioni, le obbligazioni e le valute dei ME. Esiste tuttavia una significativa possibilità che entro la metà del 2019 la Fed possa frenare la normalizzazione a fronte di un rallentamento della crescita economica, cosa che a nostro parere dovrebbe in qualche misura attenuare le implicazioni per gli investimenti sopra citate.

Sul fronte delle materie prime, ci attendiamo un perdurante comportamento insolito, in un quadro in cui la tendenza a un dollaro forte, la divergenza tra gli Stati Uniti e il resto del mondo e il rischio di diminuzioni della crescita globale spingeranno al ribasso l’intero complesso delle materie prime. I metalli base sono tra le materie prime più esposte a questi rischi di ribassi, dettati dal rallentamento legato al “deleveraging” in Cina e dalle generali pressioni ribassiste sulle spese in conto capitale globali dovute ai dissidi sugli scambi commerciali. I rischi geopolitici e le tensioni commerciali delineano tuttavia la prospettiva di continue divergenze tra le materie prime, in particolare il petrolio, in quanto le tensioni in medio Oriente potrebbero riaccendere le pressioni rialziste sui prezzi. Le materie prime deperibili rimangono esposte agli sviluppi delle trattative USA-Cina: i dazi cinesi sulle esportazioni agricole statunitensi rappresentano una potenziale moneta di scambio in sede di trattativa, che potrebbe portare a una tregua o sfociare in una nuova fase di tensioni o aumenti dei dazi.
In questo contesto, riteniamo che l’esposizione agli asset rischiosi sia importante per conseguire i nostri obiettivi a lungo termine, soprattutto perché osserviamo un persistente orientamento rialzista per le azioni, seppur via via più debole. A nostro giudizio, la protezione contro il rischio di ribassi sarà essenziale e in essa rientra un’ampia diversificazione a livello azionario e obbligazionario.
Infine, il fattore forse più rilevante in questo periodo d’incertezza è che riteniamo che l’esposizione agli investimenti alternativi possa contribuire alla diversificazione e all’attenuazione del rischio.  L’esposizione può comprendere strategie come portafogli market neutral e altre asset class con correlazioni più basse, in particolare quelle con capacità di generare reddito.


Kristina Hooper – Chief Global Market Strategist – Invesco
Arnab Das – Global Market Strategist, EMEA – Invesco