Potenziale rialzo per gli asset a fronte della continua espansione del ciclo economico

John Greenwood -

Malgrado la ripresa che i mercati azionari di Stati Uniti e altri paesi hanno registrato dall’inizio di quest’anno, i timori di recessione riemersi verso la fine del 2018 continuano a incombere, benché l’economia statunitense sia in procinto di superare il periodo di crescita storicamente più lungo.

A giugno 2019 cadrà il decimo anniversario dell’inizio dell’attuale espansione, ma l’economia degli Stati Uniti e le economie che risentono in misura elevata del ciclo economico statunitense possono continuare a espandersi ancora per parecchi anni.

Al di là del miglioramento dei bilanci delle famiglie e delle società del settore finanziario USA, il dato più importante è che l’inflazione rimane al di sotto del 2%, il che implica che la Fed non ha motivi per operare una stretta della politica monetaria tale da porre fine all’espansione nel breve termine A sua volta, ciò significa che i prezzi degli asset rischiosi – azioni, immobili o materie prime – possono salire ulteriormente prima della fine dell’attuale fase di rialzo. Fino a quando continua l’espansione del ciclo economico, un’eventuale deviazione sostanziale dei mercati degli asset dal sottostante profilo del ciclo economico sarebbe storicamente senza precedenti.

Sebbene numerosi previsori abbiano sostenuto che un aumento dell’inflazione, sulla scia dei consistenti deficit fiscali e dell’elevato debito pubblico oppure a causa della contrazione dei mercati del lavoro, avrebbe prima o poi implicato la fine dell’espansione del ciclo economico, i tassi d’inflazione nella maggior parte delle economie sviluppate e in molte di quelle emergenti sono rimasti bassi, come correttamente previsto dal Chief Economist di Invesco negli ultimi 10 anni. I previsori hanno ignorato le cause autentiche dell’inflazione, ossia una crescita eccessiva dell’aggregato monetario e del credito, che nell’ultimo decennio le economie sviluppate non hanno sostanzialmente registrato.

Una crescita monetaria eccessiva e/o una leva finanziaria eccessiva sono i due principali fattori scatenanti le recessioni. Di conseguenza, se la crescita monetaria e del credito rimane moderata e l’inflazione resta contenuta, le banche centrali non hanno l’esigenza di operare una stretta tale da minacciare una recessione. Allo stesso modo, se la leva finanziaria non diventa eccessivamente pesante, come è successo nel 2003-2008 non vi è motivo di attendersi una turbativa finanziaria simile al fallimento di Lehman Brothers, che provocò il congelamento dei mercati del credito, il crollo della spesa e quindi del PIL nel 2008-2009.

Il fatto che l’indebitamento pubblico su ampia scala sulla scia della crisi finanziaria globale abbia sostituito l’indebitamento del settore privato negli Stati Uniti, nella zona euro, in Giappone e nel Regno Unito, consentendo diversi gradi di deleveraging nel settore privato, ha permesso una crescita costantemente bassa della moneta e quindi dell’inflazione. Se la crescita monetaria rimane congruente con una bassa inflazione, un’economia può tranquillamente espandersi a ritmi pari o prossimi al suo tasso di crescita potenziale, con una bassa disoccupazione, senza registrare un aumento significativo dell’inflazione. Inflazione più elevata, tassi d’interesse più alti e crollo dei valori degli asset non sono inevitabili, quanto meno nei prossimi due o tre anni.

L’economia statunitense è attualmente più vicina alla fase intermedia del ciclo, che a quella finale. Gli aumenti dei tassi operati lo scorso anno dalla Fed, che in combinazione con il rallentamento del segmento manifatturiero nel 2018 hanno fatto scattare un campanello d’allarme per alcuni investitori, hanno rappresentato una normalizzazione, anziché una stretta della politica, analoga alle correzioni di medio ciclo avvenute nel 1994-1995 o 2004-2005. In entrambi i casi, l’espansione del ciclo economico è continuata ancora per parecchi anni dopo la serie di aumenti dei tassi d’interesse. Non vi è alcuna ragione per allarmarsi per la recente inversione della curva dei rendimenti, che a suo parere è più un sintomo di cambiamenti a livello di domanda e offerta sui mercati del credito. Un’inversione della curva dei rendimenti è di norma seguita da una recessione solo quando è un sintomo di una stretta delle condizioni di politica monetaria. Ci si attende una crescita del PIL reale del 2,6% per gli Stati Uniti nel 2019.

Per quanto riguarda la zona euro, ci si aspetta invece una crescita del PIL reale notevolmente più contenuta, pari all’1,4% nel 2019, in quanto tale area risente degli effetti della flessione subita dal segmento manifatturiero nel 2018. Sorge un interrogativo: questa flessione è destinata a dimostrarsi un momentaneo periodo di debolezza oppure rappresenta il sintomo di una più profonda carenza sottostante di domanda aggregata? La domanda aggregata, o la spesa totale in beni e servizi, è stata compressa dalla bassa crescita monetaria. Resta il problema che, pur non avendo completamente risanato i bilanci, le banche della zona euro sono ancora avverse al rischio e la concessione di finanziamenti rimane anemica. Ritengo pertanto che, senza il supporto degli acquisti di asset da parte della BCE nel quadro del QE, sia altamente probabile che l’aggregato monetario ampio rallenti ulteriormente, indebolendo la potenziale ripresa.

Nel Regno Unito, le incertezze legate alla Brexit continuano a ostacolare finanziamenti e investimenti. In un quadro in cui la fiducia di consumatori e imprese, e quindi le spese, sono state frenate dal perdurante contenzioso tra Londra e Bruxelles, ci si aspetta una crescita del PIL reale del Regno Unito di appena l’1,3% nel 2019, ampiamente inferiore al tasso di crescita potenziale di lungo termine dell’economia.

La Cina è a sua volta impegnata a ridurre l’indebitamento, mantenendo al contempo la crescita. Dopo aver accumulato elevati livelli di debito nei precedenti 7-8 anni, il settore delle imprese statali cinesi e parte del settore finanziario si sono trovati dinnanzi a limitazioni della crescita negli ultimi due anni. Come osserva Greenwood, non possono più continuare ad assumere prestiti e investire con la stessa spensieratezza di prima, ma la People’s Bank of China e altre autorità sono restie a consentire un calo troppo marcato del tasso di crescita a causa delle turbolenze sociali che potrebbero emergere.

Di conseguenza, la politica macroeconomica cinese nel corso dell’ultimo anno è passata dalla precedente chiara spinta direzionale – mirata all’espansione o alla contrazione – a una serie apparentemente contraddittoria di strategie comprendenti una combinazione di limitazioni ai finanziamenti erogati dal sistema bancario ombra e controlli macro-prudenziali sui finanziamenti al settore immobiliare da una parte, accompagnati dall’allentamento dei tassi d’interesse e dalla riduzione dei coefficienti di riserva obbligatoria dall’altra. Nel breve termine, prevede che ciò si traduca in un ulteriore grado di rallentamento della dinamica di crescita e una significativa flessione dell’inflazione rilevata. Per il 2019, si prevede una crescita del PIL reale cinese del 6,3%.

Per quanto riguarda il Giappone, la crescita del PIL reale dello 0,9% attesa per quest’anno continuerà a essere gravata dall’avversione al rischio degli istituti di credito e dalla riluttanza dei debitori ad aumentare il loro indebitamento in un contesto di crescita reale o nominale molto lenta. Anziché generare la necessaria crescita monetaria acquistando direttamente titoli da enti non bancari e pagandoli con nuovi depositi, la Bank of Japan ha concentrato il proprio programma di acquisti di asset sulle banche. Di conseguenza, ha dovuto contare su banche avverse al rischio per incrementare i finanziamenti e quindi la crescita dell’aggregato monetario ampio. Se avesse acquistato titoli di Stato giapponesi da società finanziarie non bancarie e dalle famiglie, il livello di depositi e moneta nel sistema bancario giapponese sarebbe ora sostanzialmente più elevato e il tasso d’inflazione sarebbe pari o superiore al 2%.


John Greenwood – Chief Economist – Invesco