Coronavirus: una pandemia prolungata avrà conseguenze sulle politiche monetarie. Specialmente negli USA

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Continua il dibattito sulle possibili conseguenze del coronavirus su economia e mercati globali. Ad oggi però, nessuno può dire con precisione come si evolverà l’epidemia di coronavirus. E gli investitori farebbero meglio a non fidarsi dei molti esperti, alcuni dei quali autoproclamati, che danno previsioni approssimative.

Una cosa tuttavia è chiara: se ci fosse una pandemia e questa dovesse prolungarsi nel tempo, provocando un rallentamento permanente dell’economia, ci sarebbero effetti sulla politica monetaria. Soprattutto negli Stati Uniti.

La FED ha ancora potenza di fuoco a disposizione

A seguito degli aumenti dei tassi di interesse degli ultimi anni, infatti, la Federal Reserve ha ancora a disposizione la maggiore potenza di fuoco. E si può presumere che la utilizzerà in caso di emergenza.

Poco più di un anno fa, la normalizzazione monetaria sembrava essere in pieno corso negli Stati Uniti e un ritorno dei tassi d’interesse verso il 5% è ormai un esito scontato per la maggior parte degli americani. Negli Stati Uniti, tuttavia, gli investitori non sono veramente consapevoli del quadro reale dei tassi d’interesse. E questo ha conseguenze di vasta portata – anche per le valutazioni di borsa.

Per fare un esempio in Giappone le persone sono abituate da tempo ai tassi d’interesse zero e anche in Europa ci si sta lentamente rendendo conto che i tassi d’interesse rimarranno dove sono nel lungo periodo. Negli Stati Uniti la situazione è un po’ diversa. Da un lato, non sembra né comprensibile né accettabile per gli americani che Paesi come l’Italia, ad esempio, possano rifinanziarsi a condizioni decisamente più favorevoli rispetto agli Stati Uniti, per non parlare della Grecia.

D’altra parte, i rendimenti al di sotto del 2% sembrano ancora assurdamente bassi per la maggior parte degli americani. Il livello dei tassi d’interesse è unanimemente classificato come troppo basso – e nella migliore delle ipotesi come un fenomeno temporaneo.

Risvolti sulle valutazioni azionarie

A differenza degli investitori europei, che si tengono generalmente alla larga dal mercato azionario anche a fronte dei tassi d’interesse più bassi, negli USA gli investitori non considerano la partecipazione in società come “speculazione”. Non sorprende quindi che gli investitori americani detengano la quota di gran lunga maggiore del mercato azionario. Finché gli investitori americani si aspettano rendimenti del 4-5 percento circa nel prossimo futuro, non dovrebbe sorprendere che le valutazioni azionarie si basino ancora su questo livello. Immaginate cosa accadrebbe se il più grande gruppo di investitori al mondo si rendesse conto che i tassi di interesse rimarranno bassi nel lungo termine.

Chiaramente la disponibilità degli investitori americani ad accettare valutazioni più elevate sul mercato azionario dovrebbe aumentare in modo significativo. E in tal caso, l’effetto avrebbe probabilmente conseguenze ben più ampie sul livello di valutazione rispetto ai pochi movimenti effettuati da alcuni audaci investitori europei. I P/E di 16 o 17, essendo stati percepiti come “adeguati” al mercato azionario globale per molti decenni dovrebbero quindi diventare un ricordo del passato.

Non c’è alternativa all’azionario in un contesto di bassi tassi di interesse

Un ulteriore calo dei tassi d’interesse negli USA sarebbe certamente un fattore scatenante a lungo termine per le valutazioni dei mercati azionari. Ciò non significa, tuttavia, che sia improbabile che diventi instabile nel breve termine. Dopotutto, in caso di pandemia, i profitti di molte aziende sarebbero inizialmente in calo. Eppure, il fatto che le valutazioni sul mercato azionario non si discostino sensibilmente da quelle di 30 anni fa, nonostante i tassi d’interesse record, rappresenta almeno un buon cuscinetto. Si tenga presente che i rendimenti degli utili aziendali sono attualmente superiori di circa il 4-5 per cento rispetto al rendimento di un portafoglio obbligazionario accettabile. Pertanto, anche in casi di pandemia conclamata, non ci aspettiamo un crollo.

In conclusione, guardando al lungo termine, non c’è comunque alternativa alle azioni per gli investitori in un contesto di bassi tassi d’interesse. Almeno non se vogliono conservare il loro patrimonio a lungo termine e soprattutto in termini reali – cioè considerando l’inflazione.