Brexit, riflessioni agostane per una “modesta proposta” contro il panico dei mercati

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La richiesta del governo inglese di rivedere i termini del trattato con l’Unione Europea riporta l’ombra del rischio politico sul listino di Londra mentre le valutazioni continuano a rendere interessanti le borse europee. Sembra che il governo inglese realizzi oggi che la frontiera libera in Irlanda sposta i controlli doganali al passaggio tra l’Irlanda del Nord e l’Inghilterra: vuole dunque rivedere i termini dell’accordo sulla Brexit siglato nel dicembre 2020. La proposta di Boris Johnson è temeraria nella sfida all’Unione Europea il cui interesse è preservare l’integrità del mercato unico ed evitare che l’Irlanda diventi un varco per l’ingresso di merci non conformi agli standard di sicurezza stabiliti a Bruxelles. Inaccettabile anche perché altera i termini di un accordo sottoscritto pochi mesi fa da questo stesso governo e rischia, tra le altre cose, di svalutare la firma inglese sui trattati internazionali.

L’accordo del dicembre 2020 aveva finalmente riportato chiarezza sui termini dell’uscita della Gran Bretagna dall’Unione e, dopo cinque anni di sottoperformance rispetto alle principali borse mondiali, aveva riportato fiducia. Negli ultimi dodici mesi sono stati chiusi a Londra oltre duecento deal di private equity, una accelerazione dovuta al timore che la Banca d’Inghilterra metta fine al denaro a buon prezzo ma anche un segnale di fiducia sulle prospettive future. Tornare a discutere dell’accordo che aveva restituito certezza e fiducia significa riportare indietro di un anno le lancette dell’orologio finanziario britannico. Diversa la condizione degli altri listini europei, indifferenti alle giravolte di Johnson: performance sostenute da robusti dati economici, dal ritorno della fiducia in imprese e famiglie e dalle positive attese di utili societari. Le valutazioni fondamentali, “bottom up”, continuano a mostrare utili in crescita e sorprese positive: le pubblicazioni delle trimestrali in queste settimane confermano questa direzione. L’esperienza dei mesi scorsi e gli scossoni che no mancano ricordano di gestire con cautela le scelte di settori e stili di investimento perché l’alternarsi delle preferenze si verifica all’improvviso e con violenza, complici anche le incertezze sull’inflazione e le possibili conseguenze della variante Delta.

La nostra “modesta proposta”, molto meno efferata di quella formulata da Jonathan Swift nel 1729, a proposito dei possibili scossoni dei mercati è “no panic!”, non cedere alla paura. In realtà già a metà luglio i mercati avevano reagito allo scoraggiamento che sembrava averli afferrati. Infiammati dall’euforia per il ritorno al “business as usual”, il rendimento del Treasury saliva a 1,75%, poi è subentrato uno stato d’animo di pessimismo cosmico, di riflessioni sulla caducità della ripresa affossata dalla variante Delta, e il Treasury è scivolato a 1,25% (dopo aver toccato 1,13%). I rendimenti sono sempre l’esito dei flussi dei capitali ma quanto i flussi sono coerenti con i fondamentali? Pochi giorni fa scrivevamo che la notizia della fine del Reflation Trade è fortemente esagerata, è invece possibile che la fase finale dell’emergenza sanitaria sia lunga e faticosa, un “long goodbye” al Covid-19, come ha titolato l’Economist.

Nelle ultime sedute di fine luglio si è verificato il rimbalzo dei titoli value e ciclici nel convincimento che non si tornerà alle chiusure dello scorso anno, che la moral suasion dei governi (o le maniere forti come in Francia) aumenteranno il tasso di copertura vaccinale indebolendo la minaccia del virus. La modesta proposta a non cedere al panico si riferisce al futuro: si fanno sempre più frequenti le reazioni violente dei mercati, per l’accesso diretto di molti investitori singoli, per fattori tecnici come gli automatismi delle ricoperture, oppure per comportamenti alterati dall’euristica della rappresentatività, la scorciatoia mentale che da certe premesse conduce a conclusioni affrettate e, puntualmente, sbagliate.

Mettiamo in fila le informazioni che conosciamo: con le vaccinazioni di massa si rafforza la ripresa, il rallentamento della curva delle vaccinazioni negli Stati Uniti preoccupa ma è prematuro trarre conclusioni sulla qualità della crescita nei prossimi mesi; il mercato del lavoro continua a creare nuovi posti di lavoro senza generare, per ora, tensioni salariali, mancano circa sei milioni di posti di lavoro per uguagliare l’occupazione di gennaio 2020. L’inflazione è stata condizionata dall’eccezionalità della pandemia; la scomparsa della domanda nei settori più sensibili al Covid-19 ha fatto crollare i prezzi che ora reagiscono alla lunga compressione;

In Europa le condizioni sono diverse da quelle degli Stati Uniti, il Vecchio Continente esce da un decennio di crescita modesta, molto al di sotto del potenziale e non ci sono rischi di sovra-riscaldamento dell’economia, gli stimoli comunitari non sono paragonabili a quelli degli Stati Uniti. Semmai c’è il rischio che il cosiddetto “effetto base” si presenti dopo l’estate con valori di inflazione che potrebbero non essere “moderatamente sopra l’obiettivo”, come ha detto Lagarde, ma decisamente alti. Un periodo di inflazione superiore all’obiettivo sarebbe forse utile per assicurare che l’economia europea “si riprenda completamente con il pieno impiego di capitali e lavoro” scrive Christian Odendhal del Centre for European Reform. Odendhal mette in guardia dalla tentazione di agire troppo presto sulla politica monetaria per una malintesa paura dell’inflazione e così “soffocare la ripresa economica”.

Anche i banchieri centrali sono a un bivio: con il nemico alle porte, l’inflazione, è più difficile confermare il “lower for longer”, bassi tassi di interesse per un prolungato periodo di tempo. La BCE per il momento conferma l’attuale stance fino a fine marzo 2022 e “in ogni caso finché non sarà ritenuta superata la crisi per il coronavirus”. Le condizioni di scenario e le considerazioni di metodo rafforzano la nostra modesta proposta, non cedere al panico, mai.