L’impatto del conflitto in Ucraina sui mercati emergenti
Dal 24 febbraio, inizio dell’invasione russa dell’Ucraina, il ritmo dell’escalation è stato rapido. La situazione è in continua evoluzione, e purtroppo anche la crisi umanitaria si sta aggravando. L’imposizione delle sanzioni ha gravi implicazioni per l’economia russa, ma anche per la crescita globale. In questo contesto, abbiamo adottato un approccio più cauto e difensivo.
Il nostro outlook prima dell’invasione
Avevamo previsto una prima metà del 2022 complessa per i mercati emergenti. Le condizioni finanziarie globali stavano per inasprirsi e l’affievolirsi del sostegno fiscale era già un freno all’attività economica. La crescita globale era robusta, ma in rallentamento e l’inflazione si stava dimostrando più vischiosa del previsto. C’erano tuttavia ragioni per essere positivi: i rendimenti e le valute dei mercati emergenti avevano prezzi attraenti e ci si aspettava una Fed più falco. Si prevedeva inoltre un rallentamento dell’inflazione nella seconda metà dell’anno.
Qual è l’impatto delle sanzioni alla Russia?
La Russia sta affrontando una grave recessione, a causa della combinazione di sanzioni e il conseguente ritiro di aziende e clienti occidentali. La Russia e l’Ucraina rappresentano meno del 2% del PIL globale, tuttavia, il conflitto potrebbe avere conseguenze importanti sull’economia globale a causa del suo impatto sui mercati delle materie prime.
Insieme all’Ucraina, la quota russa delle esportazioni globali di varie materie prime è significativa. Queste vanno dall’energia ai metalli, ai metalli preziosi, ai cereali e ai fertilizzanti. La combinazione tra premio per il rischio geopolitico e minaccia di disruption all’approvvigionamento hanno innescato un sostanziale rally dei prezzi delle materie prime. Un’impennata sostenuta porterebbe a un grave stress economico.
A preoccupare in particolare sono i prezzi dei beni alimentari, poiché l’Ucraina è un importante produttore ed esportatore di grano e di altri prodotti agricoli. L’impatto sui prezzi dei tali beni potrebbe essere duraturo se continueranno le disruption sulla produzione in Ucraina e sui mercati dei fertilizzanti.
Per quanto riguarda il petrolio, c’è la prospettiva di un accordo con l’Iran, una risposta alla produzione guidata dall’Arabia Saudita e dagli Emirati Arabi Uniti da parte dell’OPEC, un’accelerazione degli investimenti e della produzione di scisto negli Stati Uniti, così come un rilascio di barili dalla Strategic Petroleum Reserve statunitense.
Verso un ulteriore aumento dell’inflazione
L’inflazione globale è già ai massimi pluridecennali. Un rally sostenuto dei prezzi delle materie prime non farà che aumentare la pressione inflazionistica a breve termine.
Questo conflitto potrebbe anche avere implicazioni di lungo termine sull’inflazione. L’accelerazione nel ritmo della transizione energetica dai combustibili fossili alle rinnovabili è di natura inflazionistica. I costi di input per l’hardware delle rinnovabili sono aumentati, e la produzione di questi hardware ha un costo energetico iniziale. Inoltre, anche una potenziale accelerazione della diversificazione della supply chain e della polarizzazione economica attraverso una maggiore attenzione alla sicurezza delle forniture in relazione a certi prodotti sarebbe inflazionistica.
Tutto ciò fa aumentare il rischio di stagflazione, complicando la risposta delle banche centrali. La crescita globale dovrebbe rallentare, anche se l’impatto varierà a seconda del mercato. Gli Stati Uniti sono più isolati rispetto all’Europa e ad altri mercati sviluppati, data la loro autosufficienza energetica e la minore esposizione al commercio globale.
Quali sono le implicazioni per i mercati emergenti?
La Fed può essere più graduale per quanto riguarda la stretta della politica monetaria, ma è probabile che alzi i tassi in uno scenario di crescita globale più debole. Ciò, sommato a un dollaro USA più forte, crea un contesto complicato per i mercati emergenti. Per i Paesi che sono importatori netti di materie prime, i prezzi più alti peseranno sulle partite estere e sulle valute. Per i mercati emergenti a basso reddito, l’energia e i beni alimentari rappresentano tipicamente un’importante quota dell’indice dei prezzi al consumo (oltre il 50% per l’India e attorno al 20-40% in molti altri Paesi).
Al contrario, i mercati emergenti esportatori di materie prime sono posizionati relativamente meglio. Questi Paesi si trovano principalmente in America Latina e in Medio Oriente. In Asia, anche la Malesia e l’Indonesia potrebbero beneficiare della situazione.
Un rallentamento degli scambi commerciali a livello globale peserebbe anche sulle prospettive dei mercati emergenti. Avevamo già previsto una certa decelerazione nella seconda metà di quest’anno, poiché la ricostruzione delle scorte aveva visto un rallentamento, con uno spostamento dei consumi post-COVID-19 dai beni ai servizi.
In conclusione, i mercati emergenti che sono esportatori netti di materie prime dovrebbero beneficiare della situazione, almeno nel breve periodo. Anche le valutazioni stanno cominciando a diventare interessanti, sebbene l’incertezza e le pressioni sugli utili potrebbero persistere nel breve termine.