Tassi d’interesse e inflazione: la strada verso il reddito passa per i dividendi
Nei prossimi anni l’inflazione sarà di gran lunga più elevata rispetto all’ultimo decennio. La Federal Reserve statunitense dovrebbe iniziare ad aumentare i tassi d’interesse, anche se il cospicuo debito pubblico porta a escludere una vera e propria inversione di tendenza nei tassi d’interesse, cioè un aumento che li riporti al livello dell’inflazione o magari anche oltre. A nostro avviso, questo indica che il tasso d’interesse reale, cioè il reddito da interessi al netto dell’inflazione, rimarrà sotto lo zero ancora per molto tempo. In un’ottica di lungo termine, le azioni sono quindi più attraenti delle obbligazioni.
Un tasso d’interesse reale negativo, ad esempio del 3% annuo di media, provoca a una perdita di potere d’acquisto del 26% in dieci anni. In un tale scenario, la strategia “buy-and-hold” pura, adottata dalla maggior parte degli investitori privati, su prodotti di risparmio e obbligazioni non funziona più. In questo senso, un portafoglio azionario ampiamente diversificato e, se possibile, globale può offrire opportunità notevolmente migliori a lungo termine.
Attualmente i dividendi sono l’unica possibilità per ottenere un reddito corrente adeguato nelle classi di attività liquide, anche se naturalmente le distribuzioni non sono garantite. Questo aspetto è interessante per molti investitori. In questo caso, gli aristocratici dei dividendi – cioè i titoli di società che hanno costantemente aumentato i loro pagamenti di dividendi per 25 anni o più – offrono opportunità a lungo termine migliori rispetto alle società che distribuiscono dividendi particolarmente elevati. Per gli aristocratici dei dividendi, infatti, la sicurezza dei dividendi e il potenziale di crescita sono generalmente maggiori.
Ma per gli aristocratici dei dividendi le distribuzioni annuali sono spesso piuttosto basse. Inoltre, anche per le azioni che corrispondono dividendi, gli investitori dovrebbero sempre tenere conto di entrambe le facce della medaglia: l’importo del dividendo e l’incremento della quotazione.
È un errore concentrarsi solo sull’importo del dividendo
Se gli investitori volessero distribuzioni più elevate dovrebbero optare per aziende o settori complessi. Dividendi elevati si ritrovano spesso nel settore bancario, energetico, delle telecomunicazioni o delle utility – tutti segmenti che però tendono a generare un rendimento totale inferiore. Un elevato rendimento da dividendi compensa spesso la scarsa performance della quotazione azionaria. Di solito gli investitori che si concentrano solo sull’importo distribuito finiscono per includere in portafoglio diversi grattacapi. Naturalmente in questi settori ci possono essere anche singole società per azioni costantemente redditizie, che convincono in termini di qualità del business e pagano comunque dividendi molto alti. In questi casi però serve un’analisi accurata.
L’importo del dividendo è solo uno dei molti criteri da considerare. Noi ci concentriamo in primo luogo sulla qualità delle aziende, intesa come la solidità e la prevedibilità degli utili. Siamo infatti convinti che il dividendo dovrebbe seguire l’andamento economico dell’azienda e non viceversa. Dal nostro punto di vista, solo le aziende che crescono in modo redditizio sono in grado di distribuire dividendi sostenibili e di aumentarli nel tempo. I dividendi e gli investimenti non si escludono a vicenda. Ecco perché cerchiamo nello specifico società che possono permettersi di pagare i dividendi. Pagamenti costanti possono fornire anche una certa disciplina al management.
Prendiamo ad esempio la società statunitense Johnson & Johnson, che non solo paga dividendi regolari da 25 anni, ma ha anche aumentato varie volte le distribuzioni. Il CEO una volta ha spiegato che la distribuzione successiva viene dedotta dalla consueta pianificazione di allocazione del capitale all’inizio dell’anno. Solo in un secondo momento si valutano gli investimenti che, a quel punto, non possono essere eccessivi, ma vanno pianificati in modo efficiente. Essendoci meno denaro a disposizione, non se ne spende troppo. Dal mio punto di vista, è un po’ come un proprietario immobiliare che per anni deve spendere in modo morigerato per poter ripagare il prestito e alla fine si ritrova con una casa di proprietà.
Il tema dell’investimento passivo è tutt’altro che banale per gli investitori privati con un portafoglio globale di titoli che corrispondono dividendi. Per questo tipo di strategia serve un approccio decisionale molto attivo. Bisogna ad esempio combinare un “ETF aristocratico dei dividendi” per gli USA, l’Europa e l’Asia con un pizzico di un “High Dividend Index” globale – sempre che abbia senso in quel determinato scenario di mercato. Anche la selezione dei singoli titoli può presentare delle opportunità, ad esempio quando i prezzi di determinati aristocratici dei dividendi finiscono sotto pressione, a fronte di un rischio invariato. In questo caso, riteniamo che gli investimenti attivi possano offrire un valore aggiunto.