L’ importanza strategica del life cycle nella previdenza complementare

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Nella previdenza complementare del prossimo futuro ruolo centrale potrebbero avere i meccanismi life cycle che  ottimizzano l’esposizione al rischio nell’orizzonte temporale proprio di ciascun aderente, integrando un maggiore peso iniziale di strumenti azionari, caratterizzati da una maggiore volatilità ma anche da rendimenti attesi più elevati, e via via riducendolo con l’avvicinarsi del pensionamento.

La Covip nella propria Relazione annuale guarda per esempiocon interesse al life cycle nella revisione del meccanismo di silenzio-assenso per cui evidenzia che andrebbe rivista l’opzione di investimento di default, ancora oggi consistente nel comparto garantito.

Ma quanto è presente  il life cycle al momento nell’universo previdenziale?   Secondo le evidenze contenute nel Report della Autorità di Vigilanza sono quattro le forme pensionistiche di tipo negoziale che hanno attivato la possibilità di aderire a percorsi life-cycle,TELEMACO, PEGASO, PREVIMODA e SOLIDARIETÀ VENETO. Il numero dei lavoratori che hanno scelto detta tipologia di investimento è aumentato da 6.600 aderenti nel 2020 a 14.300 nel 2021. Per quel che riguarda i fondi pensione aperti sono dieci gli strumenti che li offrono, con un numero di posizioni in essere pari a 336.000 (circa il 30 per cento delle posizioni di tali fondi pensione). Sono poi 26 i piani individuali di previdenza che prevedono percorsi di tipo life-cycle. In generale si tratta di meccanismi che prevedono un unico percorso di riallocazione predefinita basato sull’età dell’aderente; in quattro casi è invece possibile scegliere tra diversi profili che presentano un livello di esposizione azionaria differente.

Come investono poi gli aderenti alle forme pensionistiche complementari ?  Per classi di età molto giovani e inferiori a 25 anni, comunque poco numerose e formate per lo più da soggetti fiscalmente a carico, la quota azionaria si posiziona su valori più elevati, in media superiori al 40 per cento . Nelle fasce di età centrali, il peso delle azioni è più basso e sebbene abbia una tendenza decrescente al crescere dell’età si mantiene intorno al 25-30 per cento, con un’incidenza maggiore negli uomini rispetto alle donne. Nelle classi più anziane la flessione delle azioni è via via più pronunciata fino ad attestarsi intorno al 10-15 per cento oltre i 60 anni di età.

La tendenza alla riduzione della quota azionaria all’aumentare dell’età è evidente nei fondi aperti, con percentuali intorno al 50-55 per cento al di sotto dei 39 anni che poi tendono a diminuire progressivamente senza tuttavia scendere al di sotto del 25 per cento anche per individui di oltre 60 anni. Il profilo decrescente è replicato nei fondi preesistenti e nei PIP, sebbene sia più piatto nelle fasce di età centrali dove l’incidenza si mantiene intorno al 20-25 per cento; in media il peso delle azioni nei fondi preesistenti e nei PIP è circa la metà di quello registrato dai fondi aperti su tutto l’intervallo anagrafico. Fanno eccezione i fondi negoziali, i cui iscritti hanno una percentuale di azioni appiattita sul 25-30 per cento su tutte le fasce di età fino a 59 anni, per poi scendere nelle classi di età più anziane

Le evidenze fin qui riscontrate, sottolinea la Covip, forniscono alcuni segnali circa l’ipotesi di una logica life-cycle nella costruzione dei portafogli previdenziali della maggior parte degli iscritti, che presuppone il maggior peso della componente azionaria nei primi anni della carriera lavorativa, che tende poi gradualmente a ridursi o annullarsi in prossimità dell’età di pensionamento. Tali segnali sono più evidenti nel caso dei fondi aperti e più tenui nel caso dei fondi preesistenti e dei PIP; sono presenti poi anche per i fondi negoziali.