Le azioni valgono più delle parole

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A parte l’inflazione, le domande più frequenti che mi vengono rivolte riguardano le prospettive di performance di diverse asset class. Dal momento che le azioni valgono più delle parole, i portafogli che gestisco dovrebbero rivelarvi le mie opinioni riguardo alle opportunità e ai rischi relativi.

Tuttavia, apprezzo le domande, dal momento che la maggior parte degli strategist che conosco non gestisce patrimoni. Sono sicuro che alcuni di loro hanno responsabilità di gestione dei portafogli, ma personalmente non ne conosco molti. A mio avviso, vi è un’importante differenza tra il modo in cui il denaro viene effettivamente allocato e ciò che viene affermato durante un’intervista televisiva o in un articolo. È facile esprimere un giudizio quando il capitale non è a rischio. Personalmente, trovo molto più utile analizzare il budget di rischio dei portafogli.

Costruzione del portafoglio

In generale, vi sono tre fattori cruciali da considerare quando si determina il peso di un asset in un portafoglio:

  1. Rendimento atteso Dato che i flussi di cassa determinano il rendimento dell’investimento, quali sono le prospettive dei cash flow a lungo termine o lo scenario di base dell’investimento?
  2. Distribuzione attesa del rendimento e volatilità Che aspetto potrebbe avere la distribuzione dei cash flow? Quanto è ampia la gamma di possibili risultati? Quale potrebbe essere la volatilità dei rendimenti? Come si presenta la “coda sinistra”, ossia, cosa potrebbe andare terribilmente storto? Qual è l’asimmetria del potenziale di rendimento rispetto al rischio?
  3. Correlazione attesa Quali sono le differenze tra le fonti di cash flow potenziali? Come potrebbero interagire i flussi di rendimento con gli altri asset in portafoglio? Questo asset contribuirà a diversificare o a concentrare il rischio di portafoglio esistente?

Dal momento che il futuro è incerto, possiamo solo formulare ipotesi quando cerchiamo di rispondere a queste domande.

Le nostre ipotesi all’inizio del 2022 erano che i tassi d’interesse fossero troppo bassi e che gli attivi rischiosi fossero sopravvalutati. Durante l’anno le curve dei rendimenti si sono mosse al rialzo e gli asset rischiosi hanno subito una correzione.

E adesso?

Nonostante la nostra ipotesi secondo cui la politica monetaria diventerà sempre più restrittiva al fine di attenuare la domanda aggregata, e in definitiva l’inflazione, l’appiattimento e l’inversione delle curve dei rendimenti riflettono ciò che ritenevamo da qualche tempo: deboli prospettive di crescita economica a medio e lungo termine. Sebbene i tassi a lungo termine possano aumentare a fronte del ridimensionamento dei bilanci delle banche centrali e dell’aumento dell’offerta che fa salire il premio al rischio legato alla detenzione di obbligazioni sovrane, riteniamo che gran parte del repricing sia già alle nostre spalle, il che accresce l’attrattiva delle obbligazioni di alta qualità e a lunga duration rispetto ad altre attività finanziarie.

Di conseguenza, già da diversi mesi abbiamo iniziato a rafforzare in misura significativa le aree dei Treasury USA AAA, delle emissioni di agenzie e dei mortgage-backed security nei portafogli multisettoriali orientati al reddito che gestisco. A titolo di paragone, la ponderazione attiva dei titoli con rating AAA è la più elevata mai registrata da quando gestisco la strategia.

Al contempo, poiché i rendimenti nominali sono aumentati e gli spread sono quasi raddoppiati rispetto ai minimi di un anno fa, abbiamo chiuso il sottopeso sul credito investment grade statunitense. Benché gli spread potrebbero ampliarsi a fronte dell’aumento dei rischi di recessione, a mio avviso queste obbligazioni offrono un valore strategico o di lungo periodo, visto il loro basso rischio di default. Rispetto ad altri asset rischiosi, il rendimento potenziale per unità di rischio del credito statunitense è diventato nettamente più interessante in quanto le gamme dei risultati si sono ridotte. La posizione attiva presenta un leggero sovrappeso e valuterò la possibilità di rafforzarla ulteriormente via via che i nostri investitori obbligazionari individuano opportunità.

Spread nella media ma rischi maggiori

La sottoponderazione dell’high yield statunitense nella strategia non ha subito variazioni. Benché gli spread creditizi siano più ampi rispetto ad un anno fa e prossimi alla media storica, riteniamo di trovarci in un periodo tutt’altro che medio. Una percentuale considerevole delle società incluse nell’universo high yield quotato in borsa presenta un indice di copertura degli oneri finanziari inferiore a 1 volta. Pertanto quasi un emittente high yield su sei necessita dell’intero flusso di ricavi per onorare il proprio debito obbligazionario, il che non lascia spazio a minori ricavi o a costi più elevati.

Negli ultimi dodici anni, la facilità di accesso al capitale ha ridotto notevolmente il numero di insolvenze e fallimenti nell’economia in generale, in particolare nell’universo dell’high yield, l’asset class più indebitata. Con il rallentamento della crescita economica e i ricavi societari destinati a subire la stessa sorte, senza contare l’aumento del costo del lavoro e del rifinanziamento del debito, chi investe in questo universo non è adeguatamente remunerato. A mio avviso, considerando i possibili rischi, il rendimento atteso non è sufficiente. La gamma di possibili risultati è ancora troppo ampia ed è per questo che ho mantenuto l’asset sottopesato. Allo stesso tempo, tale sottopeso risulta modesto alla luce dell’orientamento prudente e finalizzato a evitare le perdite in conto capitale dei nostri investitori high yield.

Vi sono anche altre asset class che potrei analizzare, ma dal momento che un’azione vale più di mille parole, lascio che i portafogli parlino da soli.