Valorizzare il contributo della componente previdenziale integrativa

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In Italia, il welfare è la principale voce di spesa pubblica con 615,8 miliardi di Euro (il 65,2% della spesa pubblica) includendo i 3 pilastri “tradizionali” (Sanità, Politiche Sociali, Previdenza) e l’Istruzione, con un aumento di oltre 3,4 punti percentuali rispetto al 2009. Al 2020 la componente previdenziale assorbe circa la metà delle risorse: il 48,1% della spesa sociale totale. Segue la spesa sanitaria (21,1%), quella in politiche sociali (19,3%) e la spesa in istruzione (11,5%). Rispetto al 2019, il peso relativo della previdenza ha subito la variazione peggiore (-2,6 punti percentuali), seguita dall’istruzione (-0,8 punti percentuali) e dalla sanità (-0,4 punti percentuali). Al tempo stesso, le politiche sociali sono cresciute di 3,8 punti percentuali.

Il confronto europeo conferma lo sbilanciamento della spesa dell’Italia sulla componente previdenziale: l’Italia è infatti il primo Paese tra i Big-4 europei per incidenza della spesa in previdenza rispetto al PIL (17,9%, rispetto ad una media del 13,4% dell’Eurozona). Al contrario, l’Italia si trova ultima sia con riferimento al valore dell’istruzione (che incide solo per il 4,3% del PIL italiano, rispetto ad una media dell’Eurozona pari a 4,9%) che a quello delle politiche sociali (7,1% del PIL italiano, contro una media dell’Eurozona pari a 8,9%)

Lo sottolinea il Rapporto  2002 del Think Thank Welfare Italia promosso dal Gruppo Unipol che individua 6 possibili priorità di azione:

  1. integrare il tema della natalità all’interno della tassonomia sociale europea
  2. promuovere misure finalizzate a sostenere la genitorialità e l’occupazione femminile
  3. mitigare i flussi migratori in uscita e rendere più efficiente il mercato del lavoro anche per i cittadini stranieri
  4. valorizzare il contributo della componente previdenziale integrativa
  5. promuovere un approccio integrato che valorizzi il ruolo del privato nell’offerta di servizi si welfare
  6. ridefinire il reddito di cittadinanza come strumento di inclusione sociale e potenziare i meccanismi di attivazione e inserimento lavorativo

In particolare si suggerisce di favorire un ruolo più attivo del privato nel complementare l’offerta dei servizi di welfare nel Paese. Infatti, ad oggi, il ruolo del settore privato risulta piuttosto limitato per quanto riguarda l’offerta di prestazioni e servizi di welfare, con particolare riferimento a tre ambiti-chiave: previdenza integrativa, welfare contrattuale e aziendale e Long-Term Care.

Relativamente al primo ambito, il tasso di partecipazione alla previdenza complementare è pari a 34,7% (rispetto al 55% in Germania e all’88% nei Paesi Bassi), con la percentuale di individui che effettivamente versa contributi che si attesta al 25,4%. Inoltre, da un confronto tra l’Italia e i Paesi OECD, emerge il limitato peso delle attività dei fondi pensione italiani sul PIL, pari a 9,7% nel 2021, 7 volte più piccolo della media OECD (66,9%) e pressoché costante rispetto al 2020 (quando era pari a 9,8%).

Si propone allora una maggiore valorizzazione del contributo che la previdenza complementare integrativa può fornire al Paese nella gestione più sostenibile dell’evoluzione demografica (che potrebbe portare – al 2035 – il rapporto tra occupati e pensionati ad essere inferiore a 1 e la spesa in previdenza a raggiungere il 17,9% del PIL). Nel dettaglio, si propone di:

  1. introdurre una posizione previdenziale per tutti i nuovi nati;
  2. prevedere strumenti per una maggiore flessibilità della previdenza complementare;
  3. lanciare campagne di sensibilizzazione e informazione sui vantaggi derivanti dalle forme integrative di previdenza

Con riferimento al welfare contrattuale, quest’ultimo rappresenta il mezzo tramite cui le imprese possono contribuire attivamente all’offerta di nuove opportunità e servizi alla persona, soprattutto in un contesto caratterizzato da inflazione, rincaro energetico e nuovi «bisogni» di welfare dei lavoratori (come, ad esempio, quelli derivanti dallo smart working, dai flexible benefit, e da coperture di sanità e previdenza integrativa): una finestra di opportunità in tal senso è rappresentata dal 62,7% dei Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro che sono scaduti a dicembre 2021 e che devono ancora essere rinnovati.  Per quanto riguarda invece il welfare aziendale, esso risulta ancora poco sfruttato in alcuni ambiti chiave, ad oggi solo il 20,1% dei servizi di welfare aziendale è infatti dedicato alla sanità e previdenza integrativa, con i servizi alle persone che appaiono altamente frammentati e senza una chiara politica nazionale di indirizzo.

Infine, alla luce degli attuali trend demografici e del conseguente aumento del bisogno di assistenza e cura della popolazione anziana, è sempre più centrale anche la Long-Term Care, in cui rientra ogni forma di cura fornita lungo un periodo di tempo esteso, senza data di termine predefinita. Al 2020, l’Italia riporta una spesa in LTC sul PIL pari all’1%, classificandosi 13° tra i Paesi dell’UE-27 con un valore inferiore a tutti i principali Paesi europei ad eccezione della Spagna.

Si auspica poi con riferimento al sistema di welfare italiano dei prossimi anni, emerge la necessità di fare maggiormente leva sulla componente integrativa nell’offerta dei servizi di welfare. In primo luogo, si rende necessaria una netta accelerazione nel rinnovo dei CCNL (oltre 600 CCNL erano scaduti a dicembre 2021, di cui circa 200 da più di 5 anni) e una crescente valorizzazione del welfare aziendale con un rafforzamento delle componenti previdenziali e sanitarie. Con specifico riferimento a tali componenti, integrando quanto già suggerito in ambito di previdenza integrativa, si auspica un intervento normativo che possa garantire uno sviluppo sempre più armonico del sistema della sanità integrativa, tramite  la definizione delle prestazioni integrative in ottica di superamento delle attuali incertezze legate alla perimetrazione delle prestazioni LEA ed extra-LEA, anche in riferimento alle prestazioni previste nel Decreto Sacconi,  il superamento della ripartizione dei fondi aperta anche ai lavoratori aventi rapporti di lavoro diversi da quelli di tipo dipendente, l’incremento (quantomeno in presenza di familiari a carico) del limite di deducibilità di 3.615 Euro, introdotto a partire dal 1998 e mai più adeguato. Allo stesso tempo, si evidenzia la necessità di garantire un adeguato sistema informativo, che sia in grado di raccogliere i dati relativi alle prestazioni erogate e ai soggetti aderenti, promuovendo nel complesso una maggiore consapevolezza e valorizzazione del loro ruolo all’interno del sistema sanitario.

Sul fronte della Long-Term Care si suggerisce  un intervento normativo che, traendo ispirazione dai modelli di Germania e Paesi Bassi, dia seguito ad un ripensamento del sistema di integrazione pubblico-privato.