Le banche centrali si preoccupano dell’inflazione, i mercati delle banche centrali

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Anticipare gli andamenti dei mercati finanziari quest’anno non era certamente facile; ma a posteriori possiamo dire che le principali banche centrali hanno considerato l’inflazione come transitoria troppo a lungo, perdendo la possibilità di giocare d’anticipo e trovandosi a doverla rincorrere con rapidi aumenti dei tassi che hanno creato forte pressione su tutte le asset class.

Da qualche mese molti indicatori economici suggeriscono che i prezzi al consumo stanno continuando a salire, ma a un ritmo più lento: negli Stati Uniti forse abbiamo già visto il picco e in Europa potremmo essere vicini. Il mercato ha quindi cominciato a scontare un’inflazione in decelerazione e a preoccuparsi invece dell’andamento economico e di una possibile recessione causata proprio dall’impatto dei tassi d’interesse più elevati sui settori ad alta intensità di capitale, come l’immobiliare.

La scorsa settimana si sono espresse alcune tra le principali banche centrali mondiali: la Federal Reserve, la Banca centrale europea (BCE), la Bank of England e la Banca nazionale svizzera. Come da attese, tutte hanno alzato i tassi di mezzo punto percentuale (ritocchi più contenuti dei precedenti interventi da 75 punti base), ma hanno sorpreso il mercato promettendo ulteriori rialzi per un periodo indefinito e, di conseguenza, alimentando le preoccupazioni degli investitori per l’andamento economico.

Le borse hanno quindi reagito negativamente mettendo fine a un recupero durato quasi un mese e mezzo, che aveva portato l’indice statunitense S&P 500 a un rimbalzo del 14%.

Per quanto riguarda la Federal Reserve, il Presidente Jerome Powell ha confermato i primi segnali di rallentamento dell’inflazione, ma ha preferito mantenere alta la guardia in considerazione di un mercato del lavoro surriscaldato che continua a generare posti di lavoro e aumenti salariali, elementi che potrebbero creare ulteriore inflazione.

L’inflazione americana è infatti creata dalla domanda interna, particolarmente forte anche per via degli stimoli fiscali varati a partire dall’inizio della pandemia. La situazione europea è diversa perché una parte consistente dell’inflazione è generata dalle importazioni, ovvero dai costi di energia e materie prime, mentre la domanda interna non registra eccessi paragonabili a quelli americani.

Tuttavia, lo scorso giovedì la Presidente della BCE Christine Lagarde ha inviato un messaggio molto netto, che ha spostato più in alto il possibile picco dei tassi d’interesse l’anno prossimo a ben oltre il 3%. Questa prospettiva ha portato a una correzione dell’azionario e dell’obbligazionario e ha spinto al rialzo l’euro e lo spread dei titoli di Stato del Sud Europa, a partire dai BTP.

Il forte aumento dei costi di finanziamento potrebbe portare a un rallentamento dell’attività immobiliare e, in alcuni Paesi dove si registra un indebitamento elevato, a una correzione dei prezzi. Nel Nord Europa il valore dei mutui rispetto al PIL è molto elevato, per esempio superiore all’80% nei Paesi Bassi, mentre è solo del 31% in Italia.

Inoltre, Christine Lagarde ha annunciato a sorpresa che a partire da marzo verrà drenata liquidità riducendo i titoli di Stato detenuti dalla BCE a un ritmo di 15 miliardi di euro al mese e ha lasciato aperta la porta a riduzioni ancora più consistenti. Si tratta di una tempistica che ha colto impreparati gli investitori perché nella prima parte dell’anno numerosi governi dovranno procedere a molte emissioni di debito, che a questo punto sarà più oneroso.

A ben vedere, l’atteggiamento della BCE è motivato dalle nuove stime economiche prodotte dall’istituto, che sono molto superiori a quelle di consenso (media degli economisti) per quanto riguarda sia la crescita (addirittura doppia nelle stime della BCE rispetto al consenso nel periodo 2023-25) che l’inflazione.

Un atteggiamento così restrittivo in presenza di un andamento positivo dell’economia si può giustificare, ma il mercato si interroga sul rischio di un errore nelle politiche monetarie. Se il PIL dell’eurozona dovesse avere un andamento meno positivo, la BCE avrà la rapidità e la flessibilità per cambiare traiettoria in corsa?

Soprattutto nel contesto di un’inflazione guidata dalle importazioni di materie prime e energia, rialzi eccessivi possono infatti avere un effetto sproporzionato su crescita e spread dei titoli di Stato di alcuni Paesi.

Nel complesso, non sembrano esserci ancora le condizioni per un rally duraturo dei mercati azionari. D’altra parte, sono possibili recuperi periodici e per questo non ci sembra opportuno assumere posizioni nette per quanto riguarda l’azionario, mentre vediamo più favorevolmente una selezione qualitativa per mitigare la volatilità.

Sul mercato azionario rimaniamo neutrali favorendo i titoli value, che presentano valutazioni contenute, e quelli che distribuiscono buoni dividendi. Privilegiamo i settori più difensivi, come farmaceutica e beni di prima necessità.

I rendimenti obbligazionari sono tornati a essere interessanti e probabilmente vicini al picco per questo ciclo economico. Nel reddito fisso preferiamo i titoli di alta qualità con scadenze medio-lunghe e il corporate investment grade con scadenze brevi.