J. Safra Sarasin: le piccole banche USA sono dei colossi negli immobili commerciali, ma i rischi sistemici sono bassi

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I fallimenti di SVB e Signature Bank hanno alimentato le preoccupazioni per le banche più piccole e per la stabilità finanziaria in generale. In particolare, l’esposizione delle banche regionali al settore immobiliare commerciale ha riportato alla memoria la crisi finanziaria del 2008. Tuttavia, questi timori sembrano esagerati. Anche se l’immobiliare commerciale come asset class continua a presentare rischi di ribasso, a nostro avviso, non è potenzialmente in grado di far deragliare la stabilità del sistema finanziario.

Le piccole banche statunitensi sono importanti soggetti nel settore immobiliare commerciale degli Stati Uniti. Sebbene rappresentino solo un terzo del totale delle attività bancarie statunitensi e del totale dei prestiti immobiliari residenziali degli Stati Uniti, sono piuttosto rilevanti quando si tratta di immobili commerciali. Oggi detengono nei loro bilanci la quota record del 70% dei prestiti per immobili commerciali erogati da banche statunitensi, dopo una significativa e costante espansione dell’attività di prestito negli ultimi anni. L’importo totale dei prestiti per immobili commerciali nei bilanci delle piccole banche è più che raddoppiato nell’ultimo decennio, raggiungendo oggi i 2.000 miliardi di dollari, lasciando alle piccole banche circa il 45% dell’intero mercato dei mutui per immobili commerciali (prestiti bancari + prestiti non bancari), del calibro di 4.500 miliardi di dollari.

Con i prestiti per immobili commerciali che ora rappresentano il 28% degli asset totali delle piccole banche e un considerevole 280% del loro patrimonio netto, sono aumentati i timori per le ricadute sistemiche di un calo dei prezzi degli immobili commerciali. Tuttavia, anche se i singoli istituti potrebbero dover sopportare delle perdite, riteniamo che ci siano diverse ragioni per cui la situazione attuale non è assolutamente paragonabile alla crisi finanziaria globale del 2007/2008:

Innanzitutto, le dimensioni. All’apice della crisi finanziaria globale, le dimensioni del mercato dei mutui erano cresciute fino a circa 11.000 miliardi di dollari, pari a un impressionante 75% del PIL del 2007. Oggi, le dimensioni del mercato dei mutui per immobili commerciali sono inferiori al 18% del PIL.

In secondo luogo, l’esposizione. Come già accennato, l’entità dei prestiti per immobili commerciali nei bilanci delle banche regionali è pari a circa 2,8 volte il loro patrimonio netto. Sebbene si tratti di una cifra elevata, è un’inezia rispetto alle dimensioni dei prestiti immobiliari nel 2007. Le grandi banche, che all’epoca erano la parte più esposta del sistema finanziario, avevano in bilancio prestiti immobiliari residenziali pari a oltre 4 volte il loro patrimonio netto.

Terzo, non tutti i segmenti dell’immobiliare commerciale sono uguali. Il settore degli uffici è di gran lunga il più vulnerabile del mercato degli immobili commerciali e l’unico in sofferenza. Negli Stati Uniti non è solo esposto alle forze cicliche e all’aumento dei tassi, ma si trova anche nel bel mezzo di un cambiamento strutturale post-COVID, che ha spinto i tassi di sfitto a livelli record. Altri segmenti del mercato degli immobili commerciali sembrano molto meno vulnerabili al raffreddamento dell’economia e all’aumento dei tassi. Poiché gli immobili ad uso ufficio rappresentano solo il 18% del totale dei prestiti per immobili commerciali negli Stati Uniti, il problema diventa molto più circoscritto e più piccolo di quanto non sembri a prima vista.

Quarto, la gestione del rischio è stata molto più prudente nei prestiti per immobili commerciali di quanto non lo fosse nel settore immobiliare residenziale prima della crisi finanziaria globale. Se i mutui al 100% del rapporto prestito/valore non erano rari prima della crisi finanziaria globale, oggi il rapporto prestito/valore massimo offerto dagli istituti di credito per immobili commerciali è del 75%, con rapporti prestito/valore medi più vicini al 50%. Di conseguenza, i prezzi dovrebbero scendere molto di più rispetto al 2007/08 prima che le perdite si concretizzino.

Pertanto, anche in uno scenario di forte stress, i rischi dovrebbero essere gestibili. Per fare un esempio, circa il 20% dei 2.000 miliardi di dollari di prestiti per immobili commerciali presenti nei bilanci delle piccole banche è costituito da prestiti per uffici, di cui circa il 25% è in scadenza nei prossimi 12 mesi, ossia 100 miliardi di dollari. Ipotizzando un rapporto prestito/valore del 75% su questi mutui e un calo del 50% dei prezzi degli uffici, con i mutuatari inadempienti sull’80% di questi prestiti, il danno potenziale per le piccole banche ammonterebbe a circa 20 miliardi di dollari, ovvero il 3% del loro patrimonio netto totale. Anche se l’80% di tutti i mutui per uffici presenti nei bilanci delle piccole banche venisse colpito dallo scenario sopradescritto, la perdita salirebbe solo al 12% del patrimonio netto, il che sembra ancora gestibile.

Dunque, sebbene alcuni istituti possano essere colpiti più gravemente di altri e le condizioni di prestito siano destinate a inasprirsi ulteriormente, una crisi sistemica è improbabile. Riteniamo addirittura che sia un vantaggio per le autorità di regolamentazione che i rischi siano concentrati nelle piccole banche piuttosto che negli istituti più grandi. In questo modo dovrebbe essere più facile per loro agire con rapidità e forza nel circoscrivere e risolvere la situazione degli istituti di credito in sofferenza, come hanno dimostrato con SVB e Signature Bank.