Prospettive sfavorevoli per le azioni statunitensi nonostante l’accordo sul tetto del debito

Mark Haefele Chief Investment Officer, UBS Global Wealth Management -

La scorsa settimana l’S&P 500 ha guadagnato l’1,8%, dopo che il Congresso degli Stati Uniti ha approvato l’accordo per la sospensione del tetto al debito fino a gennaio 2025. Lo stallo politico sul limite all’indebitamento del governo americano ha contribuito all’incertezza dei mercati delle ultime settimane, fomentando il timore di un default senza alcun precedente. Il rally innescato dalla notizia dell’accordo ha portato a circa il 12% il rialzo dell’S&P 500 da inizio anno.

I mercati hanno beneficiato anche degli ultimi commenti dei massimi esponenti della Federal Reserve (Fed), che indicano una possibile pausa nei rialzi dei tassi d’interesse alla riunione in programma per metà mese. Il Presidente della Fed di Filadelfia, Patrick Harker, ha affermato che l’istituto dovrebbe «quanto meno saltare la prossima riunione (di giugno) in termini di rialzo dei tassi» e che «è vicino il momento in cui i tassi potranno rimanere stabili». Infine, il calo maggiore del previsto dell’inflazione dell’eurozona a maggio sembra aver rincuorato gli investitori globali.

Ma crediamo ancora che il rapporto rischio/rendimento rimanga sfavorevole alle azioni, soprattutto negli Stati Uniti. La forza del mercato del lavoro americano, unitamente all’inflazione ostinatamente elevata, non giustifica ancora la conclusione definitiva del ciclo restrittivo della Fed. Gli ultimi dati economici hanno confermato che il mercato del lavoro statunitense è ancora troppo surriscaldato per abbassare la guardia della politica monetaria. Le offerte di lavoro sono salite di nuovo ad aprile, dopo tre mesi consecutivi in calo. Invece, i dati sull’occupazione di maggio pubblicati venerdì sono apparsi contrastanti.

Da un lato, la crescita degli impieghi di 339 mila unità su base mensile è stata nettamente superiore alla stima di consenso di +190 mila. Inoltre, i dati dei due mesi precedenti sono stati rivisti al rialzo per un totale di +93 mila posti di lavoro. Questo andamento vigoroso è stato diluito solo in parte dall’aumento della disoccupazione dal 3,4%, il livello più basso degli ultimi 53 anni, al 3,7%. La crescita delle retribuzioni medie orarie è rallentata allo 0,3%, dallo 0,4% il mese precedente. Nel complesso questi dati non dovrebbero modificare la convinzione della Fed secondo cui il mercato del lavoro resta troppo robusto.

Gli interrogativi della settimana

La Cina annuncerà nuove misure di stimolo? La recente debolezza dei dati cinesi ha alimentato l’aspettativa di nuove iniziative del governo mirate a stimolare la ripresa dell’economia nazionale dopo la pandemia. Il rialzo dei mercati azionari proseguirà? In una settimana in cui non sono previsti dati importanti negli Stati Uniti e la Fed osserva il periodo di black out in vista della riunione di politica monetaria della prossima settimana, non si individuano catalizzatori evidenti per i mercati.

Ma gli investitori attendono di sapere se l’S&P 500 continuerà a salire e se il rally, finora trainato da poche società tecnologiche, si allargherà ad altre aziende. I prezzi del greggio continueranno a salire? Le quotazioni del Brent sono aumentate a seguito dell’annuncio della riduzione della produzione saudita e dell’accordo dell’OPEC+ per la proroga dei tagli all’offerta. Ma alla luce dei dati economici contrastanti pubblicati in Cina, il primo Paese importatore di petrolio del mondo, gli investitori aspettano di sapere se i prezzi del greggio continueranno a salire.

Le dichiarazioni dei funzionari della banca centrale continuano ad alimentare l’incertezza dei mercati. In base ai futures sui Fed fund la probabilità che i tassi d’interesse vengano alzati alla riunione del 14 giugno è ormai scesa attorno al 30%, dal 70% circa di fine maggio, ma i mercati continuano ad aspettarsi un’ulteriore stretta nei prossimi mesi. Alcuni esponenti della Fed continuano a segnalare la necessità di inasprire ulteriormente la politica monetaria. La scorsa settimana il Presidente della Fed di St. Louis, James Bullard, ha pubblicato una nuova analisi in cui afferma che i tassi di riferimento si trovano «sui valori più bassi di una fascia che si può
descrivere come sufficientemente restrittiva».

Quindi, anche se alla riunione di giugno il Federal Open Market Committee (FOMC) mantenesse invariati i tassi, i funzionari della banca centrale potrebbero ancora segnalare che sono probabili ulteriori incrementi tramite il dot plot, che raffigura le loro proiezioni dei tassi d’interesse.

Il rally del mercato azionario americano appare a rischio, dato che poggia su basi ristrette e che le valutazioni sono elevate. I rialzi azionari continuano a essere trainati da un gruppo esiguo di titoli tecnologici. L’indice FANG+, che replica l’andamento delle 10 società high-tech più scambiate negli Stati Uniti, è salito del 66% da inizio anno. Per contro, nello stesso periodo la versione equiponderata dell’S&P 500, che diluisce l’impatto delle mega cap tecnologiche, è salita del 2,5% e quella tradizionale ha guadagnato il 12%. Storicamente i rialzi guidati da così poche azioni sono poco sostenibili.

Inoltre, l’S&P 500 generale tratta a 18,5x gli utili a 12 mesi, con un premio di circa il 15% rispetto alla media a 15 anni. Le valutazioni del settore high-tech ci sembrano particolarmente elevate e l’MSCI All Country World Tech Index scambia con un premio del 25% rispetto alla media decennale. A nostro avviso, le prospettive del mercato azionario americano restano sfavorevoli. Nella nostra strategia globale continuiamo a preferire le obbligazioni alle azioni e privilegiamo i segmenti difensivi e di maggiore qualità del reddito fisso, che offrono buoni rendimenti in termini assoluti e rappresentano una copertura contro i rischi per la crescita e la stabilità
finanziaria.

Prospettive azionarie deboli malgrado l’accordo sul tetto del debito statunitense

Il Congresso degli Stati Uniti ha approvato un accordo volto a sospendere il limite all’indebitamento del governo federale fino a gennaio 2025, eliminando il rischio di default che ha penalizzato i mercati a maggio. A seguito della notizia l’S&P 500 ha guadagnato l’1% giovedì e l’1,5% venerdì. Le dichiarazioni dei massimi esponenti della Fed hanno a loro volta alimentato la fiducia degli investitori: Philip Jefferson e Patrick Harker si sono espressi a favore di una pausa nei rialzi dei tassi alla riunione di giugno. I mercati hanno anche interpretato i dati sull’occupazione pubblicati venerdì come un segnale di raffreddamento del mercato del lavoro. Nonostante siano stati creati più impieghi del previsto, il tasso di disoccupazione è aumentato e la crescita dei
salari è rallentata.

Ma crediamo ancora che il rapporto rischio/rendimento rimanga sfavorevole alle azioni americane nel loro complesso. A nostro avviso gli ultimi dati sull’inflazione e sulla disoccupazione non giustificano ancora la conclusione definitiva del ciclo restrittivo della Fed ed è tuttora possibile che i tassi vengano alzati a giugno o a luglio. I segnali di rallentamento del mercato del lavoro restano timidi. Le offerte di impiego sono salite di nuovo ad aprile, dopo tre mesi consecutivi in calo. Anche l’inflazione «core» ha registrato un’accelerazione ad aprile in base alle spese per consumi personali, l’indicatore degli aumenti dei prezzi preferito della Fed.

Inoltre, le valutazioni azionarie restano elevate: l’S&P 500 tratta a 18,5x gli utili a 12 mesi, con un premio di circa il 15% rispetto alla media a 15 anni.

Conclusione: nella nostra strategia globale continuiamo a preferire le obbligazioni alle azioni e privilegiamo i segmenti difensivi e di maggiore qualità del reddito fisso, che offrono buoni rendimenti in termini assoluti
e rappresentano una copertura contro i rischi per la crescita e la stabilità finanziaria.

Gli investitori sottovalutano il potenziale di rialzo delle materie prime Maggio è stato un mese impegnativo per gli indici generali delle commodity e l’UBS CMCI Total Return Index ha perso il 5,8%, scendendo al livello più
basso da settembre 2022. Tutti i settori delle materie prime hanno registrato una performance negativa su base mensile: i metalli preziosi hanno ceduto poco più del 2%, a causa dei timori di ulteriori rialzi dei tassi, mentre i metalli industriali e l’energia sono calati di oltre il 7% per via dei timori sulla crescita cinese. Il clima di generale incertezza sulle prospettive economiche potrebbe continuare a ostacolare le commodity, a eccezione dell’oro. Un elemento importante sono le indagini presso i responsabili degli acquisti del settore manifatturiero, che mostrano segnali di debolezza in tutto il mondo.

Tuttavia, crediamo che i fattori bottom-up continueranno a favorire un aumento dei prezzi nella seconda metà dell’anno. La domanda di greggio dovrebbe superare l’offerta. Questa previsione sembra ancora più corretta ora che l’Arabia Saudita ha annunciato a sorpresa l’intenzione di tagliare la produzione di petrolio di 1 milione di barili al giorno (mbg) a luglio, la riduzione una tantum più consistente da molti anni. La notizia di questo taglio volontario è giunta di pari passo con l’accordo dell’OPEC+ per prorogare le riduzioni collettive dell’offerta di un altro anno fino a fine 2024, poiché i produttori stanno cercando di arginare i ribassi del greggio.

Al di fuori dell’energia, i metalli industriali ci sembrano destinati a beneficiare del miglioramento dei dati cinesi, che darà impulso alla domanda. Anche i prodotti agricoli dovrebbero andare incontro a un rafforzamento, poiché il mercato non sconta appieno i rischi di potenziali problemi ai raccolti a causa delle conseguenze meteorologiche del fenomeno El Niño. Infine, l’oro dovrebbe essere sostenuto dalla prospettiva di un allentamento monetario negli Stati Uniti e dai continui acquisti da parte delle banche centrali.

Conclusione: nel complesso ci aspettiamo ancora un rendimento totale del 20% per le materie prime entro giugno 2024 a fronte di una volatilità attesa del 15-20%. Manteniamo un giudizio di preferito sul petrolio e sull’oro. L’apprezzamento del dollaro appare insostenibile Il dollaro statunitense si mantiene forte e l’indice DXY ha guadagnato circa il 2% a maggio. Di recente il biglietto verde ha toccato il massimo da sei mesi contro lo yen giapponese, superando temporaneamente la soglia psicologica di 140. L’USD è sostenuto dall’aumento dei rendimenti dei Treasury, a fronte del potenziale di ulteriori rialzi dei tassi americani, e dalla minore aspettativa
di un allentamento monetario entro l’anno.

Tuttavia, a nostro avviso il dollaro rimane a rischio, come dimostra il calo della scorsa settimana sulla scia dei commenti di tono accomodante di alcuni esponenti della Fed. A nostro avviso, il biglietto verde resta decisamente sopravvalutato su base fondamentale in un momento in cui il periodo prolungato di sovraperformance dell’economia statunitense in termini di crescita volge al termine.

Anche se gli ultimi dati hanno fatto salire le probabilità di ulteriori interventi restrittivi, crediamo che la Fed sia più vicina di altre banche centrali a concludere l’inasprimento monetario. La stretta monetaria, le tensioni del sistema bancario e l’onere fiscale causeranno un rallentamento più persistente negli Stati Uniti che nell’eurozona, che sospingerà l’euro. Inoltre, il saldo commerciale della zona euro è migliorato grazie alla flessione dei prezzi dell’energia, considerato che la regione è altamente dipendente dalle importazioni di gas e petrolio.

Per quanto riguarda lo yen, la forza degli ultimi dati economici dovrebbe permettere alla Bank of Japan di modificare il sistema di controllo della curva dei rendimenti tra luglio e ottobre. Ci aspettiamo che la banca centrale alzi il target per i rendimenti dei titoli di Stato (JGB) a 10 anni dall’attuale 0,5% ad almeno lo 0,75%. Infine, il dollaro australiano si è indebolito di recente (in linea con la sua elevata dipendenza dalla debole economia cinese) ma dovrebbe recuperare terreno nel secondo semestre del 2023.

Conclusione: manteniamo il giudizio di meno preferito sul dollaro statunitense. Privilegiamo lo yen giapponese e il dollaro australiano e consigliamo di prendere in considerazione l’oro come copertura contro la debolezza del dollaro e i rischi di recessione negli Stati Uniti.