Schroders Outlook 2023 – Azionario globale: nonostante la volatilità, per gli investitori c’è luce in fondo al tunnel
Iniziato con una guerra in Europa, il 2022 è stato un anno che la maggior parte degli investitori preferirebbe dimenticare. L’invasione dell’Ucraina da parte di Putin ha portato a un’impennata dei costi energetici e alimentari in un momento in cui le strozzature delle catene di approvvigionamento post-pandemia stavano già esercitando una pressione sostanziale sui prezzi globali.
I banchieri centrali si sono trovati di fronte alla prospettiva molto concreta di una dilagante spirale costi-prezzi. Insolitamente, si sono trovati anche di fronte al poco invidiabile compito di cercare di contenere le aspettative di crescita dei salari in un momento in cui la disoccupazione nella maggior parte delle principali economie era a livelli estremamente bassi. Il margine di errore era, ed è tuttora, grande.
Nonostante i timori del mercato, non stiamo tornando agli anni ‘70
Al momento in cui scriviamo, i tassi di inflazione complessiva in molti Paesi sono ancora elevati o in aumento. È legittimo il timore che le azioni delle banche centrali non siano sufficienti a contrastare l’aumento delle richieste salariali e si parla di un ritorno alla stagflazione degli anni Settanta.
Tuttavia, sebbene lo shock dei prezzi del 2022 sia in qualche modo paragonabile a quell’epoca, è degno di nota il fatto che l’inflazione sottostante sembra già essere in fase di moderazione. Questo trend continuerà probabilmente nei prossimi mesi, quando l’allentamento delle catene di approvvigionamento, l’aumento dei costi di finanziamento, la compressione dei redditi dei consumatori e il calo dei prezzi delle case contribuiranno a raffreddare l’economia globale e a frenare la domanda.
Inoltre, mentre sembra improbabile un ritorno alla disoccupazione di massa, è del tutto possibile che un aumento dei posti vacanti, unito a un modesto incremento del numero di partecipanti, faccia diminuire i costi salariali in futuro.
I timori di una recessione profonda potrebbero rivelarsi infondati
Un rallentamento dell’economia sembra inevitabile, ma i timori di una recessione profonda potrebbero rivelarsi infondati, almeno in alcuni Paesi. Con un tasso di disoccupazione così basso, i consumatori sono in grado di sopportare meglio l’aumento dei costi. L’azione dei governi per sostenere le bollette energetiche attutisce anche questo impatto. È da notare che i bilanci delle famiglie, che hanno beneficiato di un notevole accumulo di risparmi durante la pandemia di Covid-19, forniscono un cuscinetto per molti consumatori (anche se chiaramente non in misura sufficiente per le fasce di reddito più povere). Il quadro è simile nel settore delle imprese, dove la leva finanziaria è relativamente bassa e di durata superiore alla media.
Nel complesso, ciò suggerisce che, sebbene restino sfide economiche sostanziali, l’inflazione potrebbe essere meno radicata e la recessione economica meno grave di quanto previsto da molti. Ciò è potenzialmente più probabile negli Stati Uniti, che sono effettivamente autosufficienti dal punto di vista energetico, beneficiano del fatto che quasi tutte le principali materie prime sono prezzate in dollari e hanno un’immigrazione positiva. In Europa, compreso il Regno Unito, il quadro è purtroppo molto più complesso.
Una recessione degli utili
Recessione o no, le stime degli utili dovranno scendere. Una delle caratteristiche interessanti dell’attuale ciclo di mercato è che, mentre i prezzi delle azioni sono crollati, gli utili sono stati finora per lo più notevolmente robusti. Il motivo è il pricing.
Su entrambe le sponde dell’Atlantico, le aziende hanno impunemente aumentato i prezzi: la Pepsi, ad esempio, ha registrato un +17% di pricing positivo nel terzo trimestre mentre, in Europa, Louis Vuitton e Nestle hanno entrambi registrato aumenti di prezzo a due cifre con un impatto immediato minimo sui volumi. In questi casi specifici i ricavi potrebbero reggere, poiché i consumatori sembrano disposti a pagare di più per i prodotti premium. Tuttavia, per molte aziende è solo questione di tempo prima che l’elasticità negativa entri in gioco e la domanda inizi a calare. Le prime indicazioni fornite da aziende come Amazon e Target negli Stati Uniti o M&S, H&M e Primark in Europa suggeriscono che i consumatori stanno già tagliando le spese.
I ricavi e i margini (escluse le società energetiche) sembrano destinati a calare nel 2023, creando un vero e proprio ciclo di declassamento degli utili che non si è ancora manifestato del tutto. Trovare il punto di minimo può sembrare controintuitivo, ma a nostro avviso l’attuale mercato ribassista ha quasi fatto il suo corso, anche se è probabile che la volatilità rimanga elevata ancora per qualche tempo.
Il consenso sugli utili per azione dell’S&P 500, pari a 225 e 235 dollari, appare ancora piuttosto elevato e ci aspettiamo che nei prossimi mesi venga rivisto costantemente al ribasso, toccando il punto minimo nel terzo trimestre del 2023.
Ma i mercati azionari guardano sempre in avanti e di solito scontano un calo degli utili con sei-nove mesi di anticipo rispetto al calo effettivo. Ciò suggerisce che il recente rimbalzo dei mercati azionari globali (a ottobre l’indice Dow ha registrato il miglior mese dal 1976) non era privo di logica, anche se riteniamo che il recente rally sia una sorta di falsa alba. Nel brevissimo termine, potrebbero verificarsi ulteriori delusioni, via via che le pressioni sulla redditività diventano più evidenti.
Cosa possiamo aspettarci: garantire la sicurezza delle forniture
Assistiamo a un’ondata di spese indirizzate da governi e aziende verso il raggiungimento di una maggiore sicurezza degli approvvigionamenti attraverso investimenti nelle energie rinnovabili, il re-shoring o la rilocalizzazione di impianti produttivi, il sostegno a nuovi metodi di produzione alimentare, la protezione di industrie di natura strategica come i semiconduttori, il software o le biotecnologie. In questi settori sembra inevitabile una sorta di polarizzazione tra Occidente e Oriente.
Ci concentriamo sulle aziende che possono prosperare in un contesto difficile e con un livello di rischio ragionevole. Molte di queste aziende si trovano nei settori sopra descritti, dove i tassi di crescita strutturale sono chiaramente più elevati rispetto al passato. Allo stesso modo, però, con la maturazione del mercato ribassista, la nostra ricerca ci sta portando in diverse aree che da tempo non sono più apprezzate, come ad esempio il Giappone.