Pensioni: cala il numero dei trattamenti ma la spesa cresce

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Quarta edizione del Rapporto annuale di Itinerari Previdenziali. Per la prima volta analizzata la situazione a livello regionale


È stata presentata oggi alla Camera la quarta edizione del rapporto “Il bilancio del sistema previdenziale italiano”, realizzato dal Centro Studi e Ricerche di Itinerari Previdenziali, che ha analizzato i bilanci degli enti previdenziali dal 1989 al 2015.

“A differenza di quanto spesso si afferma – cioè che in Italia si spende molto meno per il welfare rispetto agli altri Paesi europei – la spesa per prestazioni sociali nel 2015 ammonta a 447,396 miliardi di euro e incide per il 54,13% sull’intera spesa statale, comprensiva degli interessi sul debito pubblico, e del 27,34% rispetto al Pil, cioè uno dei livelli più elevati in Europa”, ha commentato Alberto Brambilla, Presidente del Centro Studi di Itinerari Previdenziali.

Scende il numero dei pensionati
Il numero di pensionati è sceso a 16.259.491 unità, in calo di 80.114 rispetto al 2014. Anche il numero delle prestazioni è diminuito a 23.095.567, la stessa cifra del 2004.

Ogni pensionato riceve in media 1,427 prestazioni, il che porta la pensione media da 12.136 euro annui a 17.323 euro, ben al di sopra dei mille euro al mese.

La spesa per prestazioni e quella assistenziale è aumentata e ciò si riflette nell’incremento della pensione media (+4,12%).

Il rapporto tra occupati e pensionati che nel 2015 è risultato pari a 1,388 attivi per pensionato.

Spesa e contributi in aumento
Nel 2015 la spesa pensionistica relativa a tutte le gestioni è stata pari a 217.895 milioni di euro, con un aumento rispetto al 2014 dello 0,82% imputabile sia alla rivalutazione delle rendite all’inflazione, sia al cosiddetto “effetto rinnovo” che consiste nella sostituzione delle pensioni cessate con quelle di nuova liquidazione che hanno importi mediamente più elevati.

A questi due fattori si è aggiunto nel 2015 il cosiddetto “effetto Fornero” che ha determinato un boom delle pensioni anticipate. Ne sono state liquidate 148.540 con un aumento del 74% sul 2014 poiché gli assicurati impossibilitati ad andare in pensione dal 2012 a causa dei requisiti più rigorosi introdotti dalla legge Fornero hanno maturato soltanto nel 2015 l’anzianità richiesta.

Nel 2015 le entrate contributive sono risultate pari a 191.330 milioni di euro, lo 0,91% in più rispetto al 2014.

Il saldo tra contributi e prestazioni risulta negativo per 26.565 milioni: un dato, secondo l’analisi si Itinerari Previdenziali, fisiologico, e che “consente di dare un giudizio positivo sull’andamento complessivo delle gestioni pensionistiche nel 2015”. “Diverso il giudizio se si inquadra il disavanzo del 2015 in un arco temporale più ampio che mostra il preoccupante trend storico dei disavanzi degli ultimi anni”, aggiunge il report.

La “vera” spesa per le pensioni
Sottraendo alle entrate contributive totali la quota Gias (gestione interventi assistenziali) e Gpt (gestione prestazioni temporanee) a carico dello Stato, sottolinea l’analisi, il totale delle entrate da contribuzione effettiva di lavoratori e datori di lavoro si attesta sui 172.214 milioni. Inoltre, se alla spesa pensionistica totale si sottraggono le imposte che lo Stato incassa direttamente (e che quindi sono semplicemente una “partita contabile di giro” e una “non spesa”) il totale si riduce a 168.501 milioni che, al netto delle integrazioni al minimo, porta la spesa pensionistica previdenziale a 159.164 milioni.

Il saldo tra entrate e uscite rivela quindi un bilancio previdenziale in attivo per 3,713 miliardi, “a dimostrazione del fatto che il nostro sistema, grazie alle numerose riforme che si sono susseguite nel corso degli ultimi anni, è stato stabilizzato. Ciò dovrebbe indurre a maggiore prudenza nel proporre tagli alle pensioni, deindicizzazioni varie e contributi di solidarietà”, affermano gli autori dello studio.

Nel 2015 il costo totale dei trattamenti assistenziali è stato di 103 miliardi, completamente a carico della fiscalità generale.

La spesa assistenziale
Nel 2015 l’insieme degli interventi assistenziali ha riguardato 4.040.626 soggetti per le prestazioni assistenziali pure e 4.265.233 soggetti beneficiari di integrazioni al minimo e maggiorazioni sociali, per un totale di 8.305.859 beneficiari (in riduzione nei cinque anni), cioè ben il 51,34% dei pensionati. Il numero delle pensioni assistite rispetto al totale è molto alto e non riflette la situazione economica generale del paese. Il costo totale dei trattamenti assistenziali per il 2015 ammonta a 103 miliardi, completamente a carico della fiscalità generale.

Negli ultimi cinque anni hanno continuato a crescere le pensioni di invalidità civile e le indennità di accompagnamento che per il 2015 sono rispettivamente 934.995 e 2.045.804 prestazioni. In crescita anche le pensioni e gli assegni sociali giunti a 857.003 mentre le pensioni di guerra, in calo fisiologico, si attestano a 74.649 dirette e 128.175 indirette. A queste vanno aggiunte le altre prestazioni di natura assistenziale, tutte in calo rispetto agli anni precedenti: a) l’importo aggiuntivo delle pensioni a favore di 517.717 titolari di pensioni al di sotto del trattamento minimo (quasi il 70% donne), per un costo di 78,7 milioni di euro; b) le pensioni con maggiorazioni sociali per livelli reddituali bassi pari a 947.212 di cui il 70% circa erogate a donne con importi medi annui di circa 1.480 euro e un costo totale di 1,4 miliardi; c) l’importo aggiuntivo, la cosiddetta quattordicesima, per i titolari di pensione con 64 anni e più il cui reddito complessivo non supera 1,5 volte la pensione minima, per un totale di 2.199.756 prestazioni, in calo rispetto agli anni precedenti ma destinata ad aumentare dal 2017 a seguito della legge di bilancio per il 2017, con importo medio di 396 euro, con beneficiari per il 77% donne e un costo totale di 815,8 milioni di euro. In totale queste prestazioni costano 23.532 milioni. Poi ci sono le integrazioni al minimo i cui beneficiari sono 3.318.021 per un costo totale di 9,345 miliardi (in calo negli ultimi cinque anni).

Come è finanziato il welfare?
Per finanziare la spesa complessiva per welfare relativa all’anno 2014 (ultimo anno di cui si dispone del valore delle entrate tributarie), che è stata pari a 444,507 miliardi, occorrono, oltre a tutti i contributi sociali per pensioni e prestazioni temporanee, quelli versati all’Inail, tutta l’Irpef, l’Ires, l’Irap e il 36% dell’Isos. In pratica tutte le imposte dirette, per cui il resto della spesa pubblica è finanziato dalle sole imposte indirette.

La gran parte dei 37 milioni di italiani con redditi da zero a 20 mila euro annui lordi, rivela lo studio, sono a quasi totale carico di quell’11,28% dei contribuenti (lavoratori dipendenti, autonomi e pensionati) che dichiarano oltre il 52% di tutta l’Irpef.

I redditi dichiarati ai fini Irpef tramite i modelli 770, Unico e 730 ammontano a un totale di 817,264 miliardi di euro, per un Irpef totale dichiarata pari a 167,052 miliardi. Considerando il rapporto tra il numero dei cittadini italiani sul totale dei contribuenti (40.716 milioni), ne risulta che ogni contribuente ha in carico 1,49 cittadini. Solo 30,7 milioni di cittadini su 60,8 milioni presentano una dichiarazione dei redditi positiva, pertanto quasi la metà degli italiani non ha reddito ed è quindi a carico di qualcuno.

Se si tiene conto del bonus da 80 euro di cui hanno usufruito 11.291.064 di contribuenti con redditi fino a 29 mila euro, il totale Irpef versato è appena di 160,976 miliardi euro e l’imposta media pagata per queste fasce di reddito si riduce da 54 euro a 40 euro per redditi fino a 7.500 euro, da 601 euro a 451 euro per quelli da 7.500 a 15 mila euro e da 1.665 a 1.469 euro per redditi da 15 mila a 20 mila euro.

Il problema è dunque come coprire i 45,3 i miliardi di euro di costi del servizio sanitario e i 98 miliardi circa della spesa per assistenza, osservano gli autori del report. E come pagare le pensioni agli oltre 10 milioni di soggetti che, non dichiarando nulla ai fini Irpef, sono anche privi di contribuzione.

La situazione regione per regione
Tra le novità della quinta edizione del rapporto c’è l’analisi del sistema pensionistico a livello territoriale: buona parte degli squilibri pensionistici deriva dai disavanzi regionali tra contributi e prestazioni e tra pensioni contributive e quelle assistenziali.

Le regioni con la percentuale più elevata di pensioni di anzianità sono quelle del Nord Italia (Lombardia, Piemonte, Emilia Romagna e Veneto), mentre gli ultimi posti sono occupati dalle regioni del Centro Sud e quelle a statuto speciale, ad eccezione della Sicilia che si trova a metà classifica.
Le regioni del Centro-Nord (Lombardia, Emilia Romagna, Lazio, Piemonte, Veneto e Toscana) erogano il maggior numero di pensioni di vecchiaia rispetto al totale mentre le regioni del Sud (Campania, Lazio, Sicilia Puglia) occupano i primi posti della classifica per numero di pensioni di invalidità.
Quanto alle pensioni ai superstiti, i rapporti più elevati si distribuiscono tra Nord e Centro Italia (Lombardia e Lazio in testa).

Sono stati analizzati inoltre i tassi di copertura cioè quanta spesa previdenziale è finanziata dai contributi per ogni singola regione. L’unica regione con un valore positivo è il Trentino con 106,61, seguono la Lombardia con un tasso di copertura pari al 97,11% e il Veneto con 95,33%; Lazio ed Emilia Romagna si attestano attorno all’87% mentre tutte le altre regioni registrano un livello inferiore al 75%. Per macro aree troviamo il Nord con una copertura media dell’86,68%; il Centro con una media del 77,25% mentre il Sud si attesta sul 51,33.