Mercato azionario, 99 mesi di rally e ancora vento in poppa

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Il 2017 smentisce il vecchio adagio “sell in may and go away”. Nonostante le performance eccezionali fatte dai minimi di marzo 2009, non c’è inversione di tendenza. Ecco i motivi

“C’è un vecchio adagio di trader americani, mutuato dalle abitudini vacanziere della nobiltà inglese, che recita: Sell in may and go away. Il 2017, però, è stato l’ennesimo anno nel quale questo adagio è stato smentito”. A parlare è Donatella Principe, head of fund selection and institutional sales di Fidelity International, che spiega come nonostante 99 mesi di rally dei mercati e un 2017 caratterizzato da performance estremamente interessanti, soprattutto sulla parte azionaria, il sentiment sui mercati resta positivo e favorevole alle azioni.

Il motto, tradotto in italiano ”vendi a maggio e allontanati dai mercati”, che suggerisce agli investitori di cedere il portafoglio in azioni a maggio per poi tornare a fare acquisti nel periodo autunnale, non si adatta all’attuale contesto.

“Non si può ignorare che, dopo 99 mesi di rally da quel mitico 9 marzo del 2009 quando le Borse toccarono i minimi, sono state fatte delle performance eccezionali sui mercati”, ammette Principe, ricordando che l’indice globale da allora ha registrato un rialzo di circa il 175%. Ma nonostante questo trend e questi risultati, non è il momento di alleggerire le posizioni in vista dell’estate. Piuttosto è il caso di “fare un bel tagliando al mercato azionario”, per prendere coscienza che il sentiment di fondo che vige tra gli operatori resta positivo.

“Affinché ci sia una inversione di tendenza sui mercati azionari si devono verificare, infatti, tre fattori: una recessione, una stretta monetaria e una situazione di panico”, spiega Principe. E questo non è il nostro caso.

Analizzando il primo punto, nonostante siamo in un contesto di crescita macroeconomica più debole rispetto al passato, è ormai dal 2009 che ci siamo lasciati la recessione alle spalle; inoltre, ci sono segnali rassicuranti anche da parte di alcune economie che si sono mosse un po’ più in ritardo negli ultimi anni, come quella europea.

Quanto al verificarsi di una stretta monetaria, siamo tutti d’accordo che la Federal Reserve ha iniziato a rialzare il costo del denaro (e l’utimo l’intervento di metà giugno, in cui ha alzato i tassi di un quarto di punto, portandoli nella fascia tra l’1 e l’1,25%, va nella direzione di una normalizzazione della politica monetaria). Ma non si può parlare propriamente di stretta monetaria: la stessa Fed ha, infatti, ribadito che il rialzo dei tassi sarà lento e graduale. Detto questo, vale poi la pena ricordare un altro aspetto.“Mai come nell’ultimo anno le banche centrali a livello mondiale hanno acquistato titoli di stato; il che significa che in generale le condizioni monetarie restano ancora di natura espansiva”, prosegue l’esperta di Fidelity.

Infine, in merito al terzo elemento, ossia alla situazione di panico che deve verificarsi sul mercato per parlare di inversione di tendenza, Principe va ad analizzare il più potente indicatore di fiducia del mercato: l’indice di panico/euforia. E conclude dicendo: “Ebbene, analizzando questo indicatore risulta che non siamo ancora in un’area di euforia, ma siamo sicuramente in territorio molto positivo, segno che non ci sono perplessità da parte degli operatori”.