Venture Capital: un mondo di fortuna e metodologia

Vittorio Mauri -

Settimana scorsa mi hanno raccontato un aneddoto in merito ad un investitore che è riuscito ad ottenere un ritorno del 100x su un investimento in meno di tre anni.

È un Business Angel non particolarmente attivo, quindi il suo ticket non gli ha garantito una rendita vitalizia ma comunque un paio di case e una macchina sportiva piuttosto bella. Si può dire che non era un “investitore seriale” ma più che altro quello che si chiama FAF (Friends and Fools), qualcuno che finanzia un business più per amicizia che nell’ottica di un investimento. La persona che mi ha raccontato questa storia stava rimpiangendo l’occasione persa e, ovviamente, mi è sembrato ovvio lo facesse.

Comunque, credo anche che avere una fortuna simile non sia diverso rispetto al vincere alla lotteria e le lotterie non sono mai positive in termini di affari. Anzi, a pensarci un attimo, si realizza quanto questo genere di storie sia pericoloso per gli affari, in quanto contribuisce a creare aspettative eccesive su quegli investitori che non appartengono davvero al mondo degli investimenti.

In ogni caso, si sentono tante storie come questa e sono molte le persone che ne rimangono impressionate, chi per invidia, chi per paura. Con quale approccio dovremmo quindi affrontare elementi come la fortuna e la sfortuna nel mondo del VC? Beh, io credo che la fortuna non sia una variabile imprevedibile, ma piuttosto la conseguenza di una strategia precisa. Dopo tutto, i nostri antenati erano soliti ripetere “Fortuna audaces iuvat”.

Prima di tutto, senza rischi non ci sono ritorni. Questo concetto è ciò che rende il VC una asset class imprescindibile per qualunque portafoglio.

Alcune asset class sono orientate ad offrire un basso rischio in cambio di ritorni altrettanto bassi nell’ottica di una sostanziale conservazione del capitale. Altre sono pensate per essere più imprevedibili e capaci di volatilizzarsi del tutto o duplicare il valore dell’investimento in pochi anni. Per tutti coloro che vogliono aumentare il proprio capitale, non esiste una terza strada. Se vuoi guadagnare tanto, devi anche rischiare tanto.

E qui si arriva al secondo punto del mio ragionamento. Anche se ottenere dei ritorni per i propri investimenti implica assumersi dei rischi, la razionalità dovrebbe comunque essere l’unico e solo fattore chiave alla base della propria strategia di investimento. Ci sono diversi modi per applicare questa regola e, a seconda della metodologia scelta, ci sono diverse tipologie di investitori.

Alcuni di loro sono data driven: analizzano, studiano e poi decidono. La loro decisione viene presa in base al mercato, alle performance della società e alle metriche finanziarie, tra le altre cose. Questa tipologia di investitori si prende il suo tempo per decidere, fa una diligence approfondita e applica i propri modelli solo a società che è in grado di capire completamente. Questo approccio è molto comune in Europa, dove i manager dei fondi spesso provengono dal mondo del Private Equity e se ne portano dietro la mentalità.

Un’altra categoria di investitori, più comune negli Stati Uniti, è definibile come vision driven. Per investire non hanno bisogno di capire propriamente il business, sono più che altro in cerca di deal in grado di scuotere il mercato e sanno aspettare il giusto tempo per una exit, anche se questo implica attendere qualche anno in più. Vogliono investire in business che siano davvero in grado di rivoluzionare non solo il mondo ma anche il modo in cui le persone pensano, si spostano, mangiano, vivono, investono. È il tipico approccio alla Elon Musks, Mark Zuckerberg o Founders Funds.

Queste due tipologie di investitori possono sembrare molto diverse tra loro, ma in realtà credo siano entrambe guidate dallo stesso approccio coscienzioso e meticoloso che limita in maniera significativa la loro esposizione al rischio e aumenta, invece, le loro possibilità di ottenere ritorni positivi. Entrambe le categorie applicano le stesse regole alle loro (differenti) metodologie di investimento: lavorano con i migliori, investono nei migliori e sono fautori di un sistema che li faciliti nel raggiungere i propri obiettivi. Tutti questi elementi rendono gli investitori coraggiosi, oltre che fortunati. Non serve altro.

Quindi, anche se spesso le persone confondono la competenza con la fortuna (tra l’altro, è proprio questo genere di equivoco che rende gli investitori “fortunati”), a pensarci, la fortuna e la sfortuna non sono mai parte dell’equazione. Ciò che compone veramente l’equazione è il coraggio di scommettere tanto sulle società emergenti quanto sulle competenze necessarie per costruire un ambiente solido attorno alla propria strategia di investimento. Dopo tutto, segnare in rovesciata una volta potrebbe renderti l’MVP della partita, ma ci vuole una stagione intera per diventare un campione.


Vittorio Mauri – partner – U-Start