Rialzo dei tassi, finalmente?

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Potrebbe essere la sintesi della scorsa settimana. Chiudendo venerdì vicino a 2,66%, il decennale americano supera il massimo storico raggiunto a marzo 2017 e si attesta su livelli inediti dall’estate del 2014.

Il movimento al rialzo è percettibile su tutta la curva, anche se questa continua ad appiattirsi: il tasso a 2 anni raggiunge un nuovo massimo da fine 2008 mentre quello a 30 anni si mantiene sotto i livelli di inizio 2017.

Oltre all’atteso progressivo incremento dei tassi di riferimento della Fed, sono molti i fattori che alimentano questo rialzo: le sorprese positive legate all’inflazione sottostante, la solidità dei dati economici, la riaffermata volontà da parte di Donald Trump di lanciare un programma di investimenti infrastrutturali pari a 1.000 miliardi USD, o ancora un mercato del lavoro che tira e aumenti dei salari minimi che genereranno un incremento del costo del lavoro.

Da questa constatazione sorgono tre domande: questo movimento al rialzo è destinato a durare? Desta preoccupazioni? Quale impatto avrà l’aumento dei tassi americani su quelli europei?

La risposta alla prima domanda è affermativa. Molti dati depongono a favore di un rialzo dei tassi e sono chiaramente plausibili pressioni inflazionistiche superiori alle attese.
Dobbiamo preoccuparci? Tutto dipende dalla rapidità del movimento al rialzo e dalle sue cause. Riguardo a questi aspetti, i dubbi possono essere facilmente dissipati: il rialzo è alimentato da un contesto economico favorevole e non, come si è talvolta temuto, dall’esaurimento dei flussi in acquisto sui titoli americani. È la velocità del movimento a suscitare il numero maggiore di interrogativi. Se le aziende americane possono assorbire un aumento il cui ritmo è costante, un’accelerazione repentina genererebbe conseguenze negative visto il livello di indebitamento di alcune imprese. Saranno importanti al riguardo la strategia e la comunicazione della Fed.

Infine, in merito al possibile effetto contagio per i tassi europei, un buon indicatore da osservare è lo spread tra il tasso tedesco a 2 anni e quello americano a 10 anni. Attestandosi al 3,2% ritorna ai livelli raggiunti a febbraio/marzo 2017, che non erano stati toccati dal 1996/1997. Questo corrisponde, storicamente, a un massimo che porta poi a un’inversione di tendenza. Ora, l’aumento dei tassi americani dovrebbe proseguire. È possibile quindi prevedere una risalita dei tassi nell’Eurozona, almeno sulla parte a breve della curva, e probabilmente – in modo analogo a quanto osservato negli Stati Uniti – un suo appiattimento.


Olivier De Berranger – Chief Investment Officer – La Financière de l’Echiquier