Dalla Relazione annuale della Covip emerge un gap di genere e generazionale nella previdenza complementare

Roberto Carli -

Il quadro che emerge dalla Relazione annuale della Covip è quello di un sistema in crescita ma in cui occorre incrementare il livello di inclusione per “proteggere” quelle categorie (giovani e donne in particolare) che più necessiterebbero di sostegno integrativo.

Qual è il quadro aggiornato della previdenza complementare nel nostro Paese ? Alla fine del 2018, i fondi pensione in Italia sono 398: 33 fondi negoziali, 43 fondi aperti, 70 piani individuali pensionistici (PIP), 251 fondi preesistenti e Fondinps. Il numero delle forme pensionistiche operanti nel sistema è in costante riduzione. Rispetto al 2000, quando operavano 719 forme, tale numero si è sostanzialmente dimezzato. Il totale degli iscritti è pari a circa 7,9 milioni, in crescita del 4,9% rispetto all’anno precedente, per un tasso di copertura del 30,2% sul totale delle forze di lavoro.

Le posizioni in essere sono di 8,7 milioni (inclusive di posizioni doppie o multiple, che fanno capo allo stesso iscritto). Di questi, gli iscritti ai PIP “nuovi” si attestano a 3,1 milioni (+5,4% rispetto al 2017), 3 milioni quelli ai fondi negoziali (+6,8%, con una crescita determinata principalmente dalle nuove adesioni contrattuali), oltre 1,4 milioni quelli ai fondi aperti (+6,4%) e poco più di 600.000 quelli ai fondi preesistenti. Gli uomini sono il 61,9% degli iscritti alla previdenza complementare (il 73,1% nei fondi negoziali), nel solco di quel gender gap che si è già manifestato negli anni scorsi. Si conferma anche un gap generazionale: la distribuzione per età vede la prevalenza delle classi intermedie e più prossime all’età di pensionamento: il 54,7% degli iscritti ha età compresa tra 35 e 54 anni, il 27,6% ha almeno 55 anni.

Quanto all’area geografica, la maggior parte degli iscritti risiede nelle regioni del Nord (56,8 per cento). IN termini patrimoniali le risorse accumulate dalle forme pensionistiche complementari si attestano a 167 miliardi di euro, in aumento del 3% rispetto all’anno precedente: un ammontare pari al 9,5% del PIL e al 4% delle attività finanziarie delle famiglie italiane.

I contributi incassati nell’anno sono pari a 16,3 miliardi di euro, tra questi 5,1 miliardi ai fondi negoziali (+5,7%), 2 miliardi ai fondi aperti (+6,9%), 4,3 miliardi ai Pip nuovi (+5,1) e 4,6 miliardi ai fondi preesistenti. I contributi per singolo iscritto ammontano mediamente a 2.630 euro nell’arco dell’anno. Il 25% del totale degli iscritti alla previdenza complementare (circa 2 milioni) non ha effettuato contribuzioni nel 2018. Circa il 60% di essi (1,2 milioni di iscritti) non versa contributi da almeno tre anni. Come investono poi i fondi pensione ? Si registra la prevalenza della quota in titoli di Stato che nel 2018 è stata pari al 41,7% (era il 41,5% nel 2017) dei quali il 21,4% sono titoli di debito pubblico italiano (contro il 22,7% nel 2017). In calo al 16,4% i titoli di capitale, (contro il 17,7% del 2017) e anche le quote di OICVM, in discesa dal 12,6 all’11,9%. I depositi si attestano al 7,5%.

Gli investimenti immobiliari, in forma diretta e indiretta, presenti quasi esclusivamente nei fondi preesistenti, rappresentano il 2,7% del patrimonio, in diminuzione di 0,3 punti percentuali rispetto al 2017. Nell’insieme, il valore degli investimenti dei fondi pensione nell’economia italiana è di 36,7 miliardi di euro, il 27,7% del patrimonio. I titoli di Stato ne rappresentano la quota maggiore, 28,3 miliardi. Gli impieghi in titoli di imprese domestiche rimangono marginali. Il totale di 3,7 miliardi è meno del 3 per cento del patrimonio; in obbligazioni sono investiti 2,5 miliardi, in azioni 1,2 miliardi; gli investimenti domestici detenuti attraverso quote di OICVM si attestano a 1 miliardo.

La componente immobiliare è pressoché tutta concentrata in Italia per complessivi 3,4 miliardi di euro. Andando ai rendimenti la Covip ricorda come inquadramento di scenario come il 2018 è stato un anno negativo per i mercati finanziari ed in particolar modo per quelli azionari. Ne hanno risentito anche i rendimenti dei fondi pensione, dopo un decennio in cui sono stati in media più che positivi.

I fondi pensione negoziali e i fondi aperti hanno perso in media, rispettivamente, il 2,5 e il 4,5%; per i PIP “nuovi” di ramo III, la flessione è stata del 6,5%. Per le gestioni separate di ramo I, che contabilizzano le attività a costo storico e non a valori di mercato e i cui rendimenti dipendono in larga parte dal flusso cedolare incassato sui titoli detenuti, il risultato è stato positivo, pari all’1,7%. Nello stesso periodo il TFR si è rivalutato, al netto delle tasse, dell’1,9%.

Su un periodo di osservazione decennale (2009-2018), , più adatto a misurare gli effetti sul risparmio previdenziale il rendimento netto medio annuo composto è stato del 3,7% per i fondi negoziali e del 4,1% per i fondi aperti; nei PIP si è attestato al 4% per le gestioni di ramo III e al 2,7% per quelle di ramo I. Su analogo orizzonte temporale la rivalutazione del TFR è stata del 2%.

A livello di costi, i PIP restano i prodotti più onerosi: su un orizzonte temporale di dieci anni, l’Indicatore sintetico dei costi (ISC) è in media del 2,21% (1,88% per le gestioni separate di ramo I e 2,29% per le gestioni di ramo III), mentre si conferma la minore onerosità dei fondi pensione negoziali (0,39%) e fondi pensione aperti (1,37%).