Brexit, deal o no deal? Gli scenari possibili (e impossibili)
L’incertezza sulla Brexit continua a persistere nel Regno Unito. L’uscita al 31 ottobre senza un accordo è una reale possibilità, e quello di elezioni generali anticipate sembra uno scenario ancora più realistico, da aggiungere all’eventualità di un referendum nel 2020.
Tali eventi peseranno sulla sterlina e sull’azionario britannico, a eccezione dei titoli di Stato britannici che sono sostenuti da fattori di portata globale e dall’aspettativa di un possibile taglio dei tassi di interesse da parte della Bank of England.
L’accordo di recesso si articola in tre parti: i pagamenti finanziari che il Regno Unito dovrà corrispondere all’UE (stimati a 39 miliardi di sterline), i diritti dei cittadini e il backstop.
Quest’ultimo rappresenta il punto più controverso. È stato concepito per evitare un confine rigido tra il nord e il sud dell’Irlanda, mantenendo il Regno Unito nell’Unione doganale europea e l’Irlanda del Nord in un “allineamento normativo” fino al raggiungimento di adeguate soluzioni alternative, ma i critici temono che la Gran Bretagna possa rimanere per sempre bloccata nell’Unione doganale – e dunque non nella posizione per stringere patti commerciali propri.
Nel caso di un accordo, Londra avrebbe a disposizione un periodo di transizione fino alla fine del 2020 per definire le relazioni con l’UE in svariati ambiti (commercio, sicurezza, trasporto aereo, ecc.). Con un “no deal”, le disposizioni vigenti sarebbero bruscamente soppresse.
A nostro avviso, le probabilità di un “no deal” entro il 31 ottobre sono del 45%, per quanto riguarda un ritorno alle urne sono comprese tra 50-55%, mentre stimiamo l’uscita con un accordo appena allo 0-5%.
Scaduta il termine, l’orizzonte si fa ancora più fumoso.
Se combiniamo le proiezioni pre e post 31 ottobre, le prospettive di un “no deal” sono ben al di sopra del 50%. Il “Remain” resta una possibilità e il divorzio con un accordo sembra avere chance minime di concretizzarsi.
La sterlina ha già prezzato un possibile “no deal”, ma ci sarebbe comunque spazio per un ulteriore ribasso valutario del 10-15%. L’uscita con un accordo, anche se improbabile, sarebbe lo scenario più rialzista per la sterlina.
Per quanto riguarda il mercato azionario locale, dal momento che gran parte degli utili provengono dall’estero una sterlina debole andrebbe a sostegno del prezzo per la maggior parte delle società nel FTSE 100. Sarebbero le imprese orientate al mercato interno a risentirne.
Sul fronte obbligazionario, la BoE andrebbe ad allentare la politica monetaria in caso di “no deal”, il che porterebbe a un rally delle obbligazioni denominate in valuta britannica. Il rating del credito sovrano potrebbe essere tagliato da AA a AA- ma le conseguenti implicazioni di mercato sarebbero probabilmente modeste.
In un contesto più ampio, un “no deal” sarebbe un evento “risk-off” – ribassista per l’UE, colpendo l’euro e l’azionario europeo – e gli effetti sarebbero probabilmente modesti, certamente molto più limitati di quelli sul Regno Unito.
Non dimentichiamo che l’UE è il principale partner commerciale del Regno Unito: tale rapporto commerciale ha una storia di 40 anni e il Regno Unito è stato il principale beneficiario degli investimenti diretti verso l’interno, in parte grazie all’adesione all’UE. Un “no deal” interromperebbe tali accordi. In molti casi, verrebbero introdotte misure temporanee ovvero dei palliativi, ma l’UE a 27 si focalizzerebbe sulla limitazione dei danni e su come aumentare il proprio vantaggio competitivo.
Tuttavia, qualunque l’esito, gli scambi continuerebbero a fluire e il Regno Unito resta un Paese con una forza lavoro flessibile e ben istruita, solide infrastrutture e una moneta altamente competitiva. L’incertezza dunque è destinata a rimanere, qualunque cosa accada nei prossimi mesi, ma in larga misura è stata già prezzata dai mercati.
Steven Bell – Chief Economist – BMO Global Asset Management