Turchia, è l’inizio della fine o solo un altro capitolo?

Emre Akcakmak -

Anche se non sono previste elezioni prima del 2023, Erdogan si trova sotto pressione a causa del rallentamento economico, delle recenti vittorie dell’opposizione in alcune delle principali città e di possibili fratture nell’alleanza con i nazionalisti dell’MHP, o addirittura all’interno dello stesso partito AK.

Considerato il nuovo sistema presidenziale turco, dove anche solo pochi punti percentuali tra i votanti possono cambiare le alleanze di governo, Edogan ha uno spazio di manovra molto ridotto.

Sicuramente è ancora presto per dare per sconfitto il leader turco, visto il gran numero di vittorie collezionate in diverse elezioni e il successo registrato dall’Alleanza del Popolo a livello municipale, dove ha raccolto oltre il 50% dei voti a prescindere dalla la difficile congiuntura economica. Nonostante ciò, iniziano a farsi strada le prospettive di un futuro senza Erdogan. La questione principale, quindi, è il livello di sostegno per l’ex ministro dell’economia Ali Babacan e per il suo nuovo movimento. Diversi osservatori e alcuni recenti sondaggi suggeriscono un livello che si aggira intorno al 10-15%, ma è troppo presto per arrivare a una conclusione definitiva. Considerata la grande stima di cui gode presso gli investitori, la popolarità di Babacan, le potenziali alleanze elettorali e il suo ruolo all’interno di un’eventuale alleanza sono già temi chiave del dibattito politico ad Ankara. Ekrem Imamoglu, neoeletto sindaco di Istanbul e astro nascente del principale partito di opposizione, CHP, è un’altra pedina importante, mentre il nuovo sistema elettorale, unitamente agli ultimi risultati, hanno rafforzato la posizione del leader dello stesso partito, Kemal Kilicdaroglu, data la sua abilità di formare alleanze con una grande varietà di posizioni politiche.

Lo scenario che la Turchia si trova ad affrontare è estremamente complicato. Dal crollo della Lira dell’anno scorso la crescita si è bloccata mentre inflazione, disavanzo pubblico e disoccupazione sono aumentati sensibilmente. Anche se il disavanzo delle partite correnti del Paese, pari a 55 miliardi di dollari, è tornato in territorio positivo su un periodo di dodici mesi, questo ribilanciamento è dovuto principalmente a un crollo della domanda domestica più che a un miglioramento strutturale dell’economia. È ormai passato un anno e il team di economisti di Erdogan, guidato dal suo genero e ministro delle finanze Berat Albayrak, fatica a guadagnarsi la fiducia degli investitori, al punto che alcuni mettono addirittura in dubbio l’affidabilità dei dati statistici. Il gran numero di sorprese, come la rimozione improvvisa da parte di Erdogan del capo della banca centrale, rendono il tutto ulteriormente complicato. I piani di riforma strutturale di lungo periodo, come quello presentato da Naci Agbal, ex ministro delle finanze e capo del Dipartimento di strategia e politica di bilancio, sono credibili ma resta da capire come verranno implementati, dato che per superare gli attuali squilibri economici andranno affrontati molti ostacoli, non ultimo la volontà della politica di agire in questo senso.

Il nostro scenario di base vede l’economia “andare a tentoni” e ci aspettiamo che si continui a seguire il corso attuale, ossia che – in assenza di cambiamenti importanti sul fronte delle manovre di politica – la crescita economica rimanga in territorio negativo nel 2019 e si attesti su livelli relativamente deboli per il 2020, tra il 2 e il 2,5%. Non ci aspettiamo una ripresa più marcata – in linea con i precedenti casi di rallentamento – perché crediamo che il modello adottato nell’ultimo decennio dalla Turchia, che garantiva una rapida crescita economica tramite il credito e i finanziamenti esterni, non sarà più ripetibile andando avanti. Allo stesso modo, ci aspettiamo solo un modesto miglioramento sul fronte della disoccupazione, attualmente al 14%, che si tradurrebbe in una graduale diminuzione dell’inflazione che dovrebbe raggiungere circa il 10% entro la fine del 2020. Siamo particolarmente preoccupati dal deficit di bilancio, che crediamo avrebbe potuto essere ben al di sopra del 4% del PIL se non fosse stato per i trasferimenti record della Banca Centrale. Nonostante l’eccezionale opportunità offerta dalla Fed e dal ciclo di allentamento globale, la Lira rimarrà vulnerabile, soprattutto se il neoeletto governatore della Banca Centrale dovesse tagliare i tassi per rilanciare la crescita economica basata sul credito.

In uno scenario negativo, dove gli attori politici adottano un approccio meno prudente e le politiche monetaria e fiscale vengono ulteriormente allentate, la Lira diventerebbe vulnerabile e potrebbe essere attaccata a tal punto che le riserve di valuta estera della banca centrale verrebbero messe in crisi dagli speculatori più aggressivi. Una Lira debole potrebbe quindi far crescere ulteriormente l’inflazione e appesantire il settore privato del Paese, già fortemente indebitato, andando a colpire duramente lo sviluppo economico.

In uno scenario positivo, dove avviene un cambio o nelle posizioni del leader o del leader stesso, gli attori politici agiscono in maniera rapida e determinata concentrandosi prima di tutto sul sistema bancario, in forte difficoltà, e sul rilancio degli investimenti diretti esteri (IDE).

Prima di tutto, il sistema bancario dovrebbe essere sottoposto a uno stress test per individuare eventuali mancanze sul fronte dei capitali considerato l’aumento dei prestiti ristrutturati e rifinanziati. Nonostante il settore abbia un tasso di NPL davvero minimo (4,8%), crediamo che le banche siano esposte a un rischio diverso dato che perderebbero in media quasi il 30% del proprio capitale – circa 22 miliardi di dollari – se gli NPL dovessero crescere del 5-10%. Un programma di ricapitalizzazione, aiutato dai recenti tagli dei tassi potrebbe rilanciare l’economia invece che trasformare delle istituzioni bancarie relativamente solide in “banche zombie” in un prolungato periodo di incertezza.

Successivamente, gli investimenti diretti esteri dovrebbero essere incentivati, ad esempio attraverso incentivi fiscali come esenzioni fiscali e un trattamento preferenziale per le plusvalenze sul lungo periodo. Attrarre capitali esteri in una fase in cui la Lira rimane debole non solo ridurrebbe le criticità legate ai finanziamenti esterni di breve termine e alla disoccupazione, ma aiuterebbe anche a mantenere lineare il percorso di crescita economica futura della Turchia quando la bilancia delle partite correnti tornerà intorno a un deficit del 2-3%.

Manteniamo un posizionamento cauto sui mercati, dato che il nostro scenario di base suggerisce che l’azionario turco non si muoverà eccessivamente né verso l’alto né verso il basso rispetto alla situazione attuale. Per questo continuiamo a concentrarci principalmente sul management e sulla qualità del bilancio, piuttosto che su società caratterizzate da un elevato livello di indebitamento e episodi di risanamento. Anche ipotizzando un costo dell’azionario relativamente ottimista, crediamo che ci sia un margine piuttosto ridotto per un re-rating della maggior parte delle banche, visti i RoE depressi e un potenziale incremento degli NPL. Restiamo altrimenti investiti principalmente in un mix che esclude i bancari con ricavi in valuta estera e una domanda anelastica.

In conclusione, non ci aspettiamo miracoli, ma siamo preparati ad analizzare i diversi scenari economici che dipendono in larga parte dalla leadership politica, dato che quest’ultima dipende dall’andamento dell’economia stessa. Anche se non crediamo che le attuali difficoltà economiche siano tanto gravi da portare a un cambiamento repentino nella leadership del Paese, crediamo che un possibile cambiamento sul fronte politico sia più probabile che mai. Di conseguenza, ci concentriamo su quegli eventi che potrebbero portare a un recupero della fiducia degli investitori, che potrebbe avere un effetto positivo per tutta l’economia.


Emre Akcakmak – Portfolio Advisor – East Capital