Febbre sui mercati, in attesa delle Banche Centrali

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“Piccolo ma tosto” era uno slogan pubblicitario molto in voga in Francia negli anni ’80 che si addice oggi al coronavirus, il nemico invisibile dalle conseguenze evidenti che sta piegando i mercati.

Da lunedì scorso ormai, il giorno più nero per il mercato americano dal febbraio 2018 in cui l’S&P 500 perse il 3,4%, i mercati sono in preda a una febbre da vendita. I ribassi si sono ripetuti allo stesso ritmo anche nei giorni successivi: l’S&P 500 ha chiuso a – 3% martedì e a – 5% giovedì. Mai nella storia i mercati avevano perso il 10% così velocemente. Tutti i settori sono impattati, il turismo in primo luogo, le banche e le materie prime, mentre le infrastrutture se la cavano leggermente meglio.

Il mercato è in attesa di un intervento da parte delle Banche centrali: si prevedono, entro l’anno, più di tre tagli dei tassi da parte della Fed. In Cina, la banca centrale ha iniziato a iniettare liquidità attraverso ulteriori tagli dei tassi e il governo ha adottato misure fiscali a sostegno delle imprese. Ma si attendono ancora segnali concreti dai governi e dalle banche centrali occidentali. Christine Lagarde ha dichiarato che la diffusione del virus è “attentamente monitorata” anche se non si osservano per ora misure di alcun tipo in Europa e negli Stati Uniti.

A dire il vero, l’impatto di un taglio dei tassi da parte delle Banche centrali non sarebbe certamente privo di effetti per le imprese in difficoltà poiché ne allevierebbe le condizioni finanziarie senza migliorare però direttamente la situazione delle imprese o dei cittadini in difficoltà. Affinché ciò avvenga, è necessario un piano di rilancio coordinato da parte degli Stati per ridurre la pressione fiscale sulle aziende più colpite e per sostenere – in particolare – gli ospedali, i laboratori di ricerca e i servizi di assistenza ai pazienti. Affinché ciò sia possibile, è essenziale che le banche centrali si dimostrino accomodanti.

Nel frattempo, gli investitori si orientano naturalmente verso le obbligazioni dei paesi considerati sicuri. Il tasso di interesse statunitense a 10 anni ha toccato il minimo storico, sotto 1,20%, a dimostrazione dei timori di un rallentamento negli Stati Uniti, finora in parte risparmiati. L’oro invece, che ha raggiungo un massimo il 24 febbraio sfiorando i 1.700 dollari USA, ha poco approfittato – sorprendentemente – dall’avversione al rischio durante il fine settimana.

La fine del tunnel non è però necessariamente così distante. Mentre il Covid-19 sta colpendo una quarantina di paesi ormai, l’epidemia sembra aver raggiunto l’apice in Cina dove il numero di decessi giornalieri è in costante diminuzione. Le aziende sono tornate a essere operative e il mercato azionario cinese, la scorsa settimana, ha reagito meglio di quelli occidentali.

Questi elementi indicano un episodio di stress sui mercati che potrebbe essere diffuso, ancorché di breve durata. Non appena si potrà intravedere la luce alla fine del tunnel il rimbalzo sarà molto rapido.

Numerosi saranno i fattori positivi: il prezzo del petrolio sarà sceso in modo significativo così come i tassi d’interesse, e potenti incentivi fiscali saranno stati nel frattempo adottati. Le crisi spesso portano in sé i semi della loro soluzione. Ed è per questo motivo che il mercato azionario è sempre stato un buon investimento a lungo termine. Nonostante i timori attuali, la storia si ripeterà. La pazienza rimarrà la madre di tutte virtù.