Eurozona, eterno fanalino di coda?
La sottoperformance delle borse europee va attribuita a questioni politiche, macroeconomiche e monetarie
12,4%: questo il differenziale di performance tra l’S&P 500, l’indice borsistico per antonomasia negli Stati Uniti, e il suo omologo europeo, l’EuroStoxx 50, dal giorno in cui il mercato americano toccava i minimi, il 23 marzo. Si osserva tuttavia che il divario è rimasto pressoché invariato dall’inizio dell’anno, dove il mercato americano batte quello europeo del 12% (-11,3% per l’S&P 500 e -23,3% per l’EuroStoxx 50) anche se questo differenziale è in parte fuorviante.
A spingere la performance dell’S&P 500 sono infatti alcuni dei suoi pesi massimi soprattutto, i giganti della tecnologia (i famosi “GAFAM”) in particolare, che rappresentano oltre il 21% dell’indice. Dall’inizio del 2020, l’indice GAFAM è cresciuto del 13,4%! L’Europa è ben lungi, naturalmente, dal possedere società di questa caratura.
Questa spiegazione però non basta poiché i GAFAM hanno perlopiù sovraperformato nella prima parte dell’anno e, nella fase di rimbalzo rispetto ai minimi di marzo, i giganti della rete hanno battuto di poco l’S&P 500 (+31,4% contro il +27,4% dal 23 marzo).
La sottoperformance europea dell’ultimo mese e mezzo non è quindi attribuibile alla sola “variabile GAFAM” e le differenze nella struttura di ciascuno dei mercati, soprattutto in termini settoriali, possono anche pesare sulla bilancia benché si tratti, ancora una vola, di una spiegazione soltanto parziale.
Va infatti ricercata una ragione molto più politica, macroeconomica e monetaria. Le misure di sostegno adottate su entrambe le sponde dell’Atlantico per fare fronte alla crisi Covid-19 sono indubbiamente colossali. Se, da parte americana, le decisioni sono state molto rapide e non hanno dato adito a molti dibattiti, in Europa invece sono state procrastinate con, in particolare, il blocco iniziale dell’attivazione del Meccanismo Europeo di Stabilità da parte di alcuni governi guidati dai Paesi Bassi. Rimangono incerti, ancora oggi, i contorni dei piani di ripresa coordinati. Secondo il Commissario per l’Economia Paolo Gentiloni, una strategia sviluppata dalla Commissione europea dovrebbe essere presentata ai capi di Stato e di governo… ma non prima di giugno.
Anche sul fronte monetario si possono osservare alcune divergenze. Mentre la Fed ha sfoderato i “bazooka” più di una volta, anche troppo frettolosamente forse in alcune occasioni, la BCE ha avuto tendenza a deludere durante le sue riunioni ufficiali, trasmettendo una cattiva prima impressione generalmente corretta da altri discorsi e annunci successivi. Così, nella riunione del 30 aprile, è riuscito alquanto difficile per Christine Lagarde convincere sia nella forma, con un discorso incerto, sia nella sostanza, con misure ritenute troppo poco incisive dai mercati. A questo si è aggiunta la settimana scorsa una sentenza esplosiva pronunciata dalla Corte costituzionale tedesca. La Corte di Karlsruhe, cui erano ricorsi alcuni euroscettici, ha infatti chiesto alla BCE di giustificare l’adeguatezza del suo programma di acquisti – PSPP – in relazione al rischio economico. La questione di fondo consiste quindi nel capire se la BCE sia andata oltre il suo mandato con un finanziamento eccessivo dell’economia europea. Allo stesso tempo, la Corte costituzionale tedesca ha minacciato di bloccare ulteriori acquisti di debito da parte della Bundesbank.
Sebbene questo evento sia principalmente una questione di politica interna tedesca e riguardi i programmi di acquisto del 2015 e non il programma PEPP varato di recente in risposta alla crisi Covid-19, getta a prescindere una cattiva luce sulla coesione europea. Inoltre, se da un lato possiamo considerare che la BCE abbia agito con prudenza non annunciando nuove misure nella sua ultima riunione e lasciandosi quindi la possibilità di adattare la sua risposta all’impatto reale della crisi economica, dall’altro possiamo temere che stia accumulando troppo ritardo nel sostenere la ripresa economica europea.
Nell’ultimo decennio, il dissenso politico, la mancanza di coordinamento e il conseguente immobilismo, nonché i ritardi e persino gli errori di politica monetaria, sono costati caro al Vecchio Continente in termini economici e borsistici rispetto alla situazione soprattutto negli Stati Uniti. E anche se gli europei hanno mostrato di recente un miglioramento nella loro capacità di reazione, si può temere che lagovernance europea non sia all’altezza. Sarebbe buona cosa riuscire a dissipare questi dubbi il prima possibile.