L’Italia e la prova del G20 all’epoca del virus

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Viviamo in un momento in cui si stanno scrivendo pagine importanti della storia: mai prima d’ora la nostra generazione è stata chiamata ad affrontare sfide come quelle prodotte dal Coronavirus. La leadership mondiale ha una responsabilità enorme e le decisioni che verranno prese di qui ai prossimi mesi ridefiniranno il mondo per milioni – o miliardi – di esseri umani. Come l’Unione Europea con il Recovery Plan, il Green Deal e la New Digital Strategy si gioca tutto il suo futuro, così l’Italia deve fare uno sforzo eccezionale per rimettersi in pista e scongiurare la minaccia di una recessione senza precedenti. Una prova storica per il nostro Paese, che proprio in questi mesi si appresta a prendere il testimone della guida del G20 dall’Arabia Saudita.

Un’occasione unica. Un momento in cui l’Italia può fare sentire la sua voce sulla scena internazionale e contribuire alla riflessione sul nuovo mondo che vogliamo costruire, grazie ai nostri valori, le nostre conoscenze e la nostra esperienza. Come ha sostenuto l’ex premier britannico Gordon Brown nel suo appello di inizio giugno , il G20, finora, è stato troppo timido nell’affrontare la crisi scatenata dal Covid19. Ma è proprio un evento come quello della pandemia, invece, che ha dimostrato l’inevitabile interdipendenza di tutti gli Stati. Pensare di poter risolvere da soli i problemi economici e politici di oggi è un’illusione: sui grandi temi non è possibile rinunciare a una governance globale. L’Italia lo sa bene e fin dal 1945 abbraccia con convinzione i valori della cooperazione e del dialogo tra Stati. Con la presidenza 2021 del G20 abbiamo l’occasione per dimostrarlo ancora una volta e per rafforzare questo spirito tra tutti i Paesi che ne fanno parte.

Lo scenario internazionale che ci troviamo di fronte, infatti, è più complesso che mai: il Covid-19 ha acuito le tensioni tra Usa e Cina, le elezioni negli Stati Uniti sono alle porte e nel Paese governato da Trump la tensione sociale ha raggiunto livelli di guardia. I Paesi dell’America Latina sono oggi travolti dall’emergenza sanitaria: i loro sistemi ospedalieri sono molto fragili e gli effetti sulla popolazione potrebbero essere gravissimi. Ignorare la difficoltà di questi Paesi nell’affrontare l’epidemia è miope: se il Covid19 continuerà a dilagare anche in un solo Paese del pianeta, nessuno potrà essere al sicuro. Di più, come richiesto da numerosi scienziati e leader politici di tutto il mondo , bisogna riflettere sull’opportunità di definire un diritto universale al vaccino per il Covid-19. Solo con una risposta globale si può risolvere una minaccia globale.

Ma oltre al dramma sanitario, ciò che ci attende è uno scenario di povertà crescente, le cui radici vanno ben al di là di questa emergenza globale. Secondo la Fao, la pandemia di Covid-19 potrebbe aumentare il numero di persone che soffrono di fame nel mondo ad oltre 250 milioni. Non stiamo parlando di sola malnutrizione: stiamo parlando di condizioni estreme, di persone che rischiano di morire di fame. Secondo l’Ilo (Organizzazione Internazionale del Lavoro), oltre un miliardo e mezzo di persone – circa la metà dell’intera forza lavoro nel mondo – rischia di perdere i mezzi di sussistenza a causa della pandemia. Bisogna intervenire subito. E bisogna ripensare le priorità da mettere al centro dell’agenda globale.

I leader di oggi che sono chiamati ad affrontare la situazione ne sono consapevoli: siamo a un punto di frattura storica. E dobbiamo sforzarci di trasformare quella che potrebbe essere la più grave crisi socio-economica dal 1929 in un’occasione per ripensare il mondo. Serve un cambio di passo e possiamo cogliere questa opportunità per ridisegnare un pianeta in cui l’innovazione si coniuga con una maggiore sostenibilità economica, sociale ed ambientale. Possiamo farlo: ma servono scelte coraggiose, che mantengano viva la fiducia che lega cittadini e istituzioni, settore pubblico e privato.

Infine, credo che la classe dirigente del nostro Paese dovrebbe usare questa occasione per dar spazio e valorizzare i settori nei quali rappresentiamo un’eccellenza riconosciuta nel mondo. E parlo ovviamente dell’istruzione e della cultura: leve di cambiamento uniche.
L’Italia sta soffrendo terribilmente per il crollo del settore culturale e turistico, ma, se guardiamo al lungo periodo, sappiamo di poter tornare ai livelli pre-crisi. Siamo il primo Paese al mondo per numero di siti riconosciuti dall’Unesco quale Patrimonio dell’Umanità. Nei secoli passati siamo stati l’epicentro di grandi innovazioni culturali e tecnologiche e, ancora oggi, anche se spesso in sordina, abbiamo alcuni dei centri di eccellenza mondiali dell’istruzione e della ricerca. In Italia e ovunque nel mondo, dobbiamo impegnarci a valorizzare i talenti che abbiamo. È un investimento che va a beneficio di tutti: delle aziende affamate di innovazione, delle istituzioni pubbliche che hanno bisogno di rinnovamento, degli organismi internazionali che devono trovare nuova linfa per rafforzare lo spirito di cooperazione multilaterale in occasioni come il G20 e B20.

Iniziamo a progettare, a lavorare, a dare un volto alla nuova normalità in cui vogliamo vivere. Possiamo farlo. Dobbiamo farlo: non possiamo più aspettare.