Un calvario di quattro giorni per raggiungere un accordo

-

Finalmente è stato raggiunto un accordo sulla proposta della Commissione. Dopo quattro giorni di dure trattative, questo è probabilmente ciò che conta nel breve periodo dal punto di vista del mercato, dato che ancora una volta sono stati messi a tacere i soliti “timori esistenziali” sul futuro dell’UE. Le posizioni iniziali erano molto distanti tra loro. Sono state sollevate questioni relative ai principi stessi dell’Unione. Ma alla fine è stato raggiunto un accordo e alcuni importanti tabù – in particolare la mutualizzazione del debito – sono stati infranti. Nell’anno di Brexit ciò è rassicurante. Ora, al di là dei potenti simboli, dal punto di vista macroeconomico, il pacchetto è meno ambizioso della proposta iniziale franco-tedesca, ed è carico di difficoltà future, data la sua complessa governance e le ricadute finanziarie negative su altre aree di spesa dell’UE.

La cifra complessiva di 750 miliardi di euro è sicura, ma i sussidi (l’elemento chiave) sono ridotti dagli iniziali 500 miliardi di euro a 390 miliardi di euro. Poiché la trattativa si è concentrata su una cifra tonda di 400 miliardi (inaccettabile per Francia e Germania una cifra inferiore, inaccettabile per i “frugali” qualsiasi cifra superiore) è stato trovato un “trucco”: i sussidi ammontano a 390 miliardi “ai prezzi del 2018”. Quindi, con un po’ di inflazione, finiranno per superare i 400 miliardi di euro in euro attuali.

I ” frugali” volevano un “diritto di veto” sul modo in cui il denaro sarà utilizzato dagli Stati membri. Non sono riusciti ad imporlo, un fattore cruciale per gli Stati più fragili, ma il processo di governance sarà comunque oneroso.

Il “piano per la ripresa e la resilienza” prodotto da ogni Stato membro, che descriverà le modalità di impiego delle risorse previste, dovrà essere approvato dal Consiglio dell’UE a maggioranza qualificata su proposta della Commissione, che prenderà in considerazione le questioni macroeconomiche. Ciò potrebbe aprire la porta a quel tipo di condizionalità macroeconomica che i paesi periferici non volevano. Aspettatevi che i populisti del Sud si concentrino su questo punto per condannare l’accordo.

Inoltre, se uno Stato membro ritiene che un altro Stato membro non stia rispettando gli obiettivi del programma, potrà rivolgersi al successivo Consiglio dell’UE. In ultima analisi, la Commissione europea sembra avere l’ultima parola, ma dovrà comunque prendere in considerazione le discussioni in sede di Consiglio. In pratica, se solo uno Stato membro si oppone all’attuazione di un programma, è probabile che il Consiglio alla fine respinga la sua istanza. Eppure sembra che l’accordo offra ai “frugali” un’arma deterrente, ossia la possibilità di rallentare il processo e potenzialmente innescare una certa volatilità. Per di più, l’accordo integra un aumento degli sconti ai contributi al bilancio UE da parte dei frugali. Una cosa che ci si aspettava, ma che probabilmente farà ancora una volta il gioco dei populisti del sud.

Al fine di proteggere il più possibile la quota dei sussidi che andrà direttamente agli Stati membri, ci sarà una riduzione dei fondi UE rispetto alle precedenti proposte. Questo danneggerà, ad esempio, il Fondo per la Transizione Giusta, che doveva contribuire ad affrontare le conseguenze sociali della transizione verde a livello regionale. Questa ricaduta sulla transizione verde sarà probabilmente osteggiata dal Parlamento europeo, con il gruppo parlamentare dei Verdi che giocherà un ruolo chiave in questo senso. Tuttavia il fatto che la Commissione sia riuscita a proteggere la promessa che il 30% della spesa attraverso il RFF dovrà contribuire alla transizione verde potrebbe aiutare a contenere le proteste e il nostro scenario di base è che il Parlamento europeo alla fine approverà l’accordo, data l’assenza di alternative credibili (le possibilità di ottenere un risultato migliore in seno al Consiglio europeo sono scarse).

Fondamentalmente, l’accordo è un altro segno del predominio della natura intergovernativa, piuttosto che “federale” dell’UE: la Commissione e il Parlamento europeo sono stati in gran parte messi da parte. La capacità di intermediazione del potere è ben salda nel Consiglio europeo, con un ruolo chiave per il suo Presidente, e naturalmente nei governi nazionali.

L’accordo è probabilmente più importante dal punto di vista politico e simbolico che non per la possibilità di influenzare rapidamente le condizioni cicliche. Stiamo parlando di un volume di spesa per i sussidi inferiore allo 0,4% del PIL dell’UE all’anno fino al 2027, con una crescita lenta. Non può essere un pieno sostituto degli sforzi fiscali nazionali, tutt’altro.

Per quanto riguarda la questione chiave dell’allocazione dei fondi, il 70% sarà stanziato (anche se non effettivamente erogato) nel 2021 e nel 2022 secondo la proposta iniziale della Commissione: quanto più basso il PIL pro capite e quanto più alto il tasso di disoccupazione prima della pandemia, tanto maggiore sarà la quota di ciascun paese, quindi un’allocazione molto favorevole per le regioni periferiche. A partire dal 2023, tuttavia, i criteri di disoccupazione saranno sostituiti dalla perdita effettiva di PIL dopo la pandemia. Anche per questo motivo gli esborsi effettivi saranno rallentati.

È molto importante che il tabù della mutualizzazione del debito sia finalmente infranto e che alla fine gli Stati membri siano riusciti a trovare un accordo che offra una concreta solidarietà finanziaria. Ciò contribuirà a tenere sotto controllo gli spread sovrani. Tuttavia, anche in termini simbolici, si è trattato di un processo molto doloroso.

La domanda fondamentale è: questo è solo un “primo passo” su cui l’UE potrebbe costruire un bilancio federale più adeguato? Non è così ovvio. Le conclusioni del Consiglio chiariscono chiaramente che si tratta di un’iniziativa una tantum, e poiché il nuovo programma è inserito nel processo di bilancio pluriennale dell’UE – che copre il periodo 2021-2027 – non è probabile che si verifichi un’ulteriore spinta prima della fine di questo ciclo. Considerata la difficoltà del processo, l’appetito per un maggior numero di cicli di lavoro sarà probabilmente scarso. Certamente ci sono alcuni aspetti “Hamiltoniani” nell’accordo – la conferma che l’UE beneficerà di maggiori risorse dirette, ad esempio una tassa di confine e una tassa sulla plastica, ma è troppo presto per concludere che la federalizzazione fiscale è davvero sulla buona strada.